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ISSN 1721-4890
Fondata nel 1933
Direttore Dino de Paolis
Tolleranze costruttive, chiarimenti del Consiglio di Stato
FATTISPECIE - Nella fattispecie si trattava di un edificio "lineare" e di edifici "a torre", questi ultimi non ancora completati. La società ricorrente contestava l’ordine di demolizione impartito per difformità dal titolo edilizio dovute ad una maggiore altezza dei fabbricati. In particolare, sosteneva la mancanza di offensività per l’interesse pubblico tutelato dalla variazione contestata che non aveva comportato alcuna difformità sostanziale rispetto agli ingombri planimetrici, ma rientrava nei limiti di tolleranza previsti dall’art. 34-bis, D.P.R. 380/2001.
RELAZIONE DEL VERIFICATORE E CONSIDERAZIONI DEL CONSIGLIO DI STATO - C. Stato 12/10/2022, n. 8709, ha ritenuto dirimente l’esito dell'accertamento effettuato dal verificatore dal quale risultava che:
- per quanto riguardava l’edificio lineare, la difformità rispetto all’altezza del progetto approvato con permesso di costruire consisteva soltanto in 20 cm, superando appena di 4,6 cm il 2%. Il verificatore riteneva questa differenza come tolleranze di cui al suddetto art. 34-bis;
- per gli edifici a torre, il verificatore dichiarava l’impossibilità di poter accertare una variazione, non essendo i corpi di fabbrica completati ed ultimati ed essendo la superficie dei fabbricati non ancora sistemata con pavimentazione (con incertezza sulla quota di calpestio). Secondo il verificatore i “pochi centimetri” di scostamento che sovente si verificano nelle opere in cemento armato, potevano infatti essere recuperati nel prosieguo della costruzione.
In sostanza, il tecnico confermava che in ogni caso si trattava di tolleranze rientranti nel comma 1 dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001, in quanto "la differenza era dell'ordine di centimetri e non di metri".
Il Consiglio ha condiviso quanto ritenuto dal verificatore, confermando che nel primo caso lo sforamento minimale non rilevava quale difformità parziale e poteva farsi ragionevolmente rientrare nelle tolleranze.
Per gli altri edifici non si poteva effettivamente accertare una difformità in quanto si trattava di opere non finite, senza certificato di regolare esecuzione, che potevano ancora subire delle modifiche (anche attraverso lo strumento della variante in corso d’opera). Non era quindi il caso ove, ancorchè la costruzione non sia ancora terminata, sia già stato superato un limite consentito dal titolo edilizio o realizzato un corpo comunque autonomo.
ILLEGITTIMITÀ DELL’ORDINE DI DEMOLIZIONE - In questo contesto, i giudici hanno richiamato l’orientamento secondo cui è illegittimo il provvedimento con il quale viene ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in relazione ad un abuso edilizio nel caso in cui lo stesso si traduca in una modifica di lieve entità, con sostanziale assenza di pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico.
In conclusione, il Consiglio ha rilevato che nel caso di specie si era accertato solo “un modesto (o meglio modestissimo, considerando le proporzioni in toto) aumento di volume e di altezze di piano rispetto alla consistenza dell’edificio come originariamente progettato, senza dare luogo a nuovi organismi edilizi autonomamente utilizzabili”.
L’insussistenza dell’abuso comportava dunque l’inapplicabilità dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, con conseguente annullamento dell’ordine di demolizione.