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27/06/2024

Locazioni commerciali, inerzia del locatore nella richiesta di pagamento del canone

Il conduttore può contestare la richiesta di pagamento e, quindi, il comportamento del locatore rimasto inerte per un periodo di tempo considerevole? Analisi e risposta a cura dell’Avv. Maurizio Tarantino.

Può capitare che il pagamento del canone di locazione non avvenga entro i termini stabiliti, e il proprietario quindi non si vede accreditare la somma dovuta. In tal caso, il proprietario può sollecitare il pagamento, ovvero richiedere il saldo della somma pattuita, rivolgendosi direttamente all’inquilino.
Tuttavia, può accadere che il locatore non chiede nulla e, in questo caso, il conduttore continua ad esercitare la propria attività professionale. Il problema si pone quando, dopo un determinato lasso di tempo, senza preavviso, il proprietario chiede tutti i canoni non pagati.
Dunque, ai fini della soluzione del quesito, occorre analizzare la questione dal punto di vista normativo e giurisprudenziale.

IL CANONE DI LOCAZIONE - L’art. 1587 del Codice civile prevede che il conduttore deve prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze; inoltre, il conduttore deve dare il corrispettivo nei termini convenuti.
La determinazione convenzionale del tempo dell’adempimento impone al conduttore di dare il corrispettivo alla data stabilita che può cadere all’inizio come al termine della locazione.
L’importo del canone affitto per locali commerciali non è soggetto a limiti di legge ed è, per questo, lasciato all’autonomia contrattuale di conduttore e locatario. Se il conduttore accetta la proposta, viene raggiunto un accordo sul canone iniziale.
In virtù di tale principio, sono legittimi tanto il contratto tramite cui le parti predeterminano il canone, quanto il patto successivo con il quale i contraenti provvedono a stabilire un importo del canone diverso da quello inizialmente pattuito.

VALUTAZIONE DELL’INADEMPIMENTO NELLA LOCAZIONE COMMERCIALE - Il criterio legale di predeterminazione della gravità dell’inadempimento, ex art. 5 della L. 392/1978 (locazione uso abitativo), non trova diretta applicazione nella locazione commerciale, cionondimeno esso può essere tenuto in considerazione quale parametro di orientamento per valutare in concreto, ai sensi art. 1455 del Codice civile, se l’inadempimento del conduttore sia stato o meno di scarsa importanza (Trib. Roma 03/02/2023, n. 1883).
Invero, in materia di risoluzione del contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 del Codice civile.
Ne consegue che, a tal fine, occorre accertare la gravità in concreto dell’inadempimento e, dunque, la idoneità a ledere in modo rilevante l’interesse contrattuale del locatore, a sconvolgere l’intera economia del rapporto e a determinare un notevole ostacolo alla sua prosecuzione. L’inadempimento deve essere dunque idoneo a turbare l’equilibrio contrattuale, quale risulta dalle clausole cui i contraenti hanno attribuito valore maggiore ed essenziale e la valutazione in questione va poi adeguata anche a un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale (Trib. Tivoli 20/07/2022, n. 1207).

LA BUONA FEDE CONTRATTUALE - La clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 del Codice civile), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione di un contratto (art. 1375 del Codice civile), specificandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto.
In virtù di tale principio, ciascuna parte è tenuta:
- da un lato, ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l’utilità della controparte, e
- dall’altro, a tollerare anche l’inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse.
A tale riguardo il semplice ritardo di una parte nell’esercizio di un diritto (nel caso di specie, diritto di agire per far valere l’inadempimento della controparte) può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle finalità del contratto, si traduca in un danno per la controparte (C. Cass. civ. 15/03/2004, n. 5240).

L’INERZIA DEL LOCATORE ALLA RICHIESTA DEL CANONE DI LOCAZIONE - Può accadere che il conduttore contesta il comportamento del locatore rimasto inerte per un periodo di tempo considerevole. Situazione in cui, ad esempio, a distanza di anni, il proprietario dell’immobile chiede il pagamento integrale di tutte le somme insolute, senza mai aver formulato alcuna domanda in precedenza e, quindi, in spregio dei canoni di correttezza e buona fede.
Su questo aspetto, tuttavia, sussistono due orientamenti divergenti.

Abuso del diritto del locatore. Secondo una prima posizione, integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia, per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia, formuli un’improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato; ciò in quanto, anche nell’esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, trova applicazione il principio di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 del Codice civile, quale canone generale di solidarietà integrativo della prestazione contrattualmente dovuta, che opera a prescindere da specifici vincoli contrattuali nonché dal dovere negativo di neminem laedere e che impegna ciascuna delle parti a preservare l’interesse dell’altra nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio (C. Cass. civ. 14/06/2021, n. 16743: caso di locazione ad uso abitativo).

Escluso l’abuso del diritto da parte del locatore. La condotta del locatore che, dopo essere stato inerte nell’escutere il conduttore - anche se per un fatto a lui imputabile e per un tempo tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato - richiede l’integrale pagamento dei canoni maturati non è sufficiente ad integrare un contegno concludente da cui desumere univocamente la tacita volontà di rinunciare al diritto, né rappresenta un caso di abuso del diritto, perché il semplice ritardo di una parte nell’esercizio delle proprie prerogative può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo ad alcun interesse del suo titolare, si traduce in un danno per la controparte (C. Cass. civ. 26/04/2024, n. 11219: caso di locazione ad uso commerciale).

SOLUZIONE AL QUESITO
Alla luce delle considerazioni esposte, nonostante la divergenza degli orientamenti, il conduttore resta inadempiente quando il canone non viene pagato per intero o in parte alle scadenze stabilite contrattualmente, sicché in questo caso il conduttore viene definito moroso.
Premesso ciò, l’inerzia del locatore non deve essere “motivo” della non esistenza del diritto previsto dal contratto di locazione. Di conseguenza, in osservanza dei criteri indicati dalla Corte di Cassazione, possiamo sintetizzare che:
- la mancata richiesta del locatore, dopo un lungo periodo di tempo, non rappresenta un contegno concludente da cui desumere univocamente la tacita volontà di rinunciare al diritto;
- il ritardo dell’esercizio del proprio diritto, eventualmente, può dar luogo ad una violazione della buona fede solo se, non rispondendo ad alcun interesse del suo titolare, si traduce in un danno per la controparte.
In sintesi, il ritardo nell’esercizio del diritto non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinuncia tacita o di una modifica della disciplina contrattuale. In ogni caso, resta il potere del giudice di valutare il comportamento di entrambe le parti contrattuali e gli aspetti legati alla prescrizione.

 

Dalla redazione