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14/02/2020

Limite distanze tra costruzioni: non si applica agli elementi architettonici diversi dalle pareti

Il limite di distanza tra pareti finestrate di cui all'art. 9 del D.M. 1444/1968 non trova applicazione nel caso in cui ad una parete finestrata si contrapponga un altro elemento architettonico di diversa funzione, ad esempio un tetto spiovente.

FATTISPECIE
Nel caso di specie il ricorrente impugnava la sentenza del TAR che aveva disposto l’annullamento del permesso di costruire relativo ad una sopraelevazione fronteggiante la struttura di copertura (tetto inclinato con un lucernario) dell’edificio vicino. Il TAR sosteneva che la suddetta struttura (obliqua) avesse natura di “parete antistante” e conseguentemente riteneva integrata la violazione dell’art. 9 del D.M. 02/04/1968, n. 1444, il quale stabilisce il limite di distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

DIFFERENZA TRA PARETE E COPERTURA
Il Consiglio di Stato, con la sentenza 17/12/2019, n. 8527, ha innanzitutto rilevato che nella fattispecie non si trattava di una parete, bensì di una copertura ed ha chiarito la differenza che sussiste tra i due diversi elementi architettonici.

In termini generali per parete si intende un elemento costruttivo con funzione di sostegno dell'opera, mentre per copertura si intende un elemento costruttivo con funzione, appunto, "di copertura". Ciò che è effettivamente decisivo al fine della distinzione non è l’andamento verticale o orizzontale della struttura, ma è il dato funzionale: ciò che sostiene e sorregge è parete, ciò che copre e, per così dire, chiude verso l'alto è copertura (ovvero il "tetto"). Di conseguenza doveva ritenersi irrilevante, nel caso di specie, l’andamento obliquo della struttura del tetto.

INAPPLICABILITÀ DEL LIMITE AD ALTRI ELEMENTI ARCHITETTONICI DIVERSI DALLE PARETI
Ciò posto, secondo il Collegio, la disposizione di cui all’art. 9, D.M. 1444/1968 si applica esclusivamente in presenza di due pareti frontistanti, delle quali almeno una sia finestrata: pertanto, non può trovare applicazione allorché ad una parete finestrata si contrapponga una mera copertura.

Tale disposizione non si presta ad alcuna interpretazione estensiva (né, a fortiori, analogica): la scelta lessicale del termine “parete” rimanda, infatti, ad un ben preciso elemento architettonico come sopra descritto, cui soltanto si riferisce il contenuto prescrittivo della norma, che non regola né la distanza fra una parete finestrata ed un contrapposto elemento architettonico di un altro edificio diverso da una parete, né, tanto meno, la distanza tout court fra edifici.

Del resto, hanno proseguito i giudici, il riferimento alle pareti finestrate risponde alla ratio della disposizione, tesa a tutelare l’interesse pubblicistico alla preservazione di condizioni di salubrità dei luoghi e di civile convivenza fra cittadini, che sarebbero messe a repentaglio ove fosse possibile edificare pareti frontistanti con aperture sull’esterno (tali essendo, appunto, le pareti finestrate) ad una distanza particolarmente ravvicinata fra loro.

Sulla base di tali considerazioni il Consiglio di Stato ha ritenuto erronea l’applicazione al caso di specie dell’art. 9, D.M. 1444/1968, ed ha accolto il ricorso per la riforma della sentenza impugnata.

Dalla redazione