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19/10/2018

Appalti di opere pubbliche: responsabilità dell’amministrazione committente

Secondo la Corte di Cassazione, sentenza 28/09/2018, n. 23442, il committente (anche ente pubblico) è responsabile per i danni causati dalla “cosa” oggetto dell’appalto, anche laddove essa sia stata modificata dall’appaltatore, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ..

Con la suddetta pronuncia la Corte chiarisce i presupposti e la ripartizione della responsabilità del committente e dell’appaltatore per i danni subiti dai terzi nel corso dell’esecuzione di un appalto di lavori edili, con particolare riguardo all’appalto di opere pubbliche. Nel caso di specie si trattava di un ricorso avverso una pronuncia in cui si affermava la sussistenza della responsabilità delle imprese appaltatrici e si escludeva la responsabilità dell’ente committente (Comune) per i danni subiti da un immobile a seguito di un allagamento proveniente dal cantiere aperto per la realizzazione di una bretella stradale.

Al riguardo la Corte, accogliendo il ricorso, ha affermato che in caso di danni subiti da terzi nel corso dell'esecuzione di un appalto, bisogna distinguere tra:
- i danni derivanti dalla attività dell'appaltatore e
- i danni derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto.
Per i primi si applica l'art. 2043 cod. civ. e ne risponde di regola esclusivamente l'appaltatore in quanto la sua autonomia (che riguarda la sua attività di esecuzione dei lavori, ma non la custodia del bene oggetto dell’appalto) impedisce di applicare l'art. 2049 cod. civ. al committente, salvo il caso in cui il danneggiato provi la una concreta ingerenza del committente nell'attività stessa e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo.
Per i secondi (e cioè per i danni direttamente derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto, anche se determinati dalle modifiche e dagli interventi su di essa posti in essere dall'appaltatore) risponde anche il committente ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., in quanto l'appalto e l'autonomia dell'appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della cosa da parte del committente.

Ed infatti l'appalto di lavori aventi ad oggetto una cosa non fa di per sé venir meno a carico del committente l'obbligo di custodia e l'obbligo di esercitare il controllo su di essa, sia pure compatibilmente con l'esistenza del contratto di appalto, in modo da impedire che la stessa produca danni a terzi. Le vicende che riguardano l'utilizzazione della cosa, ed anche l'affidamento ad un appaltatore dell'attività di manutenzione e/o di esecuzione di opere di modifica, rientrano sempre nell'esercizio dei poteri del custode, e quindi ne possono escludere la responsabilità esclusivamente laddove ricorrano le rigorose condizioni richieste dall'art. 2051 cod. civ., e cioè sia provato il caso fortuito. Pertanto il committente, per essere esonerato dalla sua responsabilità nei confronti del terzo danneggiato, non può limitarsi a provare la stipulazione dell'appalto, ma deve dimostrare di avere scelto un appaltatore adeguato, di avergli fornito adeguate direttive e di avere esercitato i suoi poteri di controllo e vigilanza sull'attività dello stesso con la necessaria diligenza, di modo che il danno possa ritenersi causato da una condotta dell'appaltatore non prevedibile e/o evitabile (e quindi in sostanza riconducibile all'ipotesi del caso fortuito costituito dalla condotta del terzo). Egli potrà comunque eventualmente rivalersi sull’appaltatore da lui stesso scelto.

Con particolare riferimento agli appalti pubblici, la Corte ha inoltre richiamato l'orientamento secondo il quale gli specifici poteri di autorizzazione, con controllo ed ingerenza della pubblica amministrazione nella esecuzione dei lavori, con facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l'ente committente.

Dalla redazione