Delib. ANAC 21/11/2018, n. 1074 | Bollettino di Legislazione Tecnica
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Delib. ANAC 21/11/2018, n. 1074

Approvazione definitiva dell’Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione
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[Premessa]

Autorità Nazionale Anticorruzione


VISTO l’art. 19, co. 15 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari» che trasferisce all’Autorità nazionale anticorruzione le funzioni del Dipartimento

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PARTE GENERALE
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Premessa

In conformità a quanto previsto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 « Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione» , l’Autorità ha adottato il presente Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione 2016 (PNA). Esso costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni e per gli altri soggetti tenuti all’applicazione della normativa, ha durata triennale e viene aggiornato annualmente.

In continuità con il PNA e con i precedenti Aggiornamenti, sono stati scelti alcuni settori di attività e tipologie di amministrazioni che, per la peculiarità e la rilevanza degli interessi pubblici trattati, sono stati ritenuti meritevoli di un approfondimento, al fine di esaminare i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e di fornire supporto nella predisposizione dei PTPC alle amministrazioni coinvolte.

In particolare l’Autorità ha valutato opportuno, anche in esito alla vigilanza svolta e sulla base delle richieste pervenute dalle amministrazioni, dedicare specifiche sezioni ai temi connessi alla gestione dei fondi strutturali, alla gestione dei rifiuti e alle Agenzie fiscali, tenuto conto della complessità e della delicatezza che caratterizzano tali ambiti di competenze.

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1. Esiti della valutazione delle misure di prevenzione della corruzione
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1.1. Monitoraggio sull’evoluzione della qualità dei PTPCT 2015-2017 e 2017-2019

Nel corso del 2018 l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha svolto, nell’interesse dell’Autorità, un monitoraggio su due diverse edizioni dei PTPC relativi ai trienni 2015-2017 e 2017-2019, al fine di analizzare l’evoluzione della qualità dei Piani e di valutare, al contempo, la congruità di tali documenti programmatici rispetto alle indicazioni fornite dall’Autorità nei PNA.

L’analisi è stata condotta su un campione di 536 amministrazioni stratificato per comparti N1 e ha riguardato le principali dimensioni del processo di gestione del rischio corruttivo ovvero: l’analisi del contesto esterno; la mappatura dei processi; l’identificazione degli eventi rischiosi; la valutazione e ponderazione del rischio; il trattamento del rischio attraverso l’individuazione di misure di prevenzione.

L’analisi ha evidenziato, in estrema sintesi, i seguenti risultati:

- un complessivo miglioramento, diversificato in relazione ai comparti, delle principali fasi del processo di gestione del rischio di corruzione e, dunque, un miglioramento del processo di predisposizione dei PTPC. Tuttavia, miglioramenti più contenuti sono stati riscontrati laddove è necessario porre in essere azioni che incidono in maniera rilevante sugli aspetti organizzativi (ad esempio, la mappatura dei processi nelle aree specifiche);

- aumento della presenza e della qualità della mappatura dei processi delle aree definite come “obbligatorie” nel PNA 2013 e permanenza di criticità nella mappatura delle aree di rischio c.d. “ulteriori” (ora “specifiche”);

- permanenza, nella fase di valutazione e ponderazione del rischio, delle criticità segnalate nell’Aggiornamento 2015 del PNA. Gran parte delle amministrazioni continua ad applicare in modo troppo meccanico la metodologia presentata nell’Allegato 5 del PNA 2013, pur non essendo strettamente vincolante, potendo scegliere criteri diversi purché adeguati al fine.

Si riferisce di seguito, con maggior dettaglio, sui principali esiti.


L’analisi del contesto esterno

Nei PTPC 2015-2017 l’analisi del contesto esterno era nel 33,6% dei casi del tutto assente o nel 66,4% insufficiente. Ciò denota la carenza di informazioni sul contesto socio-territoriale e di analisi sugli elementi di contesto che possono incidere sul rischio di corruzione.

Nei PTPC 2017-2019 l’assenza dell’analisi del contesto esterno si è ridotta al 27,1%, mentre la carenza di tali informazioni è scesa al 50,6%. È diminuito, quindi, sia il numero di amministrazioni che non realizza l’analisi del contesto esterno, sia la percentuale di quelle che l’ha svolta in maniera del tutto sommaria e con poche informazioni.

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1.2. Le società in controllo pubblico

In continuità con le attività di monitoraggio realizzate sui PTPC delle amministrazioni, si dà conto nel presente Aggiornamento degli esiti di un primo monitoraggio sullo stato di attuazione della disciplina in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte di un campione di 340 società in controllo pubblico.

L’indagine, svolta dall’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” nell’interesse dell’Autorità dalla metà dell’anno 2016 N3, ha avuto un carattere sperimentale, considerato che la disciplina sull’ambito soggettivo di applicazione della normativa, con riguardo a tali soggetti aveva, al momento di avvio delle attività di ricerca, profili di non chiarezza.

Anche per tale motivo, oltre che per la necessità di delimitare un campione di analisi in ragione delle risorse disponibili per il suo svolgimento, l’indagine è stata progressivamente limitata alle sole società pubbliche controllate (anche per effetto di un controllo congiunto derivante dalla partecipazione di più pubbliche amministrazioni nel capitale sociale).

Sotto il profilo territoriale, il campione è stato ristretto alle società aventi sede nel territorio delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia e Sicilia. In tale ambito geografico si è poi ulteriormente delimitato lo spazio di indagine, considerando le sole società controllate con capitale partecipato da almeno uno dei seguenti enti territoriali: Regione, Province, Comuni capoluogo di Provincia e Comuni (anche non capoluogo) con più di 65.000 abitanti. Le società così individuate ed indagate sono state 340.

Quanto agli obblighi normativi rispetto ai quali effettuare la verifica, l’indagine ha inizialmente assunto a parametro la cornice normativa oggetto delle Linee guida ANAC contenute nella determinazione n. 8/2015 e, successivamente, ha tenuto conto delle modifiche normative introdotte dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97.

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2. Soggetti tenuti all’adozione delle misure di prevenzione della corruzione: società ed enti di diritto privato

Con Linee guida approvate con determinazione n. 1134/2017, cui si rinvia per indicazioni di dettaglio, l’Autorità ha precisato le misure di prevenzione della corruzione e di trasparenza che le società e gli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni sono tenuti ad attuare successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97. Con riguardo a detti soggetti l’Autorità ha già avuto modo di svolgere le prime attività di vigilanza, in particolare sulla trasparenza, a fronte di segnalazioni ricevute.

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3. Adozione annuale dei PTPC

La l. 190/2012, all’art. 1, co. 8, dispone l’adozione da parte dell’organo di indirizzo del Piano triennale per la prevenzione della corruzione (PTPC), su proposta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT). L’Autorit

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4. Ruolo e poteri del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza

Sul ruolo e i poteri del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), l’Autorità ha recentemente adottato la delibera n. 840 del 2 ottobre 2018 (qui allegata aln. 1), in cui sono state date indicazioni interpretative ed operative con particolare riferimento ai poteri di verifica, controllo e istruttori del RPCT nel caso rilevi o siano segnalati casi di presunta corruzione. La delibera si è resa necessaria per dare risposte unitarie a varie istanze di parere pervenute dagli operatori del settore e dagli stessi RPCT.

In particolare, nella delibera citata sono state fatte considerazioni generali sui poteri di controllo e verifica del RPCT sul rispetto delle misure di prevenzione della corruzione, mentre si è rinviato alla

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4.1. Le indicazioni dell’Autorità nei Piani nazionali anticorruzione e nei relativi aggiornamenti

Nell’Aggiornamento 2015 al PNA al § 4.2 l’Autorità ha affrontato, con riferimento al RPCT, diversi temi. Sono state date indicazioni sui criteri di scelta del RPCT; è stata chiarita la necessità che al RPCT sia garantita una posizione di indipendenza dall’organo di indirizzo; sono stati approfonditi gli aspetti relativi alle responsabilità del RPCT e l’importanza dei rapporti tra RPCT e referenti, ove nominati, nelle organizzazioni particolarmente complesse.

Inoltre, nell’Aggiornamento 2015 al PNA è stato affrontato il tema dei poteri di interlocuzione e di controllo del RPCT all’interno della pubblica amministrazione. In tal senso l’Autorità, richiamando quanto disposto all’art. 1 co. 9, lett. c) sugli « obblighi di informazione nei confronti del RPC chiamato a vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del Piano», ha sottolineato l’opportunità che le modalità dettagliate di raccordo e di interlocuzione tra RPCT e la struttura di riferimento, ivi inclusi i dirigenti, vengano inserite nell'ambito del PTPC dell’ente. Ciò al fine di assicurare un supporto effe

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4.2. I rapporti fra Autorità e il RPCT

Per l’Autorità è di estremo rilievo valorizzare i rapporti con i RPCT. Ciò in quanto il RPCT è una figura chiave nelle amministrazioni e negli enti per assicurare effettività al sistema di prevenzione della corruzione come declinato nella l. 190/2012. Da qui il particolare rilievo che ANAC attribuisce alla scelta del RPCT nelle Amministrazioni e negli altri enti tenuti a nominarlo.

Con tale soggetto ANAC interagisce nello svolgimento della propria attività di vigilanza per verificare sia l’efficacia delle misure di prevenzione della corruzione di cui alla l. 190/2012, sia il corretto adempimento degli obblighi di pubblicazione di cui al d.lgs. 33/2013. N6

Relativamente alla vigilanza sulle misure anticorruzione, si ricorda che l’art. 1, co. 2, lett f), della l. 190/2012 assegna all’Autorità il compito di esercitare la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure anticorruzione adottate dalle pubbliche amministrazioni e sul rispetto delle

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5. Requisiti soggettivi per la nomina e la permanenza in carica del RPCT

Per il ruolo importante e delicato che il RPCT svolge in ogni amministrazione e nei rapporti con l’ANAC, già nel PNA 2016 adottato con Delibera n. 831 del 3 agosto 2016, l’Autorità aveva ritenuto opportuno (§ 5.2) sottolineare che la scelta del RPCT dovesse ricadere su persone che avessero sempre mantenuto una condotta integerrima, escludendo coloro che fossero stati destinatari di provvedimenti giudiziali di condanna o provvedimenti disciplinari.

