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ISSN 1721-4890
Fondata nel 1933
Direttore Dino de Paolis
Distanze tra edifici, impugnazione del titolo edilizio e metodo di misurazione
FATTISPECIE - Nel caso di specie il proprietario di una villetta bifamiliare aveva ottenuto l’autorizzazione per la realizzazione di un manufatto uso ripostiglio quale pertinenza del fabbricato ad uso residenziale. In particolare, il manufatto assentito dal Comune si trovava a distanza inferiore a tre metri dal muro perimetrale adiacente ad un’altra villetta e a meno di dieci metri rispetto ad altro fabbricato confinante su altro lato e di proprietà di un terzo.
In sostanza la violazione della distanza minima inderogabile di 10 metri tra pareti finestrate sussisteva non rispetto alla abitazione della vicina, che ne aveva eccepito la violazione, ma rispetto alla abitazione di un soggetto terzo.
Il proprietario contestava la sentenza del TAR che aveva accolto il ricorso della vicina.
INTERESSE AD AGIRE - C. Stato 03/07/2023, n. 6438 ha escluso l’interesse della vicina a far valere una violazione che determinava un effetto lesivo rispetto non alla propria abitazione ma a quella di un terzo.
Sul punto i giudici hanno richiamato la sentenza dell’Adunanza plenaria C. Stato 09/12/2021, n. 22 secondo la quale, nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo (v. la Nota Violazione limiti di distanza, impugnazione del titolo abilitativo e interesse al ricorso).
Nel caso di specie, tuttavia, l’appellata non aveva dimostrato (e neppure prospettato) il pregiudizio subìto a causa della realizzazione, da parte del vicino, del manufatto a distanza inferiore ai 10 metri sia rispetto al fabbricato di proprietà del terzo che rispetto alla propria abitazione, né aveva precisato l’effetto di ripristino concretamente utile che le sarebbe potuto derivare dall’annullamento della autorizzazione impugnata.
Il fatto che alla disposizione di cui all’art. 9, comma 1 del D.M. 1444/1968 sia pacificamente riconosciuta una finalità pubblicistica - quella cioè di salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad areazione, luminosità ed altro - non consente di ritenere sussistente un pregiudizio in re ipsa, derogando ai principi generali sull’interesse a ricorrere.
METODO DI MISURAZIONE - Per completezza i giudici hanno inoltre osservato che la violazione della distanza minima non era configurabile neppure rispetto alla abitazione della vicina in quanto non frontistante rispetto al ripostiglio.
Al riguardo è stato ricordato che, con riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 9 del D.M. 1444/1968, comma 1, n. 2, che impone la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare, tracciando linee perpendicolari tra gli edifici.
Tale regola vale anche per i limiti previsti dall’art. 873 c.c. in materia di distanze tra costruzioni su fondi finitimi. Risultava dunque irrilevante la circostanza per cui la distanza misurata con angolazione obliqua tra ripostiglio e l’edificio fosse pari a ml 2,10 (v. C. Cass. civ. 16/04/2019, n. 10580; C. Cass. civ. 11/05/2016, n. 9649; C. Stato 05/10/2005, n. 5348).