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ISSN 1721-4890
Fondata nel 1933
Direttore Dino de Paolis
Tolleranze esecutive e costruttive: applicazione e casistica pratica
Nota a cura del Dott. in Ing. Geom. Donatella Salamita
Esperta in materia urbanistico-edilizia, bonus fiscali e progettazione
TOLLERANZE DI CANTIERE
Si classificano “tolleranze di cantiere” le modeste modifiche apportate al progetto durante l’esecuzione dei lavori di attuazione del titolo abilitativo edilizio, che devono rientrare entro la soglia del 2% rispetto alle opere autorizzate e/o asseverate.
Si tratta di un’applicazione che di fatto e di diritto è molto ampia la quale, per molto tempo, è stata assoggettata al previgente art. 34 del D.P.R. 380/2001, comma 2-ter, introdotto dal D.L. 70/2011 e collocato tra le parziali difformità.
Per calarsi nell’attualità della norma, oggi la fattispecie è regolata dall’art. 34-bis del D.P.R.380/2001, inserito nel Testo Unico per l’Edilizia dal D.L.76/2020 (c.d. “Decreto Semplificazioni”), convertito con modifiche dalla L.120/2020, che ha abrogato il comma 2-ter citato. Di particolare interesse è il concetto afferente alla regolarità urbanistico-edilizia nonché quello degli immobili assoggettati ai vincoli di cui al D. Leg.vo 42/2004, per essere entrambi i casi esclusi dall’applicazione del regime delle tolleranze.
Sul tema è importante analizzare varie e diverse fattispecie, affinché non vi sia margine che conduca alla soggettività, ovvero all’interpretazione della norma che, invece, deve essere frutto di applicazione oggettiva.
TOLLERANZE COSTRUTTIVE E TOLLERANZE ESECUTIVE: DISTINZIONE
L’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 - nel rapportare alla quota percentuale che sotto il profilo delle violazioni, delle sanzioni e della perseguibilità in edilizia non ha rilievo alcuno - pone quale presupposto, come prima accennato, l’aver concretizzato le modificazioni in corso d’opera durante il periodo di validità del titolo abilitativo edilizio, indipendentemente da quale esso sia e dall’epoca in cui si sono eseguiti i lavori, sia essa precedente o successiva al 17/07/2020, data di entrata in vigore del Decreto Semplificazioni.
Le tolleranze si distinguono tra:
* quelle di natura costruttiva;
* quelle di natura esecutiva, queste ultime riguardanti le variazioni realizzate nel corso di pregressi lavori, sempreché non costituiscano difformità.
Il disposto, nell’elencare al comma 1 quali siano gli elementi e i fattori per i quali è ammesso il discostamento, cita l’altezza, i distacchi, la cubatura e la superficie coperta, riportando pure “ogni altro parametro” il cui riferimento espresso è la singola unità immobiliare; emerge da ciò un aspetto sostanziale strettamente unito con il rispetto della normativa urbanistico-edilizia richiamata al comma 2 dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 in commento.
Nesso dal quale è evidente che le differenze che è consentito realizzare in corso d’opera rispetto al progetto non possono essere in contrasto con la norma; difatti, come accennato, sono dipendenti dal periodo di validità del titolo abilitativo edilizio legittimante i lavori, escludendo quelle differenze che, seppur entro il margine del 2%, siano state eseguite in un periodo successivo, risultando quindi prive di titolo.
Un esempio è il cantiere i cui lavori vengono avviati con comunicazione di inizio lavori asseverata, CILA, per la quale il comma 4 dell’art. 6-bis del D.P.R. 380/2001 dispone che - laddove siano concretizzate difformità dopo il termine dell’intervento - si presenti la c.d. “CILA in sanatoria”. Caso nel quale è ragionevolmente chiaro che manca ogni margine affinché si possa invocare il regime delle tolleranze di cantiere, ed allo stesso modo è valevole per tutti gli ulteriori interventi maggiori subordinati alla SCIA, a permesso di costruire e alla SCIA in alternativa.