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5.1 Criteri di scelta del RPCT

L’Autorità ha fornito diverse indicazioni sui criteri di scelta del RPCT - da ultimo nel PNA 2016 - adottato con

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6. La revoca del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza e le misure discriminatorie nei suoi confronti
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6.1. Intervento dell’Autorità sulla revoca del RPCT e su misure discriminatorie: la richiesta di riesame

Tra i presidi di garanzia dell’autonomia e indipendenza del RPCT il legislatore ha previsto che, in caso di revoca dell’incarico, l’Autorità possa richiedere all’amministrazione o ente che ha adottato il provvedimento di revoca il riesame della decisione nel caso rilevi che la revoca sia correlata alle attività svolte dal RPCT in materia di prevenzione della corruzione. Analogamente, l’Autorità può richiedere il riesame di atti adottati nei confronti del RPCT in caso riscontri che essi contengano misure discriminatorie a causa dell’attività svolta dal RPCT per la prevenzione della corruzione.

Gli aspetti di competenza dell’Autorità sui procedimenti di revoca del RPCT derivano dal combinato disposto dell’

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6.2. Indicazioni per le amministrazioni pubbliche

In questa sede l’Autorità ritiene necessario ricordare alle amministrazioni pubbliche e agli altri soggetti tenuti all’adozione di misure di prevenzione della corruzione e alla nomina di un proprio RPCT (ai sensi dell’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013 e ai sensi dell’art. 1, co. 2-bis, della l. 190/2012) alcune indicazioni, pure contenute nel regolamento sopra citato, laddove adottino provvedimenti di revoca del RPCT o nei casi in cui l’Autorità richieda, a seguito di segnalazioni pervenute, il riesame di altre presunte misure discriminatorie adottate nei confronti del RPCT.

La ratio delle indicazioni che seguono risiede sia nella poca chiarezza del testo normativo sia nel fatto che il procedimento di riesame deve essere svolto entro un termine molto breve. Ciò impone di fissare regole comuni per tutte le amministrazioni volte a consentire l’effettiva possibilità che la richiesta di riesame sia utilmente esercitata, proprio a garanzia del ruolo e delle funzioni del RPCT.

Innanzitutto, come si desume da un’interpretazione sistematica delle norme - e di cui si dà anche conto nel citato regolamento - occorre distinguere i provvedimenti di revoca del RPCT dalle misure discriminatorie diverse dalla revoca adottate nei confronti del RPCT per motivi collegati, direttamente o indirettamente, allo svolgimento delle sue funzioni.

La revoca, cioè, pur potendo essere considerata quale misura discriminatoria, può essere oggetto di riesame ai sensi della specifica disciplina di cui all’art. 1, co. 82, della l. 190/2012 e all’art. 15, co. 3, del d.lgs. 39/2013.

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7. Trasparenza e nuova disciplina della tutela dei dati personali (Reg. UE 2016/679)

A seguito dell’applicazione dal 25 maggio 2018 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016«relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE(Regolamento generale sulla protezione dei dati)» (si seguito RGPD) e, dell’entrata in vigore, il 19 settembre 2018, del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 che adegua il Codice in materia di protezione dei dati personali - decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679, sono stati formulati quesiti all’ANAC volti a chiarire la compatibilità della nuova disciplina con gli obblighi di pubblicazione previsti dal d.lgs. 33/2013.

Occorre evidenziare, al riguardo, che l’

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7.1. Rapporti tra RPCT e Responsabile della Protezione dei Dati -RPD

Un indirizzo interpretativo con riguardo ai rapporti fra il Responsabile della prevenzione della corruzione (RPCT) e il Responsabile della protezione dei dati - RPD, figura introdotta dal Regolamento (UE) 2016/679 (artt. 37-39), è stato sollecitato all’Autorità da diverse amministrazioni. Ciò in ragione della circostanza che molte amministrazioni e soggetti privati tenuti al rispetto delle disposizioni contenute nella l. 190/2012, e quindi alla nomina del RPCT, sono chiamate a individuare anche il RPD.

Come chiarito dal Garante per la protezione dei dati personali l’obbligo investe, infatti, tutti i soggetti pubblici, ad esempio, le amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le Regioni e gli enti locali, le università,

le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le aziende del Servizio sanitario nazionale, le autorità indipendenti ecc.

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8. I Codici di comportamento

Tra le misure di prevenzione della corruzione i codici di comportamento rivestono nella strategia delineata dalla l. 190/2012 (nuovo art. 54 del d.lgs. 165/2001) un ruolo importante, costituendo lo strumento che più di altri si presta a regolare le condotte dei funzionari e orientarle alla migliore cura dell’interesse pubblico, in una stretta connessione con i piani anticorruzione e con le carte dei servizi. A tal fine la l. 190/2012 ha attuato una profonda revisione del preesistente codice di condotta, che ha riguardato i contenuti, la imperatività sotto il profilo giuridico, le modalità di adozione e adattamento alle diverse situazioni proprie di ciascuna amministrazione.

In particolare la nuova disciplina prevede:

- un codice nazionale definito dal Governo (co. 1), approvato con DPR, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Pubblica amministrazione (co. 2), la cui violazione è “fonte di responsabilità disciplinare” (co. 3). Il codice è stato adottato con il successivo d.P.R. 62/2013;

- codici

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9. Il pantouflage

L’art. 1, co. 42, lett. l) della l. 190/2012, ha contemplato l’ipotesi relativa alla cd. “incompatibilità successiva” (pantouflage), introducendo all’art. 53 del d.lgs. 165/2001, il co. 16-ter, ove è disposto il divieto per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività dell’amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. La norma sul divieto di pantouflage prevede inoltre specifiche conseguenze sanzionatorie, quali la nullità del contratto concluso e dell’incarico conferito in violazione del predetto divieto; inoltre, ai soggetti privati che hanno conferito l’incarico è preclusa la possibilità di contrattare con le pubbliche amministrazioni nei tre anni successivi, con contestuale obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti ed accertati ad essi riferiti.

Lo scopo della norma è quello di scoraggiare comportamenti impropri del dipendente, che durante il periodo di serv

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9.1. Ambito di applicazione

La disciplina sul divieto di pantouflage si applica innanzitutto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, individuate all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001. Si evidenzia che una limitazione ai soli dipendenti con contratto a tempo indeterminato sarebbe in contrasto con la ratio della norma, volta a evitare condizionamenti nell’esercizio di funzioni pubbliche e sono pertanto da ricomprendersi anche i soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di lavoro a tempo determinato o autonomo (cfr. parere ANAC AG/2 del 4 febb

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9.2. Esercizio di poteri autoritativi e negoziali

Altro profilo che risulta importante precisare riguarda il contenuto dell’esercizio dei poteri autoritativi e negoziali, presupposto per l’applicazione delle conseguenze sanzionatorie. L’Autorità si è pronunciata con delibere, orientamenti e pareri, allo scopo di risolvere le perplessità emerse al riguardo.

In primo luogo si osserva che i dipendenti con poteri autoritativi e negoziali, cui si riferisce l’art. 53, co. 16-ter, cit., sono i soggetti che esercitano concretamente ed effettivamente, per conto della pubblica amministrazione, i poteri sopra accennati, attraverso l’emanazione di provvedimenti amministrativi e il perfezionamento di negozi giuridici mediante la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell’ente.

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9.3. Soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione

Per quanto concerne i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i poteri negoziali e

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9.4. Sanzioni

La formulazione delle disposizioni riguardanti il regime sanzionatorio ha sollevato molti dubbi interpretativi, in quanto non sono chiaramente identificati l’organo o l’autorità competente a garantire l’esecuzione degli effetti sanzionatori, tenendo conto anche della difficoltà per l’amministrazione di verificare il comportamento di un dipendente cessato dal servizio.

Le conseguenze della violazione del divieto di pantouflage attengono in primo luogo alla nullità dei contratti conclusi e degli incarichi conferiti all’ex dipendente pubblico dai soggetti privati indicati nella norma.

Al soggetto privato è inoltre preclusa la possibilità di stipulare contratti con la pubblica amministrazione. Come già chiarito nel PNA 2013 e nel bando-tipo n. 2 del 2 settembre 2014 adottato dall’Autorità, le pubbliche amministrazioni sono tenute a inserire nei bandi di gara o negli atti prodromici all’affidamento di appalti pubblici, tra i requisiti genera

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10. La rotazione

La “rotazione del personale” è una misura di prevenzione della corruzione esplicitamente prevista dalla l. 190/2012 (art. 1, co. 4, lett. e), co. 5, lett. b), co. 10, lett. b)), sulla quale l’Autorità intende nuovamente soffermarsi per il rilievo che essa può avere nel limitare fenomeni di “ mala gestio” e corruzione. Tenuto conto di alcune criticità operative che tale istituto presenta, l’Autorità nel PNA 2016, ha dedicato all’argomento un apposito approfondimento (§ 7.2) cui si rinvia. In tale approfondimento si è dato conto della distinzione fra la rotazione ordinaria prevista dalla l. 190/2012 e la rotazione straordinaria prevista dall’art. 16, co. 1, lett. l-quater del d.lgs. 165/2001, che si attiva successivamente al verificarsi di fenomeni corruttivi.

L’orientamento dell’ANAC è stato quello di rimettere l’applicazione della misura della rotazione ordinaria alla autonoma programmazione delle amministrazioni e degli altri enti tenuti all’applicazione della l. 190/2012 in modo che queste possano adattarla alla concreta situazione dell’organizzazione degli uffici, indicando ove non sia possibile applicare la misura (per carenza di personale, o per professionalità con elevato contenuto tecnico) di operare scelte organizzative o adottare altre misure di natura preventiva con effetti analoghi (PNA 2016 § 7.2.2.).

Tuttavia nell’ambito dell’attività di vigilanza svolta da ANAC nel corso del 2016/2017, è emerso che, di fatto, la misura, anche quando prevista nei PTPC delle amministrazioni esaminate, non è stata poi concretamente attuata né sono state adottate misure alternative in luogo della rotazione.

Nel PNA 2017 si è reso, quindi, necessario tornare sull’argomento, invitando le amministrazioni a tener conto della misura della rotazione anche in via complementare con altre misure. È stato, altresì, ricordato che la l. 190/2012 prevede all’art. 1, co. 14, precise responsabilità in caso di violazione delle mi

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PARTE SPECIALE - APPROFONDIMENTI
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I - AGENZIE FISCALI - Parte generale
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Premessa: le ragioni dell’intervento dell’Autorità

Il presente approfondimento riguarda le Agenzie fiscali (Agenzia del demanio, Agenzia delle dogane e dei monopoli, Agenzia delle entrate, Agenzia delle entrate-riscossione) enti che, sia pure con funzioni e particolarità organizzative differenti, presentano diversi elementi in comune.

