Sopraelevazione in condominio, richiesta di accertamento di conformità | Bollettino di Legislazione Tecnica
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10/03/2022

Sopraelevazione in condominio, richiesta di accertamento di conformità

L'intervento in sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano non necessita del consenso degli altri condomini. Pertanto risulta illegittimo il rigetto dell'istanza di sanatoria motivato dalla mancata allegazione del verbale di autorizzazione dell’assemblea condominiale.

FATTISPECIE - Nel caso di specie il proprietario di un’unità immobiliare ubicata all’ultimo piano di un fabbricato residenziale aveva realizzato in assenza del titolo edilizio il prolungamento di un pergolato, la chiusura di una piccola porzione del terrazzo e un piccolo vano adibito a deposito. Al fine di regolarizzare tali opere aveva depositato istanza di accertamento di conformità ex art. 36, D.P.R. 380/2001, la quale però veniva rigettata dal Comune per i seguenti motivi:
- mancata produzione di documentazione di verifica degli indici e parametri urbanistico-edilizi dell’intero fabbricato;
- mancata acquisizione del verbale di assemblea condominiale di autorizzazione agli interventi effettuati.
Il TAR Campania-Salerno 07/02/2022, n. 381 ha annullato il diniego basato sulla presunta carenza di documentazione, rinviando a successivi atti dell’amministrazione in ordine all’accertamento di conformità delle opere oggetto della richiesta.

VERIFICA DEGLI INDICI E PARAMETRI URBANISTICI - Secondo il TAR la verifica degli indici e parametri urbanistico edilizi dell’intero fabbricato comprensivo dell’opera di cui si richiede l’accertamento di conformità attiene all’istruttoria di competenza dell’Ente, il quale semmai, ove non abbia potuto procedere alla verifica d’ufficio, può/deve richiedere al proprietario i documenti necessari per gli accertamenti, specificando dettagliatamente quali siano. L’opposta generica carenza documentale non può pertanto essere sufficiente a fondare il diniego di sanatoria.

MANCANZA DEL VERBALE DELL'ASSEMBLEA CONDOMINIALE - Con riferimento alla ritenuta necessità di una deliberazione assembleare di autorizzazione dell’intervento, il TAR ha ricordato che l'art. 1127 c.c. prescrive che:
- il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare;
- la sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono;
- i condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti.
Il TAR ha precisato che la nozione di sopraelevazione trova applicazione non solo nei casi in cui il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale esegua nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche nei casi in cui trasformi locali preesistenti aumentandone le superfici e le volumetrie.
La ratio giustificatrice della norma va ricercata nel fatto che la sopraelevazione sfrutta lo spazio sovrastante l'edificio ed occupa la colonna d'aria su cui esso insiste, per cui l'esercizio di tale diritto non resta subordinato alla prestazione del consenso da parte degli altri condomini, a meno che non sia compromessa la statica e l'architettura dello stabile e non siano presenti limitazioni alla luce o all'aria del sottostante appartamento.
In linea generale quindi, la facoltà di sopraelevare:
- spetta ex lege al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio (o al proprietario esclusivo del lastrico solare);
- non necessita di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini;
- può essere preclusa soltanto in forza di un'espressa pattuizione che, in sostanza, costituisca una servitù a favore degli stessi.
Nel caso in esame, da un lato, non risultava sussistere tra i condomini un precedente accordo in senso contrario e, dall'altro, non era stato allegato né dimostrato da parte del Comune resistente un pregiudizio statico o architettonico dell’edificio.

QUALIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI - Il TAR non ha invece accolto la censura del proprietario secondo cui le opere in questione rientrerebbero nelle attività libere. Sul punto i giudici hanno rilevato che la chiusura stabile non retrattile del “pergolato”, che faccia desumere una permanenza prolungata nel tempo del manufatto e delle utilità che esso è destinato ad arrecare, comportando una trasformazione edilizia del territorio, necessita di permesso di costruire. Necessitavano di permesso di costruire anche la realizzazione del vano abitabile e di quello adibito a deposito, per il carattere urbanisticamente rilevante e l'aumento di volumetria.
I manufatti non erano neanche riconducibili alla nozione di pertinenza. Infatti, per poter qualificare un'opera edilizia in termini di "pertinenza" occorre avere riguardo a tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo esso avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo, negativi, ossia ricollegati, rispettivamente, all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse e ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra le esigenze edilizie e il volume realizzato. Quest'ultimo deve essere completamente privo di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto esclusivamente destinato a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale, che non possono essere ubicati all'interno di essa. L'applicazione di tali criteri induce a ritenere che i volumi tecnici degli edifici, per essere esclusi dal calcolo della volumetria, non devono assumere le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità.

Dalla redazione