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09/07/2024

Locazioni a canone concordato: il Comune non può imporre un accordo

In tema di affitti a canone concordato, il TAR Lombardia ha ammesso la coesistenza di più intese tra associazioni maggiormente rappresentative. Secondo i giudici il Comune non può sindacare nel merito l'accordo intervenuto tra le parti e non può privilegiare un accordo rispetto ad un altro.

QUADRO NORMATIVO - L’art. 2 comma 3 della L. 431/1998 stabilisce che, in alternativa ai contratti d’affitto a formula libera, le parti possono stipulare contratti di locazione “a canone concordato” per i quali il costo della locazione è fissato sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. In sostanza il proprietario, nel determinare il prezzo dell’affitto, deve tenere conto di quanto prevede l’accordo territoriale di riferimento.
Il D. Min. Infrastrutture e trasp. 16/01/2017 stabilisce i criteri generali per la realizzazione degli accordi da definire in sede locale per la stipula dei contratti di locazione ad uso abitativo a canone concordato.
Alla stipula di contratti di affitto a canone concordato sono collegate una serie di agevolazioni fiscali, quali la riduzione dell’aliquota IMU e la possibilità di accedere alla tassazione mediante la cedolare secca, oltre a detrazioni per gli inquilini (per approfondimenti, si veda la Scheda La disciplina dei contratti di locazione a canone concordato ai sensi della L. 431/1998).

FATTISPECIE - Nella vicenda in esame, alcune associazioni avevano sottoscritto un accordo ai sensi della suddetta L. 431/1998 e del D.M. 16/01/2017 che prevedeva canoni calmierati. Successivamente, altre associazioni avevano siglato un secondo accordo promosso dal Comune.
Le associazioni prime firmatarie chiedevano l’annullamento della determina comunale nella parte in cui escludeva il primo accordo dall’aliquota agevolata IMU e da contributi economici.
Secondo il Comune invece il primo accordo non aveva valore legale.
In sostanza si trattava di stabilire la sussistenza o no del potere del Comune di negare il regime agevolato agli accordi che si siano sottratti al tavolo concertato avviato dal Comune stesso, e che non ne abbiano perciò ottenuto l’approvazione.

CONSIDERAZIONI DEL TARTAR Lombardia sent. 27/06/2024, n. 2005 ha chiarito che la normativa di settore sopra richiamata attribuisce ai Comuni il compito di convocare le organizzazioni rappresentative al fine di avviare le trattative tra di esse, di recepire il testo degli accordi, a seguito del loro deposito e di assicurare alle stesse “la massima pubblicità” (art. 7, comma 2, D.M. 16/01/2017).
Si tratta di un’attività di impulso, volta a favorire la conclusione di accordi, sulla cui corrispondenza all’interesse pubblico, a seconda del contenuto che essi assumono di volta in volta, la legge non attribuisce al Comune alcuna competenza.
Secondo i giudici, non vi è dubbio che l’amministrazione comunale possa agire da mediatore tra gli interessi in conflitto per favorire il raggiungimento di accordi, ma nulla nella legge autorizza a concludere che le parti abbiano l’obbligo di aderire alla sola proposta maturata in tale sede, e che il Comune, di conseguenza, possa sottrare ogni altro accordo alla disciplina giuridica che è regolata dalla legge sulla base di altri presupposti.
Si tratterebbe, diversamente, di un contratto imposto, ciò che deve trovare fondamento in una legge che limiti l’autonomia privata, mentre, nella fattispecie, scopo del legislatore è stato quello, opposto, di favorirne la più ampia espansione nell’ottica di incentivare i contratti di locazione a canone concordato.

Il TAR ha spiegato che la normativa non esclude che possano esserci più accordi se adottati nel rispetto dei criteri di cui al D.M. 16/01/2017. I Comuni devono limitarsi a favorire la conclusione di detti accordi convocando le associazioni di categoria e l’omessa adesione al contratto propugnato dal Comune non può essere causa di esclusione dall’ammissione ai benefici fiscali.
Infine è stato precisato che l’art. 2, comma 4, della L. 431/1998 non distingue a seconda che l’accordo trovi l’apprezzamento del Comune o no, ma attribuisce il potere di modulare in melius i benefici fiscali al solo fine di promuovere la contrattazione, incentivando l’esercizio dell’autonomia contrattuale delle associazioni di categoria. Non spetta perciò al Comune sindacare il contenuto dell’accordo siglato dalle parti, per valutare la congruità dei canoni concordati, come era invece accaduto nel caso di specie.

Alla luce delle esposte argomentazioni, i giudici hanno accolto il ricorso con richiesta al Comune di pronunciarsi nuovamente per inserire l’accordo tra quelli utili per il regime di agevolazione fiscale, ove ne sussistano i presupposti di legge.

Dalla redazione