Molteplici sono le ragioni che hanno spinto l’Autorità a dedicare alle Agenzie fiscali un’apposita sezione nell’Aggiornamento 2018 al PNA. L’attività delle Agenzie fiscali si presta ad essere particolarmente esposta a pressioni indebite e a fenomeni corruttivi o di maladministration per diversi motivi legati alla tipologia e eterogeneità di funzioni di estrema importanza che l’ordinamento attribuisce loro, alla diffusa articolazione delle strutture sul territorio, alla gran quantità di interessi sia pubblici che privati incisi dalle decisioni che le Agenzie assumono, all’estesa platea di portatori di interesse cui esse si rivolgono e alla, conseguente, gestione di una quantità assai elevata di dati e informazioni.

Tant’è che, come si avrà modo di illustrare, già prima della l. 190/2012, il legislatore aveva previsto per tale settore di amministrazione misure di prevenzione della corruzione, con particolare riferimento a quelle relative alla limitazione di situazioni di conflitto d’interesse dei dipendenti delle Agenzie. Considerate le caratteristiche organizzative e funzionali sopra accennate, le stesse Agenzie, peraltro, da diverso tempo hanno svolto sul territorio un’intensa attività di controllo interno per assicurare la correttezza e omogeneità dell’azione amministrativa.

L’entrata in vigo

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1. Organizzazione e funzioni delle Agenzie fiscali

Di seguito si illustrano in modo necessariamente sintetico la natura giuridica, le competenze e l’organizzazione delle Agenzie fiscali.

Le Agenzie fiscali, istituite con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (art. 57) per la gestione delle funzioni già esercitate dai Dipartimenti delle entrate, delle dogane, del territorio, sono « strutture che svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, che operano al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali» (d.lgs. 300/1999, art. 8), dotate di propria autonomia e vigilate dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Il citato d.lgs. 300/1999 contemplava quattro Agenzie fiscali (Agenzia delle entrate, delle dogane, del territorio e del demanio), con personalità giuridica di diritto pubblico (art. 61) aventi natura non economica.

Tale impianto è stato successivamente modific

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2. Raccomandazioni comuni per la prevenzione della corruzione
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2.1. Integrità dei dipendenti e misure collegate alla verifica dell’assenza di conflitto di interessi

Nel corso dei lavori del tavolo tecnico è emerso come orientamento di fondo quello secondo cui per le tipologie di interessi incisi dall’attività delle Agenzie e per la delicatezza delle materie trattate e dei servizi resi dalle stesse, è richiesto da parte dei dipendenti delle Agenzie un rispetto particolarmente rigoroso dei principi di imparzialità, integrità e lealtà cui sono tenuti tutti i dipendenti pubblici.

Infatti, come già accennato, occorre considerare che il personale, che svolge attività che possono anche richiedere elevati gradi di specializzazione, ha contatti costanti con una platea amplissima di stakeholders, siano essi privati, professionisti, imprese o altri enti pubblici ed è pertanto particolarmente esposto a pressioni che possono essere esercitate per condizionarne l’attività e orientare scelte e decisioni dell’amministrazione per il perseguimento di interessi indebiti, con pregiudizio del corretto perseguimento dell’interesse pubblico.

Una speciale attenzione meritano, pertanto, le misure di prevenzione della corruzione che fanno leva sul comportamento dei dipendenti e sull’assenza di conflitti di interesse, quali, in primo luogo, i codici di comportamento/codici etici, la disciplina sulle attività incompatibili con i compiti istituzionali e sulle inconferibilità di incarichi e quella sulle autorizzazioni delle attività compatibili.

L’esigenza di regolare, in particolare, lo svolgimento di eventuali attività esterne da parte del personale delle Agenzie fiscali è stata da tempo avvertita dal legislatore prima della l. 190/2012, tenendo conto della peculiare esperienza e della specializzazione maturate nel rapporto di lavoro con le Agenzie e della prossimità con soggetti operanti in svariati ambiti professionali. E’stata pertanto emanata una normativa speciale con il d.P.R. 16 gennaio 2002, n. 18 (Regolamento recante disposizioni per garantire l’autonomia tecnica del personale delle Agenzie fiscali) ove si prevede un regime di incompatibilità di determinate attività, proprio in ragione della specificità delle funzioni attribuite alle Agenzie.

Al riguardo, l’art. 4 del d.P.R. n. 18/2002 prevede che il « personale delle agenzie fiscali non svolge attività o prestazioni che possano incidere sull’adempimento corretto o imparziale dei doveri d’ufficio, e non esercita, a favore di terzi, attività di consulenza, assistenza e rappresentanza in questioni dicarattere fiscale, tributario e comunque connesse ai propri compiti istituzionali». In particolare, « al personale delle agenzie è inibito lo svolgimento...delle attività fiscali o tributarie proprie o tipiche degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro, nonché delle attività relative a servizi contabili e elaborazione dati, nonché a servizi di certificazione delle firme elettroniche o altri servizi connessi a tali firme, di informazione commerciale, delle attività proprie o tipiche degli ingegneri, architetti, geometri, periti tecnici, consulenti immobiliari, agenti immobiliari e delle attività relative a servizi connessi agli immobili, nonché delle attività proprie o tipiche degli spedizionieri doganali, e di ogni altra attività che appaia incompatibile con la corretta e imparziale esecuzione dell’attivit

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2.2. Pantouflage

Il fenomeno del pantouflage nelle Agenzie è meritevole di attenzione in ragione delle peculiari professionalità maturate nell’ambito del rapporto di lavoro con l’amministrazione e dei contatti frequenti con imprese/soggetti privati. Può, infatti, configurarsi il rischio che il dipendente sfrutti la posizione ricoperta al fine di precostituirsi posizioni di vantaggio di cui beneficiare una volta cessato dal servizio, ottenendo contratti di lavoro con i soggetti privati destinatari della propria attività. Può anche verificarsi il rischio che i privati, per ottenere vantaggi impropri, condizionino l’attività dei dipendenti dell’Agenzia, promettendo assunzioni o incarichi.

A riprova dell’importanza di una disciplina che regoli le conseguenze del passaggio di un dipendente delle Agenzie nel settore privato, si rammenta la normativa speciale contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica

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2.3. Informatizzazione e interoperabilità delle banche dati

In via generale, lo strumento privilegiato individuato dalle Agenzie fiscali per la prevenzione della corruzione e largamente attuato è la progressiva informatizzazione sia delle attività operative connesse alle competenze, cd. “ core”, sia delle attività relative alla governance della struttura. Tra le principali finalità sottese a tale strumento, oltre allo snellimento dei procedimenti amministrativi, vi è quella di limitare la discrezionalità degli operatori, eliminando o riducendo in modo significativo gli interventi manuali e il rischio di possibili alterazioni dei dati o documenti che sono nella disponibilità delle Agenzie. Il perseguimento di tale scopo consentirebbe in sostanza di diminuire gli episodi di mala gestio. N18

Al riguardo, nel corso dei lavori si è valutato necessario implementare il presidio dell’informatizzazione, in linea con l’evoluzione del quadro normativo che ha introdotto procedure orientate verso la completa automazione dei processi. In tal senso, può citarsi l’obbligo di emissione e ricezione delle fatture elettroniche per le operazioni di cessioni di beni e prestazioni di servizi tra soggetti residenti, stabiliti o identificati in Italia utilizzando il Sistema di Interscambio e per la trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi tra

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2.4. I sistemi dei controlli interni

Altro profilo trasversale di analisi esaminato nel tavolo di lavoro ha riguardato il sistema dei controlli esistenti, della loro impostazione e della loro efficacia e il sistema dei controlli sull’attuazione delle misure di prevenzione della corruzione previste nei PTPC delle Agenzie.

Al riguardo, giova sottolineare che i compiti relativi alla verifica dell’attuazione delle misure di prevenzione della corruzione, attribuiti al RPCT, sono complementari rispetto a quelli ordinari posti in capo agli organi di controllo interni o esterni all’amministrazione, secondo un modello organizzativo fondato sulla ottimizzazione e non sulla sovrapposizione dei diversi sistemi di controllo anche al fine di contenere fenomeni di maladministration.

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2.5. Rotazione

Altro tema di interesse comune alle Agenzie fiscali attiene alla rotazione del personale.

Al riguardo, si è rilevato che per quel che concerne i dirigenti, molti poteri sono accentrati in capo ai direttori delle articolazioni territoriali. In molti casi ricadono sui direttori in questione scelte in ordine, ad esempio, alla selezione dei soggetti da sottoporre a controllo e alla composizione dei team di controllo (cfr., ad esempio, nella parte II, il processo relativo all’accertamento dell’imposta non dichiarata di competenza dell’Agenzia delle entrate), alla modalità di svolgimento del controllo, oltre alle competenze attribuite in relazione ai servizi da erogare. L’avvicendamento, che risulterebbe limitato in alcuni casi per problemi di organico ridotto, si configura quindi quale saliente misura di prevenzione di fenomeni corruttivi, che potrebbero scaturire da un prolungato esercizio di attività discrezionali in un determinato contesto.

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2.6. Trasparenza

La trasparenza, come noto, costituisce un’importante misura di prevenzione della corruzione e allo stesso tempo uno strumento di garanzia dei diritti essenziali dei cittadini e « precondizione per rafforzare e ricostruire il rapporto di fiducia fra cittadini e poteri pubblici» (Cons. Stato, parere n. 515 del 24 febbraio 2016 sullo schema di decreto legislativo recante modifiche alle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza). Ciò vale tanto più in un settore così delicato e nevralgico per i rapporti fra le istituzioni e cittadini, imprese, professionisti, quale quello in cui operano le Agenzie fiscali.


2.6.1. Pubblicazione dati, documenti e informazioni ai sensi del d.lgs. 33/2013

Come accennato in premessa, alla luce dell’ambito soggettivo definito all’art. 2-bis del d.lgs. 33/2013, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in quanto ricomprese tra le pubbliche amministrazioni, applicano integralmente la disciplina in materia di trasparenza. L’Agenzia del demanio e l’Agenzia delle entrate-riscossione, enti pubblici economici, sono tenute al rispetto dei medesimi obblighi, secondo criteri di compatibilità, come indicato dall’ANAC nella determinazione n. 1134/2017, cit.).

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2.7. Il sistema di verifica giudiziale con particolare riferimento alle Commissioni tributarie

Un tema di carattere settoriale ma cha ha un impatto di rilievo sul sistema tributario affrontato nel corso dei lavori del tavolo tecnico è stato quello dell’attuale sistema di verifica giudiziale, con riferimento in particolare alla composizione delle Commissioni tributarie. Alcune considerazioni svolte hanno fatto emergere profili di criticità.