Rientrano, invece nella classificazione delle tolleranze le varianti in corso d’opera che, realizzate durante lo svolgimento dei lavori, non siano state comunicate entro il termine dei lavori, ma di fatto risultano eseguite durante il periodo di vigenza del titolo abilitativo edilizio.
SCOSTAMENTI DAL PROGETTO E “LIEVE ENTITÀ”
Il dettato dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 recita che gli scostamenti di “lieve entità” riguardino l’altezza, i distacchi, la cubatura, la superficie coperta e ogni altro parametro delle singole unità immobiliari, includendovi differenze progettuali per quanto concerne la sagoma dell’edificio, ampliata o ridotta, o i prospetti, ad esempio, per aver diversamente realizzato le aperture o i balconi o gli elementi architettonici.
Ai fini della verifica circa l’accertamento che si tratti di tolleranze di cantiere è previsto si effettui sulla singola unità immobiliare, nel merito marcando una sottile differenziazione con il previgente abrogato comma 2-ter dell’art. 34 del D.P.R. 380/2001, in relazione al quale, sovente, si poneva il quesito se il riscontro dovesse essere attuato sull’intero edificio.
In tal senso sono intervenute, in passato, numerose conferme anche dalla giurisprudenza, tra queste citiamo la Sentenza n. 225/2020 del TAR Veneto e la Sentenza n. 4545/2014 del Consiglio di Stato, quest’ultima affermando che “non risulta essere sufficiente calcolare la difformità della singola unità immobiliare, ma occorre verificare anche la discordanza dell’edificio, considerato nella sua interezza”.
L’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001, invece, bene esplica e dà contezza sul dover espletare la verifica sulla singola unità immobiliare, seppure alcuni parametri richiamati nel testo normativo facciano riferimento all’intero edificio, quali i distacchi, il volume totale, la superficie coperta complessiva, l’altezza.
Modus operandi che, allo stato attuale, possiede numerose dimostrazioni e conferme circa la corretta applicazione, come ad esempio la Sentenza n. 4413/2021 del TAR Lazio: “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abilitativo”, ed è spunto anche la Sentenza n. 230/2021 del Consiglio di Stato che afferma: “l’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza soltanto degli scostamenti di lieve entità”.
Vediamo meglio in cosa consistono gli scostamenti rispetto al titolo abilitativo edilizio, di “lieve entità”, rientrandovi la superficie utile, la superficie non residenziale, la superficie accessoria, il rapporto di copertura e così via, cioè le grandezze dimensionali, le irregolarità geometriche, le variazioni delle finiture, la diversa collocazione degli impianti e le opere interne.
Per esemplificare potrebbe trattarsi :
* delle tramezzature realizzate in posizione lievemente differente rispetto al progetto, purché ciò non incida né sul dimensionamento minimo del vano e né dal punto di vista dei vani catastali;
* le dimensioni delle aperture;
* il posizionamento dei balconi, dei cornicioni;
* il minore o maggiore dimensionamento dell’edificio;
* le modifiche alle finiture per quanto riguarda i materiali, i colori, e così via.
Gli errori progettuali rientrano anch’essi nel raggio delle tolleranze di cantiere: si tratta di sviste che vengono corrette durante la fase di realizzazione dei lavori, più in particolare rappresentazioni grafiche non in scala, omissioni e/o parziali rappresentazioni comunque desumibili graficamente, richiamati in altri elaborati facenti parte integrante del progetto, ad esempio nella relazione tecnica.
IL RIFERIMENTO DALLA GIURISPRUDENZA: L’ACCERTAMENTO VA ESEGUITO SULLA SINGOLA UNITÀ IMMOBILIARE
Un notevole esempio per la corretta applicazione dell’art. 34-bis è la già citata Sentenza n. 230/2021 del Consiglio di Stato, afferente al diniego di un permesso di costruire per il completamento dei lavori e la sanatoria di un immobile, nella quale è confermato che la percentuale del 2% vada calcolata sulla porzione dell’immobile ben individuata e oggetto dei lavori.
