Diritto di apertura di luci e vedute, differenze e rimedi per irregolarità | Bollettino di Legislazione Tecnica
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09/11/2021

Diritto di apertura di luci e vedute, differenze e rimedi per irregolarità

La Corte di Cassazione si pronuncia sul diritto di praticare aperture sul proprio fabbricato, spiegando la differenza tra luci e vedute e chiarendo le conseguenze derivanti dalla violazione delle norme che disciplinano tale diritto.

LUCI E VEDUTE, DIFFERENZE - Le luci sono aperture che danno passaggio alla luce e all’aria ma che non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino. Le vedute sono aperture che permettono non solo di guardare nel fondo del vicino in modo agevole (c.d. inspectio), ma anche di affacciarsi - mediante sporgenza del capo - sul fondo del vicino senza l’uso di mezzi artificiali, quali scale o sgabelli (c.d. prospectio).
Secondo la giurisprudenza prevalente per poter qualificare una apertura come veduta occorre che sussistano, al tempo stesso, ambedue i requisiti della possibilità di inspicere e di prospicere sul fondo altrui, perché caratteristica della veduta è proprio la possibilità di affacciarsi per esercitare la visione dritta, obliqua e laterale.
La differenza tra le due fattispecie rileva in ordine alle conseguenze della violazione delle norme che ne disciplinano il diritto.

CONSEGUENZE DELL’IRREGOLARITÀ DELLE DIVERSE APERTURE - Sul punto C. Cass. civ. 23/09/2021, n. 25864 (nell’ambito di una fattispecie in cui le inferriate fisse di alcune aperture in contestazione consentivano il passaggio del capo) ha specificato che:
a) le vedute sono regolate dall'art. 905 c.c., la cui inosservanza può essere eliminata soltanto dall'arretramento o dalla chiusura della veduta, salvo che essa non costituisca il contenuto di uno specifico diritto di servitù,
b) le luci, sono disciplinate dagli artt. 901 e 902 c.c. le cui prescrizioni possono farsi rispettare attraverso la semplice regolarizzazione delle aperture create in violazione delle prescrizioni in tema di altezza e sicurezza poste dalla legge (v. C. Cass. civ. 02/02/2009, n. 2558; C. Cass. civ. 10/01/2013, n. 512).
Tale diversità di rimedi si fonda sulla differenza dei presupposti delle due discipline:
- la prima disposizione, infatti, mira a tutelare il proprietario dall'indiscrezione del vicino, impedendo a quest'ultimo di creare aperture a distanza inferiore a quella di un metro e mezzo;
- la normativa in tema di luci, invece, tende a regolare il diritto del proprietario di effettuare sul proprio fabbricato aperture verso il fondo del vicino allo scopo di attingere luce ed aria, senza affacciarsi su quello, stabilendo i requisiti di altezza e di sicurezza (collocazione di inferriate e grate fisse) alla cui sussistenza è condizionata la correlata limitazione del diritto del vicino.

Alla luce delle esposte considerazioni, che evidenziano la diversità strutturale esistente tra veduta e luce, tanto per quel che attiene alla natura e al contenuto del diritto, quanto sotto il profilo dell'utilità che esso tende a conseguire, quanto infine con riferimento alla tutela accordata dall'ordinamento, la Corte non ha ritenuto condivisibile l'assunto di parte ricorrente, secondo cui sarebbe sufficiente, per poter qualificare una luce come veduta, il mero fatto che sia possibile inserire il capo tra le grate poste a protezione dell'apertura.

PRINCIPIO DI DIRITTO - In proposito, il Collegio ha dato continuità al principio secondo il quale la natura di veduta o luce (regolare o irregolare) deve essere accertata alla stregua delle caratteristiche oggettive dell'apertura stessa, rimanendo a tal fine irrilevante l'intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita. Sicché un'apertura munita di inferriata, tale da non consentire la prospectio nel fondo vicino, può configurarsi solo come luce, anche quando permetta, in ipotesi, di guardare nel fondo sottostante mediante una manovra di per sé eccezionale e poco agevole per una persona di normale conformazione. In sostanza l’apertura munita di inferriata (realizzata a filo con il muro perimetrale dell’edificio) impedisce una visione mobile e globale, ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino e va qualificata come luce (C. Cass. civ. 29/02/2016, n. 3924).
Rispetto a tale genere di apertura, il vicino non ha diritto a chiedere la chiusura, bensì solo la regolarizzazione (C. Cass. civ. 05/01/2011, n. 233).

Dalla redazione