Sinteticamente, le Commissioni tributarie sono gli organi giurisdizionali competenti in materia tributaria, la cui disciplina di riordino è contenuta nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545. Si tratta di organi speciali cui &egrav

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AGENZIE FISCALI - Singole Agenzie
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1. Agenzia delle entrate

I fini istituzionali dell’Agenzia delle entrate attengono a due ambiti principali: il primo è relativo al perseguimento del massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali attraverso l’azione coordinata dei servizi di assistenza ai contribuenti, per favorire l’adempimento spontaneo, e dell’attività di controllo per ridurre l’evasione fiscale; il secondo ambito concerne l’offerta dei servizi catastali e geotopocartografici, la conservazione dei registri immobiliari, la gestione dell’osservatorio immobiliare e la prestazione di servizi estimativi alle pp.aa., come meglio illustrato alla fine del presente paragrafo. Alla luce dei compiti assegnati dal d.lgs. 300/1999 e della mappatura dei processi elaborata dall’Agenzia prima dell’entrata in vigore della legge 190/2012, sono configurabili tre aree strategiche di attività così distinte:

- “servizi al contribuente”, comprendenti i processi di identificazione del contribuente (attribuzione di codice fiscale, partita IVA, abilitazione accesso ai servizi telematici), assistenza al contribuente ed erogazione di servizi (rilascio di informazioni, consulenza, semplificazione della consultazione delle banche dati), liquidazione delle imposte, censimento dei beni immobili e aggiornamento dei registri di pubblicità immobiliare, produzione di informazioni statistiche sul mercato immobiliare;

- “prevenzione”, concernente le attivit&

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A) Servizi fiscali

Dall’esame del PTPCT 2018-2020 e dalla documentazione prodotta nel corso dei lavori del tavolo tecnico, è emerso che in questo ambito i processi maggiormente esposti a rischio di corruzione sono quelli relativi all’accertamento dell’imposta non dichiarata, alla difesa degli atti impugnati e al rimborso del credito erariale.


Accertamento dell’imposta non dichiarata

Nel processo dell’accertamento dell’imposta non dichiarata, una prima fase riguarda la selezione delle categorie di soggetti da sottoporre a controllo, sulla base di tutti gli elementi a disposizione dell’ufficio e consultabili nelle banche dati. Le singole posizioni soggettive selezionate sono poi inserite nel piano annuale dei controlli sostanziali e nel piano annuale delle verifiche. Si tratta di una fase molto delicata, affidata ai Direttori provinciali e regionali, con la partecipazione dei responsabili degli Uffici controlli e dei capi area. Per ogni soggetto da controllare, deve essere illustrata la motivazione della scelta del contribuente.


Possibili eventi rischiosi

Le verifiche esterne sono considerate un’attività a elevato rischio corruttivo. Nello svolgimento dei controlli e delle verifiche, i contatti diretti con i contribuenti o con i loro delegati possono esporre l’Agenzia a pressioni e condizionamenti che rischiano di pregiudicare l’imparzialità dell’azione amministrativa e alterare l’esito dei controlli. L’esperienza maturata in tale ambito di attività ha messo in luce alcuni possibili eventi rischiosi, di seguito riportati:

- la modifica arbitraria (ad es. archiviazione, rinvio, esclusione di contribuenti) o il mancato aggiornamento dei piani annuali di controllo (PAC) e verifiche (PAV), con l’effetto di determinare il mancato accertamento di posizioni contributive;

- la rivelazione di informazioni riservate attinenti ai piani, che può causare una disparità di trattamento dei contribuenti assoggettati ai controlli;

- l’omessa o la parziale rilevazione delle violazioni riscontrate o illegittima rideterminazione del tributo erariale, con l’effetto di determinare la conclusione dell’istruttoria nel senso meno sfavorevole per il contribuente;

- l’abuso della funzione al fine di indurre il contribuente a dare o promettere denaro per un trattamento più favorevole in esito all’accertamento;

- la errata o la tardiva notific

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B) I servizi catastali e i servizi di pubblicità immobiliare

Nel corso delle riunioni del tavolo tecnico particolare attenzione è stata dedicata ai compiti di gestione dei servizi in materia catastale, cartografica e di pubblicità immobiliare. La Conservatoria dei Registri Immobiliari è ora denominata “ Reparto Servizi di Pubblicità Immobiliare”. Tali compiti precedentemente svolti dall’Agenzia del territorio, incorporata all’Agenzia delle entrate per effetto dell’art. 23-quater del d.l. n. 95/2012, rientrano tra quelli istituzionali assegnati all’Agenzia delle entrate.

In sede di tavolo tecnico sono stati in particolare esaminati alcuni processi, considerati ad elevato rischio corruttivo, per le forti pressioni di interessi particolaristici che possono condizionare il perseguimento dell’interesse generale. Per essi sono state valutate ulteriori misure di prevenzione, oltre a quelle pur significative già enucleate nel PTPC 2018/2020 dell’Agenzia delle entrate.

I processi analizzati nel corso dei lavori riguardano:

- la fase di aggiornamento dei dati e delle rendite nelle banche dati catastali e la procedura di accatastamento fabbricati c.d. Docfa

- la fase di aggiornamento dei registri di pubblicità immobiliare.


Aggiornamento dei dati e delle rendite nelle banche dati catastali

Il servizio del catasto ha storicamente la funzione di effettuare una mappatura degli immobili ai fini innanzitutto fiscali e civilistici. Inoltre la banca dati catastale può essere di supporto agli enti locali per i loro fini istituzionali, tra cui anche quelli di rilievo urbanistico ed edilizio N26.

L’informatizzazione di tutti i processi ha semplificato e velocizzato le procedure, riducendo altresì la possibilità di eventi corruttivi e di errori. Per altro verso è aumentato il livello di coinvolgimento dei professionisti, generando alcuni rischi di possibili eventi corruttivi, di cui si dirà più avanti.

In sede di tavolo tecnico sono emerse diverse criticità che attengono al settore dell’aggiornamento dei dati catastali su cui l’Agenzia delle entrate ha posto particolare attenzione.

È stato sottolineato che permangono profili, riguardanti il settore in generale, che possono essere causa dell’insorgenza di fenomeni corruttivi. Ad esempio, la situazione delle rendite catastali degli immobili nei centri storici delle grandi città (di alto valore rispetto alla media del territorio) che non sono aggiornate e risultano, in genere, inferiori a quelle degli immobili delle zone

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2. Agenzia delle entrate-riscossione

L’Agenzia delle entrate-riscossione svolge il servizio pubblico della riscossione su tutto il territorio nazionale, ad eccezione della Regione Sicilia. L’Agenzia riscuote i tributi per conto di migliaia di enti (Agenzia delle entrate, enti previdenziali, quali l’INAIL e l’INPS, comuni e altre tipologie di enti). Il titolare del credito è il singolo “ente creditore” che affida all’Agenzia il compito della riscossione.

L’attività principale è costituita dalla riscossione coattiva, attivabile nei casi previsti dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 su specifico mandato degli enti creditori che trasmettono gli elenchi dei debiti dei contribuenti. La riscossione coattiva presuppone la notifica preliminare della cartella di pagamento, ad eccezione dei carichi affidati dall’INPS o, per alcuni, dall’Agenzia delle entrate.

L’Agenzia deve poi espletare i compiti relativi alla gestione delle attività connesse ad eventuali richieste, da parte del contribuente (cittadini e imprese), di rateizzazione, adesione alla definizione agevolata, compensazione, sgravio, sospensione e contestazione dei debiti.

Le fasi successive riguardano l’incasso delle somme e, in caso di mancato pagamento, l’attivazione delle procedure cautelari previste (fermo e ipoteca) ed esecutive (pignoramento presso terzi e procedure mobiliari e immobiliari).

Un fenomeno che riguarda in modo trasversale tutti i processi gestiti dall’Agenzia è quello dell’accesso improprio agli strumenti informatici. Si rammenta che il codice etico dell’ente contiene specifiche disposizioni in merito, vietando l’acquisizione, l’utilizzo e la trasmissione di informazioni e contenuti non attinenti all’attivit&

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3. Agenzia del demanio

Come accennato nella parte introduttiva del presente documento, l’Agenzia del demanio è nata dalla suddivisione e dal conferimento delle funzioni del Ministero delle finanze alle quattro Agenzie fiscali, istituite nell'ambito della nuova organizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi del decreto legislativo n. 300 del 1999.

Con decreto legislativo n. 173/2003 l’Agenzia è stata trasformata in ente pubblico economico e dotata, oltre che di maggiore autonomia gestionale, di un proprio patrimonio costituito da un fondo di dotazione e da beni mobili ed immobili strumentali alla sua attività, individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

L’interlocuzione con gli enti territoriali e locali riveste un’importanza fondamentale nel

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A) Attività estimale

In relazione all’attività estimale, si ravvisa un ampio spettro di poteri in capo all’Agenzia del demanio. Più in dettaglio, in ambito statale l’Agenzia:

- esprime le proprie valutazioni estimative ai fini della vendita, permuta, locazione e concessione di immobili di proprietà dello Stato, nonché dell’acquisto di immobili (art. 64, co. 3-bis, del d.lgs. 300/1999; art. 1, co. 479, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, legge finanziaria 2006);

- determina la congruità del canone, nell’ambito dei procedimenti finalizzati al rilascio del nulla osta alla stipula dei contratti di locazione (art. 2, co. 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, legge finanziaria 2010);

- espleta l’attività estimativa per la vendita dei beni mobili ai sensi del d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 189 (beni mobili fuori uso in dotazione alle amministrazioni; beni mobili rinvenuti in immobili di proprietà statale, non ritirati dal proprietario; beni mobili acquisiti dallo Stato ai sensi dell’art. 586 c.c. ovvero per devoluzione per debito di imposta);

- effettua la stima dei veicoli confiscati in via amministrativa ai sensi del codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285);

- in generale, effettua consulenza tecnica erariale per il Ministro dell’economia e delle finanze e per lo Stato.

Le funzioni in materia estimale sono state progressivamente estese dal legislatore anche ai beni di interesse della generalità delle pubbliche amministrazioni, enti territoriali e non, al fine di garantire un maggior controllo e contenimento della spesa pubblica. In particolare, l’Agenzia:

- determina la congruità del prezzo nell’ambito delle procedure di acquisto degli immobili, improntate a criteri di indispensabilità e indilazionabilità. I contratti sottoscritti in assenza di tale congruità sono nulli (art. 12, co. 1-bis e 1-ter del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111);

- si esprime in merito alla congruità del canone per nuova locazione passi

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B) Contratti pubblici

Un altro ambito sul quale è opportuno richiamare l’attenzione è quello concernente l’attività di affidamento e gestione degli appalti, che rappresenta un settore di estrema rilevanza viste le competenze attribuite all’Agenzia del demanio per la gestione del patrimonio pubblico.