Nel caso in questione il Responsabile del settore tecnico del Comune ove ricadeva l’immobile respingeva la richiesta di permesso di costruire, fondando il diniego sulla mancanza del calcolo delle superfici, sulla discordanza fra gli elaborati grafici agli atti dell’ente e l’elaborato grafico allegato alla richiesta del permesso di costruire in merito alle altezze interne del primo e del secondo piano e, ancora, per la mancanza degli arredi fissi previsti dal titolo edilizio.
Il Responsabile del settore tecnico del Comune respingeva pertanto l’istanza di permesso di costruire per infedeltà tra gli elaborati e lo stato dei luoghi.
Emerge dal testo della sentenza che, al momento del rilascio del titolo edilizio, si dava per certo l’edificio fosse concretamente corrispondente ai titoli rilasciati in precedenza, presupposto che successivamente veniva meno in considerazione del fatto che le misurazioni sulle quali si fondavano i pregressi assensi edilizi non erano state fedelmente riportate.
L’appellato, non rilevata l’essenzialità delle difformità riscontrate ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 380/2001, sosteneva che le stesse fossero regolarizzabili prima della definitiva chiusura dei lavori, oltre al fatto che si trattasse di modifiche le quali, nonostante riguardassero una maggiore volumetria, fossero rispettose della prevista tolleranza di cantiere.
In merito, risultando l’incremento volumetrico notevole e, soprattutto, riguardando la “volumetria complessiva dei locali sottotetto abitativi”, si evidenzia la stessa fosse riferita ad “una ben individuata parte dell’immobile, avente propria specifica connotazione, trattandosi di un sottotetto da recuperare a uso abitativo”.
Dedotto che gli abusi in volumetria, sulla base della norma regionale di riferimento per la Sentenza in questione qualifica in “totale difformità anche i volumi edilizi che, seppur rientranti nei limiti della stessa, comportano la realizzazione di un organismo edilizio, o parte di esso, con specifica rilevanza ed autonoma utilizzazione rispetto a quello oggetto della concessione”, la sentenza de quo conferma che è corretto ritenere che la “tolleranza di cantiere” tale da escludere l’abusività dell’intervento, vada posta “in relazione con la porzione di immobile, e non, come proposto dall’appellato, con la superficie dell’intero palazzo”, richiamando Consiglio di Stato Sentenza 405/2018 “la mancata prospettazione nelle istanze edilizie di volumetria aggiuntiva appare non tolleranza di cantiere ma notevole infedeltà”.
DISCIPLINA URBANISTICO- EDILIZIA
L’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 riporta “a condizione che non comportino violazione delle disciplina urbanistica ed edilizia”; in ciò corre richiamo all’art. 32 del D.P.R. 380/2001, che riguarda le variazioni essenziali costituenti difformità, e lo abbiamo constatato nel contenuto della Sentenza n. 230/2021 del Consiglio di Stato anzi trattata.
Torna pertanto la questione legata alla verifica delle tolleranze laddove sia eseguita sull’intero edificio, in ogni caso non prevista dallo stesso art. 34-bis del D.P.R. 380/2001, emergendo, pertanto, che non possano essere assunte le disposizioni sulle tolleranze se riguardanti un metodo ambiguo in attinenza all’accertamento della regolarità dal punto di vista urbanistico-edilizio.
EDIFICI VINCOLATI
Il comma 2 dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 dispone che per gli edifici sottoposti a tutela ai sensi del D. Leg.vo 42/2004 non si applica il regime delle tolleranze in nessun caso, sia si tratti di irregolarità geometriche, modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, diversa collocazione di impianti e opere interne.
Difatti non potrebbe sussisterne applicazione per il semplice fatto che il D.P.R. 31/2017 “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”, nella Tabella A elenca i 31 interventi e opere in aree vincolate esclusi dal conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica, pertanto quei lavori interventi liberalizzati, ovvero minori.
