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25/10/2021

SCIA in sanatoria, accertamento di conformità e autorizzazione paesaggistica

Il TAR ribadisce che l’impossibilità di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica “postuma” impedisce anche la sanatoria edilizia ex art. 36, D.P.R. 380/2001. Chiarimenti sul regime edilizio delle recinzioni in muratura.

FATTISPECIE - Nel caso esaminato si trattava di un ordine di demolizione, intimato in pendenza di SCIA in sanatoria, di due muri di cinta (circa m. 17x0,20x0,40 di altezza, realizzati con blocchi di lapilcemento) e due cancelli in area paesaggistica. Il ricorrente:
- lamentava la necessità di attendere l’esito della verifica della doppia conformità urbanistica di cui all’art. 36, D.P.R. 380/2001;
- sosteneva l’errata applicazione dell’art. 31, comma 2, del D.P.R. 380/2001, ritenendo le opere suscettibili di mera denuncia di inizio attività (ora SCIA) e non soggette a permesso di costruire, come tali sanzionabili solo pecuniariamente.
Il TAR Campania-Napoli 25/08/2021, n. 5624, nel risolvere la questione, ha ribadito i seguenti interessanti principi (affermati anche dalla giurisprudenza di legittimità) in materia di sanatoria edilizia e paesaggistica e sulla necessità o meno del permesso di costruire per i muri di cinta.

ESCLUSIONE DELL’ACCERTAMENTO DI CONFORMITÀ PER ABUSI IN ZONE VINCOLATE - Per quanto concerne la previa evasione delle istanze di sanatoria edilizia (vedi La SCIA in sanatoria e la SCIA tardiva), è stato rilevato che l’autorizzazione paesaggistica costituisce il presupposto della sanatoria edilizia e di conseguenza la procedura di accertamento di conformità prevista dagli artt. 36 e 37 del D.P.R. 380/2001 non è applicabile nel caso di opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico.
L’autorizzazione paesaggistica “postuma” non è, infatti, ammissibile se non nei limitatissimi e tassativi casi previsti nell’art. 167, D. Leg.vo 42/2004 che non ricorrono nel caso (come nella fattispecie) di abusi di apprezzabili dimensioni che comportano una trasformazione urbanistico edilizia, con creazione di superfici utili (vedi anche C. Cass. pen. 07/01/2021, n. 190; C. Stato 14/01/2020, n. 352; C. Stato 19/10/2020, n. 6300).

ABUSI MINORI - Riguardo all’eccezione rappresentata dagli “abusi minori” è stato inoltre ricordato che deve trattarsi di lavori che:
- non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
- abbiano comportato l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
- siano comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.
La ratio legis della disposizione risiede nel fatto che possono essere sanati abusi che realizzano un più contenuto impatto paesaggistico, rispetto al quale il legislatore ha ritenuto accettabile ammettere una valutazione di compatibilità paesaggistica postuma mediante una "monetizzazione" del danno dagli stessi determinato. La portata della deroga, proprio per la sua natura, non è suscettibile di alcuna interpretazione estensiva né analogica.

NOZIONE DI SUPERFICIE UTILE - Secondo il TAR le opere contestate avevano comunque comportato la realizzazione di superfici utili. Sul punto è stato spiegato che in ambito paesaggistico, la nozione di “superficie utile” di cui all'art. 167 cit. deve essere intesa in senso ampio e finalistico, ossia non limitata agli spazi chiusi o agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico, quanto piuttosto considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto del territorio e, quindi, l'idoneità della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a modificare stabilmente la vincolata conformazione originaria del territorio, sicché di superficie utile deve parlarsi in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di utilità ha un significato differente nella normativa in materia di tutela del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia.

MURO DI RECINZIONE - Con riferimento alla necessità o meno del permesso di costruire per i muri di cinta, il TAR ha rilevato che effettivamente, il D.P.R. 380/2001 non contiene indicazioni dirimenti, non chiarendo se trattasi di intervento assoggettabile a permesso di costruire quale nuova costruzione, oppure se sia sufficiente una SCIA ai sensi dell'art. 22, D.P.R. 380/2001. In materia, l'orientamento generale è nel senso che più che all'astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorre far riferimento all'impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio, con la conseguenza che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) laddove esso si presenti idoneo a determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie.
La realizzazione di muri di cinta di modesto corpo e altezza è dunque generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività (in seguito SCIA) laddove essi non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo invece il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
Nel caso di specie la recinzione, per le apprezzabili dimensioni e le modalità costruttive, non era assimilabile ad un mero muro di cinta con modesti corpo ed altezza ovvero a lavori di scarsa rilevanza strutturale, ma era qualificabile come opera muraria che incide in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio, necessitante dunque del permesso di costruire.
Sul tema si veda anche C. Cass. pen. 18/07/2019, n. 31617.

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