In considerazione delle attività attinenti alla valorizzazione e razionalizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, i servi

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4. Agenzia delle dogane e dei monopoli

Come riferito dai rappresentanti dell’Agenzia al tavolo di lavoro, le modifiche dello Statuto e del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, recentemente approvate dal Comitato di gestione con delibere del 28 febbraio e 17 aprile 2018 e dal Mef il 26 aprile 2018, hanno ridefinito la missione e le funzioni dell’Agenzia introducendo misure di razionalizzazione dell’assetto organizzativo, volte a superare la divisione delle aree attinenti al settore dogane e al settore monopoli e a migliorare l’impiego delle risorse umane e professionali.

In particolare, ai sensi dell’art. 2 del nuovo Statuto, l’Agenzia favorisce la circolazione delle merci negli scambi internazionali, contribuisce alla fiscalità interna e alla tutela degli interessi finanziari del Paese e dell’Unione Europea, provvedendo alla riscossione di tributi specifici e alla lotta all’evasione fiscale e alle frodi, anche con poteri di polizia tributaria e giudiziaria. L’Agenzia inoltre esercita il ruolo di presidio dello Stato nei settori dei giochi e dei tabacchi, attraverso la riscossione dei tributi, il contrasto agli illeciti e la gestione del mercato mediante concessioni e atti regolamentari

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A) Sistema dei controlli

I controlli nelle varie aree di competenza costituiscono una delle principali funzioni istituzionali dell’Agenzia, svolta dalle strutture territoriali in conformità alla strategia e alle modalità stabilite a livello centrale da diverse direzioni. N36

Tale attività riguarda la circolazione delle merci nell’Unione Europea, per assicurare il rispetto della normativa in materia tributaria e per contrastare illeciti di natura extra-tributaria connessi al passaggio delle merci in dogana (riconducibili al settore delle sostanze stupefacenti, delle armi, dei beni del patrimonio culturale, di prodotti contraffatti in violazione di normative in materia sanitaria o di sicurezza, del commercio di esemplari di specie animali e vegetali minacciate di estinzione, protette dalla convenzione di Washington).

I controlli inoltre sono svolti nei settori degli scambi intracomunitari, per la corretta applicazione dell’IVA.

In materia di accise, i controlli riguardano gli scambi, la produzione e il consumo dei prodotti e delle risorse naturali sottoposti ad accisa.

Nel settore monopoli, i controlli sono relativi al regolare adempimento degli obblighi tributari e degli obblighi e divieti in vigore per i comparti del tabacco e dei giochi pubblici.

La rilevanza degli interessi economici degli operatori coinvolti rende l’attività dei controlli particolarmente esposta al rischio di fenomeni corruttivi, tenuto anche conto che la natura estremamente tecnica e specialistica delle materie trattate dall’Agenzia potrebbe determina

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B) Autorizzazioni e concessioni

Altro settore che si presta a condizionamenti e a pressioni improprie è quello del rilascio di autorizzazioni e concessioni inquadrabile in gran parte più propriamente nell’ambito dei rapporti fra amministrazione/creditrice e operatore economico/debitore, che discendono dall’obbligazione tributaria. L’Agenzia adotta, fra l’altro, le decisioni per il riconoscimento dello status di Authorized economic operator (AEO), per la costituzione e l’esercizio dei centri di assistenza doganale, per il rilascio di licenze fiscali, per l’ammissione a impieghi agevolati o ese

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C) Sgravio o rimborso dell’imposta sul valore aggiunto per i soggetti domiciliati o residenti fuori dall’U.E.

Il beneficio fiscale, nella forma dello sgravio o del rimborso dell’IVA, in favore dei soggetti domiciliati o residenti fuori dall’Unione Europea previsto dall’art. 38-quater del d.P.R. 633/1972, riguarda i beni acquistati in Italia a condizione che l’importo sia superiore a 154,94 euro, siano destinati all’uso personale o familiare e trasportati in bagagli fuori del territorio doganale dell’Unione Europea, entro il termine di tre mesi.

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D) La gestione e la custodia delle merci sequestrate, confiscate o abbandonate

In sede di tavolo di lavoro, è stata richiamata l’attenzione sulle competenze attribuite all’Agenzia in materia di merci sequestrate, confiscate e abbandonate, ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale-TULD (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43). In particolare, l’art. 333 del TULD stabilisce che le cose sequestrate per i reati previsti in materia di contrabbando sono prese in custodia dalla dogana più vicina al luogo del sequestro. La custodia delle merci sequestrate, confiscate o abbandonate è svolta direttamente dagli Uffici delle dogane o mediante strutture gestite da privati, nei casi in cui l’Agenzia non abbia spazi idonei. Le merci sequestrate, confiscate o abbandonate rimangono in custodia per lunghi periodi di tempo, anche per cause indipendenti dall’Agenzia, spesso legate a sequestri di natura penale.

Pur disciplinate da una normativa differente, anche le merci relative all’area mo

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II - LE PROCEDURE DI GESTIONE DEI FONDI STRUTTURALI E DEI FONDI NAZIONALI PER LE POLITICHE DI COESIONE
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Premessa

La presente sezione di approfondimento dell’Aggiornamento 2018 del PNA è stata elaborata al termine dei lavori svolti dal tavolo tecnico istituito da ANAC in materia di “Procedure di gestione dei fondi strutturali e dei fondi nazionali per le politiche di coesione” , cui hanno preso parte i rappresentanti del Dipartimento per le politiche di coesione e dell’Agenzia per la coesione territoriale (ACT), del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), del Ministero dello sviluppo economico (MISE), del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS) e delle Regioni Abruzzo, Lazio, Lombardia e Puglia.

La scelta di effettuare un focus sulle procedure per l’impiego dei finanziamenti europei e nazionali si spiega, in primo luogo, con la considerevole entità delle risorse pubbliche assegnate alle amministrazioni centrali e regionali dall’Unione europea e dal Governo. La straordinaria rilevanza economica delle somme gestite dai Ministeri e dalle Regioni nell’ambito dei programmi europei, Programmi operativi nazionali (PON) e regionali (POR), e degli strumenti nazionali (Piani operativi, Piani stralcio, Patti per lo sviluppo) impone un attento monitoraggio della spesa affinché l’allocazione delle risorse finanziarie avvenga nel rispetto del principio di sana gestione finanziaria (efficienza, efficacia, economicità), come previsto dall’art. 310 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e dall’art. 30 del Reg. finanziario (UE, Euratom) 966/2012, nonché

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1. Le principali aree di analisi

Alla luce di quanto premesso, i lavori del tavolo tecnico si sono svolti analizzando, in particolare, i seguenti ambiti operativi:

- l’individuazione degli interventi e l’assegnazione delle risorse, fase prope

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1.1. Individuazione degli interventi

I lavori del tavolo tecnico hanno preso avvio dall’analisi della disciplina comunitaria a cominciare dalla fase di programmazione

Lo stanziamento e la suddivisione dei Fondi tra Stati membri e Regioni seguono un iter complesso. A parte le negoziazioni per la definizione del quadro generale del bilancio comunitario su cui le istituzioni europee definiscono e finalizzano il Regolamento relativo alle disposizioni comuni sui Fondi Strutturali e i Regolamenti specifici relativi a ciascun Fondo, la Commissione europea interviene a livello di ogni singolo Paese con un Position Paper. In esso sono espresse le priorità e le sfide specifiche per il Paese e impostato il quadro per la successiva definizione delle strategie a livello nazionale.

Queste ultime sono individuate nell’Accordo di Partenariato, documento in cui ogni Stato membro descrive la propria strategia per l’utilizzo dei Fondi strutturali.

L’Accordo di Partenariato dettaglia per ognuno dei Fondi, per ogni Regione e per ognuno degli Obiettivi tematici fissati a livello europeo, le priorità nazionali, le modalità di attuazione e l’allocazione dei finanziamenti. Tale Accordo viene stilato dagli Stati membri con il coinvolgimento di partner indicati dall’art. 5 del Reg. 1303/2013 (autorità regionali e locali, parti economiche e sociali, pertinenti organismi che rappresentano la società civile compresi i partner ambientali, le organizzazioni non governative e gli organismi di promozione dell’inclusione sociale, della parità di genere e della non discriminazione), in coerenza con l’impostazione di una governance multilivello. L’Accordo è poi sottoposto all’approvazione della Commissione europea.

Tra i contenuti essenziali dell’Accordo di Partenariato rientra un'analisi delle disparità, delle esigenze di sviluppo e del potenziale di crescita, in base al programma nazionale di riforma e alle raccomandazioni specifiche destinate al Paese nell’ambito del Semestre europeo; l’elencazione delle misure per garantire l'efficace utilizzo dei fondi di investimento europei (fondi SIE) e per il coordinamento tra i fondi SIE con gli altri finanziamenti europei e nazionali; informazioni essenziali per la verifica ex ante della conformità alle regole in materia di addizionalità e indicazione delle azioni con cui si intende rafforzare la capacità amministrativa delle autorità coinvolte nella gestione e nel controllo dei programmi.

L’Accordo di partenariato è predisposto dal Governo in collaborazione con le Autorità regionali e locali ed in dialogo con la Commissione europea. Vi è anche una fase di esame in sede parlamentare che si svolge anche tramite audizione dei soggetti interessati (oltre a rappresentanti del Governo, può trattarsi anche dei Presidenti delle Regioni e delle forze sociali).

Nell’ambito della politica regionale di coesione per il ciclo 2014-2020, accanto ai Programmi finanzia

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1.2. La gestione e il controllo: le Autorità preposte

Il sistema di gestione e controllo dei programmi finanziati dai Fondi strutturali risponde all’esigenza di assicurare l’efficace attuazione degli interventi e la sana gestione finanziaria, nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale applicabile.

Anche per la nuova programmazione è stato confermato l’assetto del sistema di gestione e controllo dei programmi operativi attraverso la costituzione di tre autorità: Autorità di Gestione (di seguito AdG), Autorità di Certificazione (di seguito AdC) e Autorità di Audit (di seguito AdA).

Occorre preliminarmente dare atto della circostanza che in sede di definizione della strategia 2014-2020 tramite l’elaborazione dell’Accordo di Partenariato adottato tra la Commissione Europea e lo Stato Italiano in data 29.10.2014, sono stati dettagliati nell’Allegato II «Elementi salienti della proposta di Si.Ge.Co. 2014-2020» , ed alla luce di quanto già indicato dal Regolamento UE 1303/2013 e suoi allegati, i principi generali applicabili al sistema di gestione e controllo che includono, per ciascuna struttura organizzativa (AdG, AdC, AdA), l’individuazione delle principali procedure e la definizione di «strumenti idonei a garantire la legalità e la regolarità delle operazioni finanziate» , auspicando, altresì, una adeguata diffusione di tali indicazioni anche nei confronti degli eventuali organismi intermedi e dei beneficiari.