ATTESTAZIONE DELLO STATO LEGITTIMO DEL TECNICO ABILITATO
Il comma 3 dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 riguarda l’attestazione del tecnico abilitato ai fini dello stato legittimo degli immobili, di cui al comma 1-bis, art. 9 del D.P.R. 380/2001.
Laddove l’edificio o l’unità immobiliare siano oggetto di nuovi interventi, la stessa attestazione è riportata nella modulistica abilitativa edilizia, ovvero nella CILA, nella SCIA, nel PdC e nella SCIA in alternativa al PdC; se invece l’edificio è oggetto di atto pubblico notarile, il tecnico rilascia dichiarazione asseverata che viene allegata al contratto.
Il fine dell’asseverazione dello stato legittimo da parte del professionista è, alla luce dei commi 1 e 2 dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001, quello di attestare che le modifiche intervenute durante il corso di determinati lavori non costituiscano violazione edilizia che preveda di presentare un progetto di regolarizzazione con relative sanzioni amministrative, pecuniarie e penali (cfr.: art. 6-bis del D.P.R. 380/2001 comma 4; artt. 36 e 37 del D.P.R. 380/2001), bensì rientrano tra le tolleranze, mantenendo la conformità al titolo edilizio abilitativo.
Nell’attestazione dello stato legittimo, il tecnico riporterà tutti i dati utili sull’immobile, tra questi - oltre alle informazioni sulla committenza, l’identificazione e la descrizione dell’edificio - è importante la cronistoria dei titoli abilitativi precedenti.
Nel caso in cui il fabbricato sia stato realizzato in epoca anteriore al 1° settembre 1967, ma al di fuori del perimetro del centro edificato, o in epoca anteriore al 31/10/1942, data di entrata in vigore della L. 1150/1942, il professionista fornirà prove circa la legittima preesistenza.
ORDINE DI RIMESSA IN PRISTINO O DI DEMOLIZIONE DELLE OPERE ABUSIVE
Il comma 2 dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 chiarisce che le tolleranze non hanno rilevanza dal punto di vista giuridico in quanto non costituiscono alcuna difformità rispetto al tiolo edilizio che legittima i lavori, aspetto che, più volte, è stato confermato anche dalla giurisprudenza.
In merito la Sentenza n. 8709/2022 del Consiglio di Stato afferma l’illegittimità di un provvedimento che ordina la rimessa in pristino dello stato dei luoghi per eseguite difformità dato che - trattandosi di variazioni di lieve entità, prive di un sostanziale pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico e di una valida ragione per l’interesse pubblico tutelato - non è presente un abuso edilizio rilevante.
I giudici, infatti, rilevano mancare gli elementi che possano ordinare la rimessa in pristino o la demolizione dell’opera abusiva per trattarsi, invece, di “opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo anche in quello della valutazione economico-sociale, e […] un modesto aumento di volume e di altezze di piano rispetto alla consistenza dell’edificio come originariamente progettato, senza dare luogo a nuovi organismi edilizi autonomamente utilizzabili”.
Nel caso in cui l’amministrazione ordini la rimessa in pristino per un intervento che, invece, rientra nel regime delle tolleranze costruttive e esecutive - sulla base anche dell’art. 1 della L. 241/1990, comma 1-bis, circa il generale riconoscimento del principio di capacità negoziale della pubblica amministrazione - è attuabile il procedimento dell’autotutela, come da Sentenza n. 3762/2016 del Consiglio di Stato, ove si legge “notoriamente, investono i momenti essenziali dell’azione dell’amministrazione, quali l’esecuzione dei provvedimenti, gli annullamenti e le revoche, i provvedimenti di controllo e quelli sanzionatori, ponendosi come un limite espresso all’esercizio di tale potere”.
Ne diviene che mediante l’autotutela è facoltà della pubblica amministrazione risolvere i conflitti con i soggetti interessati dai provvedimenti dalla stessa emessi, attività attraverso la quale la P.A. di sua iniziativa annulla un provvedimento amministrativo.