Le specifiche indicazioni contenute nel suddetto Allegato e ivi dettagliate per singola Autorità, proprio in ragione della finalità indicata, sono, pertanto, da ritenersi già quali misure di prevenzione della corruzione alle quali deve essere fatto adeguato riferimento in sede di predisposizione dei PTPC da parte di tutte le amministrazioni coinvolte nel processo di gestione e controllo dei Fondi strutturali.

Pur in presenza del ricordato positivo quadro di disposizioni sulla gestione e sul controllo, dall’analisi effettuata nel tavolo tecnico sono emersi alcuni profili di criticità che rendono opportuna l’individuazione di misure di prevenzione della corruzione relativamente ai soggetti sopra indicati.

A seguire, pertanto, il presente approfondimento fornisce indicazioni integrative e/o esplicative rispetto a quanto già descritto nel suddetto Allegato II, in relazione alle modalità di analisi dei rischi corruttivi specifici afferenti al processo di gestione e controllo ed alla descrizione delle eventuali e possibili misure di prevenzione.

A tal fine le indicazioni vengono distinte alla luce di due ambiti omogenei che presentano analogia di criticità e rischi corruttivi: la fase relativa alla costituzione e alla composizione delle Autorità e quella dell’organizzazione e dello svolgimento delle attività delle Autorità.


1.2.1. Costituzione e composizione delle Autorità di gestione, di certificazione e di audit

L’Autorità di Gestione (AdG) è responsabile della gestione di uno o più programmi operativi, nonché della esecuzione gestione e controllo delle azioni previste da tali programmi e del raggiungimento dei relativi risultati, attraverso la messa in opera di tutte le misure necessarie, idonee ad assicurare il corretto utilizzo delle risorse finanziarie ed il puntuale rispetto della normativa comunitaria e nazionale applicabile. Essa è normalmente un’Autorità pubblica o organismo pubblico nazionale, regionale o locale, o un organismo privato designato che adempie tutte le funzioni corrispondenti a quanto definito nell’art. 125 del Regolamento (UE) 1303/2013 e negli atti delegati di esecuzione.

Le funzioni principali dell’AdG, qui solo sinteticamente riportate, sono sostanzialmente tre:

1. gestione del programma operativo (ivi incluse la rendicontazione dello stato di avanzamento e la trasmissione di informazioni agli organismi intermedi ed ai beneficiari);

2. selezione delle operazioni da finanziare;

3. gestione finanziaria e controllo del programma operativo.

Ulteriori e delicate funzioni sono svolte dall’Autorità di Certificazione che, ai sensi dell’art. 126 Reg. (UE) n. 1303/2013, si occupa di tutto ciò che riguarda l’elaborazione, la trasmissione e la certificazione delle domande di pagamento alla Commissione europea, della preparazione e della certificazione dei conti nonché di garantire l'esistenza di un sistema di registrazione e conservazione informatizzata dei dati contabili per ciascuna operazione. L’Autorità di Certificazione deve inoltre tenere una contabilità degli importi recuperabili e degli importi ritirati a seguito della soppressione totale o parziale del contributo a un’operazione.

L’AdG e l’AdC sono individuate a seguito di una complessa e articolata procedura di designazione, volta a prevenire eventuali carenze da parte delle stesse in fase di attuazione dei programmi operativi.

Il provvedimento di designazione dell’AdG e dell’AdC è adottato dall’amministrazione titolare del programma, sulla base del parere dell’Autorità di Audit, ai sensi dell’art. 124 del Reg. (UE) n. 1303/2013. L’Accordo di Partenariato 2014/2020 prevede che le AdA italiane assicurino la designazione delle AdG ed AdC sulla base di una valutazione finalizzata ad accertare la conformità dei sistemi di gestione e controllo rispetto ai criteri fissati nell'Allegato XIII del Reg. (UE) n. 1303/2013, secondo le indicazioni contenute in un apposito Documento predisposto dal Ministero dell’economia e finanze-Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’UE (IGRUE) e condiviso con le stesse Autorità di Audit.

Esso prevede tra i diversi punti di controllo anche quelli relativi alla tempestiva elaborazione della manualistica, alla disponibilità di personale competente ed adeguato, alla previsione di procedure chiare e adeguate per la selezione e approvazione degli interventi e alla predisposizione di un sistema informativo adeguato.

L’Autorità di Audit (AdA), come previsto dall’art. 127, co. 1 del Reg. (UE) n. 1303/2013, garantisce, in particolare, lo svolgimento di attività di audit sul corretto funzionamento del Sistema di gestione e controllo del programma operativo e su un campione di operazioni sulla base delle spese dichiarate N46. Sulla base del lavoro svolto, a norma dell’art. 127, co. 5, l’AdA prepara annualmente un parere di audit sui conti N47 ed una relazione di controllo che evidenzi le principali risultanze delle attività di audit svolte, comprese le carenze riscontrate nei sistemi di gestione e di controllo e le azioni correttive proposte e attuate.

L’AdA è funzionalmente indipendente dall'Autorità di Gestione e dall'Autorità di Certificazione e può essere designata per più di un programma operativo. Può essere anche incardinata nella medesima autorità pubblica/organismo pubblico della quale fanno parte l’AdG e l’AdC, purché sia rispettato il principio della separazione delle funzioni tra le medesime autorità. Per i Programmi operativi regionali, viene istituita un’Autorità di audit per ciascuna Regione.

L’Allegato II dell’Accordo di Partenariato 2014/2020 ha disciplinato la procedura di designazione della AdA da parte dell’IGRUE che rilascia un parere obbligatorio e vincolante in merito alle proposte di designazione dell’AdA formulate dalle amministrazioni titolari dei programmi operativi.


Possibili eventi rischiosi

In relazione alla costituzione e alla composizione delle Autorità, di seguito sono indicati alcuni possibili eventi rischiosi ricollegabili all’ingerenza di interessi privati o pressioni indebite volti a considerare l’esercizio delle attività amministrative di gestione e controllo.

Giova precisare, in ogni caso, che già la normativa comunitaria prevede presidi di controllo al riguardo. Oltre alle misure previste nei Si.Ge.Co, il MEF-IGRUE, in qualità di Organismo Coordinatore in tema di controlli, effettua il monitoraggio del mantenimento dei requisiti di designazione delle AdA ed effettua un controllo sugli audit di sistema svolti dall’AdA sulle altre Autorità di programma (audit che prevedono espliciti punti di verifica sulle misure su richiamate).

I rischi corruttivi valutati all’interno del tavolo di lavoro si ricollegano tutti a ipotesi di situazioni di possibile presenza di conflitti di interesse e di incompatibilità di cui fa parte delle Autorità.

In particolare, si possono rappresentare, come ipotesi concrete, le seguenti:

- svolgimento da parte degli stessi funzionari presso la medesima Amministrazione, in un arco temporale ristretto (ultimo triennio ad esempio), di funzioni di AdG o di AdC e successivamente di attività di AdA, o viceversa, con violazione del principio della separazione delle funzioni tra le medesime autorità;

- assunzione contestuale da parte di soggetti cui è affidata la funzione di AdG, AdC o AdA, di incarichi di Organi Amministrativi (CdA) o di controllo (Revisore dei c

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2. La Trasparenza
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2.1. Il sistema della trasparenza nella gestione dei fondi strutturali e nazionali di coesione

Il tema della trasparenza delle informazioni e dell’utilizzo dei dati concernenti la gestione dei fondi SIE è presidiato con particolare attenzione nel sistema italiano, in coerenza con il quadro normativo europeo per la programmazione 2014-2020.

Ogni Stato membro ha l’obbligo di assicurare la pubblicazione delle informazioni su tutti i programmi operativi e sul loro stato di attuazione in formato aperto, attraverso un sito o portale web unico, ai sensi dell’art. 115 delReg. (UE) n. 1303/2013.

È stato, inoltre, identificato con maggior dettaglio - rispetto alla precedente programmazione - il livello minimo di dati da pubblicare, riferiti alle operazioni finanziate con i fondi SIE (art. 115, par. 2 e all. XII del regolamento).

La piattaforma informatica di riferimento a livello nazionale è il portale web “OpenCoesione” , attivo dal 2012 e gestito dal Dipartimento per le politiche di coesione, in cui confluiscono i dati, rielaborati, forniti dall’IGRUE.

Si evidenzia che la rilevazione costante, da parte dell’IGRUE, del complesso delle informazioni sulla destinazione dei finanziamenti e sullo stato di attuazione degli interventi è riconducibile al sistema nazionale di monitoraggio unitario, nel rispetto dei requisiti di carattere generale indicati nell’All. II dell’Accordo di partenariato 2014-2020. In particolare, il sistema assicura univocità dei processi di divulgazione ufficiale dei dati nei confronti della Commissione europea e degli altri interlocutori istituzionali.

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3. Le Politiche di Coesione finanziate con il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione

Il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione è lo strumento principale di promozione ed attuazione della politica nazionale di coesione territoriale. Il Fondo è volto a garantire unità programmatica e finanziaria all’insieme degli interventi aggiuntivi al finanziamento nazionale per il riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese. Esso si articola in un arco temporale di sette anni, coincidente con la programmazione dei fondi strutturali dell’Unione europea, per garantire l’unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi strutturali dell’UE.

La delibera Cipe n. 25 del 10.8.2016 ha indicato l’ammontare delle risorse assegnate al Fondo per il ciclo di programmazione 2014-2020, individuando le aree tematiche e stabilendone la relativa dotazione finanziaria. La legge di stabilità del 2015 (art. 1, co. 703, lett. c) ha previsto che per ciascuna area tematica nazionale siano prog

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III - GESTIONE DEI RIFIUTI
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Premessa

Il settore della gestione dei rifiuti si presenta, rispetto ad altri ambiti di attività in cui è coinvolta la pubblica amministrazione, caratterizzato da particolare complessità normativa e organizzativa in conseguenza della varietà dei livelli istituzionali coinvolti e della intrinseca difficoltà tecnica della disciplina giuridica.

Un’inadeguata gestione si traduce in un disservizio immediatamente percepibile, con conseguenze indesiderate sulla qualità della vita e sulla salute dei cittadini. Nel tempo si è, inoltre, creata una forte preoccupazione sui rischi ambientali e sanitari correlati alla gestione dei rifiuti e una generale diffidenza verso l’adeguatezza e il rispetto degli standard previsti per gli impianti.

Il coinvolgimento e il ruolo svolto dai privati all’interno della filiera hanno una rilevanza economica notevole e gli eventi corruttivi legati al settore dei rifiuti emergono frequentemente. Inoltre, si registra una notevole discrasia fra l’assetto normativo e la sua attuazione.

L’insieme di queste circostanze ne fa, dunque, un ambito meritevole di specifica attenzione dal punto di vista del rischio di eventi corruttivi.

Per l’elaborazione del presente approfondimento, l’Autorità ha costituito un tavolo tecnico cui hanno partecipato rappresentanti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), l’Unione delle province italiane (UPI), l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ed esperti della materia.

L’approfondimento è dedicato a tutto il processo di gestione dei rifiuti e assimilati: dalla pianificazione, al sistema delle autorizzazioni, al quadro dei controlli e delle relative competenze, agli assetti amministrativi e agli affidamenti. Le analisi e le misure proposte riguardano l’intera filiera gestionale.

Il primo passaggio procedurale è costituito dalla predisposizione e adozione, da parte delle Regioni, del Piano regionale di gestione dei rifiuti, strumento di pianificazione che definisce le necessità impiantistiche e infrastrutturali al fine di garantire un sistema di gestione dei rifiuti conforme al principio di autosufficienza. A tale livello sono definiti sia i singoli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) sul territorio regionale per evitare la frammentazione delle gestioni e realizzare, invece, un servizio di gestione integrata specificamente tarato su dimensioni adeguate, sia stabiliti i criteri per l’individuazione dei luoghi

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1. La gestione dei rifiuti - Quadro normativo di riferimento

La normativa di riferimento è costituita dal

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2. Pianificazione
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2.1. Il processo di pianificazione

La gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di “ambiti territoriali ottimali” (ATO), delimitati dalle Regioni, sentite le Province e i Comuni interessati, nell’ambito delle attività di programmazione e di pianificazione di loro competenza.

Sulla base dei criteri generali posti dallo Stato, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, le Regioni, sentite le Province, i Comuni e, per quanto riguarda i rifiuti urbani le Autorità d’ambito, predispongono e adottano Piani regionali di gestione dei rifiuti. Per l’approvazione dei Piani regionali si applica la procedura prevista in materia di VAS.

I Piani di gestione dei rifiuti comprendono:

- l’analisi della gestione dei rifiuti esistente nell’ambito geografico interessato;

- le misure da adottare per migliorare l’efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti;

- una valutazione del modo con cui i Piani contribuiscono all’attuazione degli obiettivi e delle disposizioni previste dalla normativa vigente in materia di rifiuti.

I Piani regionali di gestione dei rifiuti prevedono inoltre:

- tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale;

- i sistemi di raccolta dei rifiuti e gli impianti di smaltimento e recupero esistenti;

- una valutazione sulla necessità di nuovi sistemi di raccolta, sulla chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, su ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità e se necessario sugli investimenti correlati;

- informazioni sui criteri di riferimento per l’individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario;

- politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione;

- la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale;

- il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari, da una parte, a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali e, dall’altra, ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli

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2.2. Fase di redazione del piano

Possibili eventi rischiosi

- Formulazione generica o poco chiara del Piano, oppure inadeguatezza delle previsioni impiantistiche necessarie a soddisfare il fabbisogno rispetto ai flussi reali (che possono essere sottostimati, determinando successivamente situazioni di emergenza, o sovrastimati, con conseguente previsione di impianti non necessari).

- Assenza di chiare e specifiche indicazioni in merito alle necessità cui fare fronte e alle scelte di gestione complessiva cui devono corrispondere le scelte tecniche. Da ciò consegue che scelte tecniche non chiaramente orientate dal Piano possono favorire interessi particolari.

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2.3. Fase di pubblicazione e raccolta delle osservazioni

Possibili eventi rischiosi

- La complessità dell

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2.4. Fase di approvazione del Piano

Possibili eventi rischiosi

- Accoglimento di alcune osservazioni a vantagg

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2.5. Partecipazione degli enti coinvolti

Possibili eventi rischiosi

- L’elevato tasso di scelte politiche legate a

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3. Rilascio delle autorizzazioni

La normativa di riferimento è costituita dal d.lgs. 152/2006, in particolare la parte quarta (norme in materia di gestione dei rifiuti), capo IV (autorizzazioni e iscrizioni), art. 208.

Sono di competenza delle Regioni:

- l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti;

- l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi.

Le Regioni delegano, con legge, alle Province e ai Comuni specifiche competenze in relazione a quanto sopra.

La disciplina autorizzatoria prevede l’individuazione da parte del responsabile del procedimento e la convocazione di apposita conferenza di servizi. Alla Conferenza dei servizi partecipano, oltre a chi richiede l’autorizzazione, i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d’ambito e degli enti locali sul cui territorio è realizzato l’impianto.

La decisione della Conferenza de

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4. Controlli sugli impianti autorizzati

In materia di controlli, già a far data dalla pubblicazione della Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 aprile 2001 relativa ai criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri, è stata sottolineata l’esigenza di prevenire l’insorgere di disparità nei sistemi e nei meccanismi di ispezione, sia in relazione alla capacità di assolvere ai compiti ispettivi, sia per quanto riguarda la portata e l’oggetto di tali compiti.

In tal senso la definizione di criteri minimi da applicare come base comune nell’espletamento delle ispezioni ambientali costituisce uno strumento necessario per il corretto svolgimento delle attività ispettive.

In relazione alla citata necessità, le nuove disposizioni introdotte dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, in attuazione della Direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali, prevedono che le attività ispettive in sito siano definite in un piano d’ispezione ambientale a livello regionale, periodicamente aggiornato a cura della Regione, sentito il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Sull’attività di controllo e sugli aspetti sopra richiamati si segnala l’attività del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente ai sensi della legge 28 giugno 2016, n. 132 in materia di:

- crit

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5. Organizzazione amministrativa e sistema degli affidamenti

Il ciclo integrato dei rifiuti può essere suddiviso sostanzialmente in due fasi.

Una prima fase comprende le attività di spazzamento, la raccolta e il trasporto dei rifiuti che viene generalmente effettuata con l’ausilio di macchinari poco complessi, con costi di investimento e relativi tempi di ammortamento contenuti.

Una seconda fase riguarda il recupero o riciclo del rifiuto, la sua eventuale valorizzazione energetica, fino allo smaltimento finale, che richiede in genere l’impiego di impianti ad alto contenuto tecnologico, con costi di investimento e tempi di ammortamento conseguentemente più lunghi.

Si tratta di un sistema a filiera complessa, in cui devono essere contemperate diverse esigenze impiantistiche e gestionali in funzione anche della “scelta politica” che la Regione intende fare per garantire la più efficace ed efficiente chiusura del ciclo dei rifiuti, all’interno degli ATO, definiti proprio come aree di ambito ottimale dal punto di vista gestionale.

La legge stabilisce che la delimitazione dell’ambito ottimale debba essere effettuata obbedendo al principio di prossimità dei centri di raccolta rispetto agli impianti di recupero e smaltimento - necessario per la riduzione della movimentazione dei rifiuti urbani ed assimilati - e al principio di autosufficienza - il quale implica che all’interno dell’ATO il ciclo dei rifiuti debba chiudersi con il loro recupero e/o lo smaltimento finale. Il fine principale che si è prefisso i

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6. Affidamenti
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6.1. Assetto amministrativo - Analisi del contesto

L’esame delle schede di rilevazione fornite dalle Regioni ai fini dell’elaborazione del presente approfondimento, ha evidenziato diverse criticità nell’attuazione della normativa da parte degli enti territoriali che possono in generale raggrupparsi nelle seguenti:

1) dimensioni dell’ATO. L’assetto prevalente è quello degli ATO di dimensione sostanzialmente coincidente con il territorio delle Province (retaggio forse del precedente Decreto Ronchi, decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22). Si rilevano, tuttavia, importanti eccezioni, che creano un quadro generale alquanto disomogeneo. Ad esempio, la Toscana ha suddiviso il proprio territorio in tre ambiti sovra-provinciali, mentre le Regioni Friuli Venezia Giulia, Basilicata, Emilia Romagna e Valle d’Aosta hanno preferito un ambito regionale unico. In Umbria, Veneto, Campania e in Sicilia, invece, si registrano attualmente ambiti sub-provinciali. Molto peculiare al riguardo è la situazione della Sicilia dove sono stati delimitati ben 18 ATO di cui 15 sub-provinciali, peraltro ancora non operativi; ci sono poi Regioni dove gli ATO non sono stati costituiti, come in Lombardia, o dove la loro costituzione è avvenuta solo a livello formale, come in alcune Regioni del Sud;

2) ente di Governo dell’ATO. In diversi casi esso non è ancora definito (come ad esempio in Molise, o nella Provincia di Bolzano), in altri seppur definito è ancora lontano dall’essere operativo;

3) titolarità dell’affidamento del servizio. Nelle more dell’individuazione e dell’operatività dell’ente di governo d’ambito, i Comuni procedono autonomamente all’affidamento del

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6.2. Affidamenti a regime (effettuati dall’Autorità d’Ambito)

Sono da considerarsi non a regime, ovvero anche emergenziali, tutte le situazioni locali nelle quali l’Ente affidante il servizio di gestione integrato dei rifiuti non è l’Ente d’ambito.

La normativa, infatti, prevede che a regime, ai sensi dell’art. 202 del TUA, è l’Autorità d’ambito che affida « il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie secondo la disciplina vigente in tema di affidamento dei servizi pubblici locali».

Gli affidamenti, dal punto di vista procedurale, possono avvenire attraverso procedure ad evidenza pubblica in ottemperanza al Codice dei contratti ovvero mediante l’istituto dell’in house providing.

Ai sensi dell’art. 202 del d.lgs. 152/2006, è oggetto di affidamento la gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati, comprensiva delle fasi di raccolta, trattamento e smaltimento, nonché della loro valorizzazione. L’affidatario può altresì essere impegnato alla realizzazione degli impianti necessari ad assicurare l’autosufficienza dell’ATO nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi.

In materia di affidamenti, la legge 24 marzo 2012, n. 27 (art. 25, co. 4), precisa inoltre che « per la gestione ed erogazione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani sono affidate ai sensi dell’articolo 202 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e nel rispetto della normativa europea e nazionale sull’evidenza pubblica, le seguenti attività:

a) la gestione ed erogazione del servizio che può comprendere le attività di gestione e realizzazione degli impianti;

b) la raccolta, la raccolta differenziata, la commercializzazione e l’avvio a smaltimento e recupero, nonché, ricorrendo le ipotesi di cui alla lettera a), smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani e assimilati prodotti all’interno dell’ATO. Nel caso in cui gli impianti siano di titolarità di soggetti diversi dagli enti locali di riferimento, all’affidatario del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani devono essere garantiti l’accesso agli impianti a tariffe regolate e predeterminate e la disponibilità delle potenzialità e capacità necessarie a soddisfare le esigenze di conferimento indicate nel piano d’ambito».


6.2.1. Attività preliminari alla gara

Redazione del Piano d’Ambito

Il Piano costituisce di fatto il progetto di gestione unitaria del ciclo dei rifiuti. In esso vengono definite dall’Autorità le strategie di attuazione del Piano regionale dei rifiuti a livello d’ambito e vengono scelte, fra l’altro, le dimensioni dei lotti di gara e definiti l’oggetto degli affidamenti.

Come in tutti i progetti anche nel Piano d’Ambito viene prioritariamente effettuata la valutazione dello stato di fatto che in genere comprende almeno la caratterizzazione della produzione di rifiuti urbani, la mappatura degli affidamenti in essere, le modalità organizzative dei servizi di spazzam

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6.3. Attività di recupero

Negli ultimi anni, come si evince dai dati ISPRA 2017, si è registrato un notevole incremento della raccolta differenziata. A fronte di tali ragguardevoli risultati, tuttavia, si evidenziano delle criticità nelle fasi di stoccaggio e recupero con particolare riferimento agli imballaggi di plastica e carta.


Il contesto

La Direttiva Europea 94/62/CE sugli imballaggi si basa sul principio chiave del “chi inquina paga”. In Italia, il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 prima e il d.lgs. 152/2006 successivamente, hanno posto in capo ai produttori e agli utilizzatori di imballaggi, l’onere del raggiungimento degli obiettivi nazionali di riciclo/recupero, facendo proprio il principio della responsabilità estesa del produttore, in virtù del quale chiunque professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti è ritenuto responsabile dei rifiuti da questi derivanti, ed è perciò chiamato ad assumere iniziative funzionali alla prevenzione e alla gestione degli stessi.

La normativa ambientale prevede in particolare che per la gestione degli imballaggi primari - che riguardano gli Enti locali - secondari e terziari N60 i produttori possano scegliere fra tre sistemi: 1) l’adesione al sistema consortile attraverso la partecipazione Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) N61; 2) l’organizzazione di un sistema autonomo; 3) la creazione di un sistema cauzionale di restituzione (art. 221, co. 2 e 3, TUA). La struttura del sistema italiano di ottemperanza agli obblighi ambientali in tema di imballaggi si caratterizza per una pressoché totale adesione al sistema CONAI N62.

Aderendo al CONAI, il produttore/utilizzatore

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IV - SEMPLIFICAZIONE PER I PICCOLI COMUNI
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Premessa

Il presente approfondimento è finalizzato ad individuare modalità semplificate di applicazione degli obblighi in materia di pubblicità, trasparenza e prevenzione della corruzione per i comuni di piccole dimensione (d’ora in avanti “piccoli comuni”), in attuazione di quanto previsto all’art. 3, co. 1-ter, del d.lgs. 33/2013, introdotto dal

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1. Proposte di semplificazioni già adottate dall’Autorità

In linea con quanto disposto dalla normativa sopra richiamata l’Autorità già nel PNA 2016 - parte speciale - ha dedicato un apposito approfondimento ai piccoli comuni, cui si rin

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1.1. Semplificazioni in materia di prevenzione della corruzione

Nel PNA 2016 (§ 3) le attività svolte dagli enti locali in tema di prevenzione della corruzione e trasparenza sono state ricondotte alla funzione di « organizzazione generale dell’amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo», con l’obiettivo di favorire forme di gestione associata anche della funzione di prevenzione della corruzione, ottimizzando risorse e mezzi e assicurando, al contempo, una strategia di prevenzione alla corruzione non solo locale ma più propriamente territoriale e unitaria.

Le indicazioni fornite hanno fatto leva sulle forme associative tra piccoli comuni e tra piccoli comuni e comuni medio-grandi, con i quali si raggiungono dimensioni organizzative dell’amministrazione comunale più adeguate, tanto in termini di funzionalità generale quanto in termini di prevenzione della corruzione.


La gestione associata dell’attività di prevenzione della Corruzione. Adozione del PTPC e nomina del RPCT

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1.2. Semplificazioni in materia di trasparenza

I collegamenti ipertestuali

Con riferimento alle modalità di semplificazioni sugli obblighi di trasparenza, l’Autorità ha precisato nel PNA 2016 (§ 4), richiamando quanto disposto in via generale per tutte le amministrazioni dall’art. 9 del d.lgs. 33/2013, come modificato dal

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2. La rilevazione della Conferenza Stato-Città e Autonomie locali

Al fine di svolgere un approfondimento sul grado di applicazione degli obblighi di legge in materia di trasparenza nei comuni con meno di 15.000 abitanti (circa 7200 su un totale di 8000 enti), l’Ufficio di Segreteria della Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha condotto tra maggio e agosto 2018, una rilevazione avvalendosi della collaborazione delle Prefetture, delle ANCI regionali e dell’UPI.

Sono state acquisite informazioni inerenti alla figura del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) e alle eventuali misure organizzative adottate dai comuni per ottemperare alle prescrizioni di legge; all’attuazione degli obblighi di pubblicazione dettati dal d.lgs. 33/2013; all’istituto dell’accesso civico e alle criticità rilevate nel fornire riscontro alle istanze; alle misure organizzative strumentali al trattamento dei dati personali; alla presenza di eventuali sanzioni comminate per violazione degli obblighi di trasparenza. I dati raccolti si riferiscono al periodo 1 gennaio - 31 dicembre 2017.

L’analisi dei 4.784 questionari ricevuti (il 66,6% del totale dei comuni potenzialmente interessati dalla rilevazione) h

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3. Il nuovo intervento dell’Autorità

L’apporto che l’Autorità intende fornire con il presente approfondimento è volto a favorire l’applicazione sostenibile della disciplina della prevenzione della corruzione e della trasparenza da parte di enti di piccole dimensioni nel rispetto di principio di proporzionalità e ragionevolezza. Occorre precisare che l’Autorità ha dovuto necessariamente tener conto dei limiti imposti dalla vigente normativa secondo cui non vi sono pubbliche amministrazioni esenti dall’applicazione degli obblighi di pubblicazione o dalla disciplina sull’anticorruzione. Il legislatore, infatti, ha solo previsto all’art. 3, co. 1-ter, d

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4. Le nuove proposte di semplificazione

Le proposte di semplificazione emerse nel corso dei lavori del tavolo tecnico hanno riguardato principalmente i seguenti ambiti.

- Collegamenti con l’albo pretorio on line

- Semplificazioni derivanti dal sistema dei collegamenti ipertestuali

- Tempistica delle pubblicazioni

- Semplificazioni di specifici obblighi del d.lgs. 33/2013

- Pubblicazione dei dati in tabelle

- Realizzazione di un software open source

- Semplificazioni per l’adozione annuale del PTPC

- Nomina e funzioni del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza

Nel formulare le proposte relative alla trasparenza si è tenuto conto degli obblighi di pubblicazione previsti dal d.lgs. 33/2013 cui si riferisce l’Allegato 1) della delibera ANAC n. 1310/2016.

Collegamenti con l’albo pretorio on line

Nel corso dei lavori del tavolo tecnico i partecipanti, nel rilevare che la pubblicazione di documenti nell’albo pretorio on line e nella sezione del sito istituzionale “Amministrazione trasparente” può costituire un notevole aggravio per le amministrazioni, hanno valutato come opportunità di semplificazione quella di utilizzare rinvii fra le due sezioni del sito istituzionale.

Sulla questione l’Autorità non può che confermare l’orientamento già espresso secondo cui il ricorso al link tra l’albo pretorio on line e la sezione “Amministrazione trasparente” non può che avvenire con opportune cautele, considerate le differenze funzionali ed organizzative delle due sezioni del sito.

L’albo pretorio on line e la sezione “Amministrazione trasparente” sono, infatti, da considerarsi come autonome e distinte, con strutture e criteri di pubblicazione propri in quanto rispondono a finalità differenti.

La pubblicazione degli atti nell’albo pretorio on line, ai sensi dell’art. 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69, è rivolta, di norma, a produrre effetti legali N71. Diversamente, la pubblicità assicurata dalla sezione “Amministrazione trasparente” N72 ai sensi del d.lgs. 33/2013, ha lo scopo di informare i cittadini per favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (art. 1, d.lgs. 33/2013).

Le pubblicazioni effettuate nell’albo pretorio on line riguardano documenti integrali che devono, di norma, rimanere pubblicati esclusivamente per il periodo imposto dalla legge per poi essere rimossi dalla parte pubblica dell’albo. Le pubblicazioni effettuate nella sezione “Amministrazione trasparente”, invece, contemplano spesso dati di sintesi e non atti integrali che restano, di norma, pubblicati per cinque anni, come previsto all’art. 8, co. 3, del d.lgs. 33/2013. La pubblicazione, inoltre, ai sensi del d.lgs. 33/2013 deve rispettare i criteri di qualità dei dati, con particolare riferimento ai requisiti di completezza e formato aperto previsti dagli artt. 6 e 7 del d.lgs. 33/2013. Non esiste analoga disposizione, invece, per le pubblicazioni dell’albo pretorio on line.

La pubblicazione nell’albo pretorio on line, diversamente dalla sezione “Amministrazione trasparente”, è asistematica e non organizzata secondo criteri che tengono conto del tipo di atto e documento. Ne discende che è limitata la diretta ed immediata fruibilità dei dati e delle informazioni con la conseguenza che la consultazione e la ricerca dei dati risultano difficili.

Giova sottolineare, peraltro, che l’Autorità, non ha specifiche competenze sulla predisposizione, tenuta e gestione dell’albo pretorio on line. L’Autorità non può, dunque, che auspicare un intervento del legislatore volto a individuare misure di coordinamento tra le pubblicazioni sull’albo pretorio on line e gli obblighi di pubblicazione nella sezione “Amministrazione trasparente”, anche in funzione di semplificazione degli oneri per le amministrazioni.

Fermo restando quanto sopra, in considerazione delle criticità manifestate dai rappresentanti delle istituzioni che hanno preso parte al tavolo tecnico e riscontrate anche nella rilevazione condotta dalla Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali sui piccoli comuni, specie con riferimento ai profili organizzativi, l’Autorità ritiene, nelle more dell’auspicato intervento legislativo, di poter indicare, esclusivamente per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, la possibilità di semplificare la pubblicazione dei dati e dei documenti previsti dal

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Allegato 1 - Delibera n. 840 del 2 ottobre 2018

Parte di provvedimento in formato grafico

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Allegato 2 - Riferimenti normativi sul ruolo e sulle funzioni del RPCT

Parte di provvedimento in formato grafico


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