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01/02/2024

Locazione commerciale, diniego di rinnovazione del contratto

Il locatore dispone di un potere unilaterale di revoca della disdetta una volta che essa abbia prodotto i suoi effetti? Analisi e risposta a cura dell’Avv. Maurizio Tarantino.

Al fine di evitare il rinnovo del rapporto locatizio, la legge ritiene sufficiente la semplice manifestazione di volontà del locatore con i motivi specifici e nei termini di legge. Tuttavia, a seguito di tale manifestazione di volontà, possono verificarsi situazioni di “ripensamento”.
Dunque, ai fini della soluzione del quesito, occorre analizzare la questione dal punto di vista normativo e giurisprudenziale.

IL CONTRATTO DI LOCAZIONE COMMERCIALE- Il contratto di locazione commerciale è un accordo mediante il quale una parte, il locatore, mette a disposizione di un’altra, il conduttore, un immobile destinato ad un uso commerciale. A fronte della concessione dell’immobile, il conduttore dovrà pagare una somma di denaro ogni mese, il canone.
I contratti ad uso commerciale hanno una durata prestabilita dalla legge (art. 27, L. 392/1978): 6 anni per gli immobili impiegati ad uso industriale, commerciale, artigianale, professionale, turistico; 9 anni per immobili ad uso alberghiero; liberamente determinabile dalle parti per gli immobili di carattere transitorio per natura.
La stipulazione di un contratto di locazione di immobile urbano destinato a uso non abitativo per una durata inferiore al termine minimo di legge, non determina la nullità del contratto, ma l’invalidità della clausola derogativa e, di conseguenza, l’automatica eterointegrazione del contratto ai sensi dell’art. 1419, comma 2 del Codice civile con l’applicazione della durata minima prevista dalla norma.

ASPETTI GENERALI SUL DINIEGO DI RINNOVO DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE- La legge consente al locatore di negare il rinnovo del contratto alla prima scadenza solo in ipotesi tassative. Infatti, la giurisprudenza è costante nell’affermare che il diniego di rinnovo alla prima scadenza previsto dall’art. 3 della L. 431/1998 (uso abitativo) e dall’art. 29 della L. 392/1978 (uso commerciale) postula l’intenzione del locatore di adibire l’immobile agli usi indicati dalla legge.
La disposizione non fa riferimento alla necessità ma alla mera intenzione che deve essere seria, cioè realizzabile giuridicamente e tecnicamente, ma non è sindacabile nel suo contenuto di merito, non potendo il giudice interferire sull’utilità o sulla convenienza della divisata destinazione per il locatore (C. Cass. civ. 21/01/2010, n. 977).

IL DINIEGO NELLA LOCAZIONE COMMERCIALE- Il Legislatore, con l’art. 29 della L. 392/1978, ha previsto che il diniego della rinnovazione del contratto alla prima scadenza è consentito al locatore ove egli intenda adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta; oppure, adibire l’immobile all’esercizio, in proprio o dai propri parenti. Altri motivi, ad esempio, possono riguardare la demolizione dell’immobile o la integrale ristrutturazione, oppure, altri interventi in base alla normativa.
In questi casi, il locatore, a pena di decadenza, deve dichiarare la propria volontà di conseguire, alla scadenza del contratto, la disponibilità dell’immobile locato; tale dichiarazione deve essere effettuata, con lettera raccomandata, almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza, rispettivamente per le attività indicate nei commi 1 e 2 dell’art. 27, L. 392/1978 e per le attività alberghiere.

L’INDICAZIONE PRECISA DEI MOTIVI DI DINIEGO- Nella comunicazione deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati dalla legge, sul quale la disdetta è fondata, in modo da consentire, in caso di controversia, la verifica “ex ante” della serietà e della realizzabilità dell’intenzione dedotta in giudizio e, comunque, il controllo, dopo l’avvenuto rilascio, circa l’effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato nell’ipotesi in cui il conduttore estromesso reclami l’applicazione delle sanzioni ivi previste a carico del locatore (C. Cass. civ. 09/02/2023, n. 3938).
Infatti, dalla disdetta o dalla mancata disdetta alla prima scadenza dipende l’effetto impeditivo della prosecuzione del rapporto ovvero la rinnovazione del contratto, il cui presupposto è pertanto in ogni caso legato ad una situazione definitivamente cristallizzatasi alla data di scadenza del termine per la comunicazione della disdetta da parte del locatore, costituendo principio generale che, salve espresse disposizioni derogatorie da parte del Legislatore, le condizioni di efficacia e gli effetti di un atto sono disciplinati dalla legge in vigore al momento in cui esso è adottato, al pari degli effetti della sua mancanza (App. Torino 14/06/2022, n. 603).
Il contenuto non deve lasciare perciò nel conduttore neppure il minimo dubbio sull’intenzione del locatore di impedirgli di occupare l’immobile oltre la scadenza del contratto; quindi, la comunicazione deve avere un contenuto di significazione compiutamente intellegibile, puntuale e determinato, idoneo dunque a mettere al corrente il conduttore delle ragioni del negato rinnovo: la serietà dell’intenzione del locatore giustificante il diniego di rinnovo si presume e, pertanto, non necessita di rigorosa prova (Trib. Roma 13/04/2017, n. 7574).

RINNOVAZIONE TACITA DEL CONTRATTO- La rinnovazione tacita del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1597 del Codice civile, postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la volontà di porre termine al rapporto, la rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo, invece, un comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto (C. Cass. civ. 14/05/2014, n. 10542).
In sostanza, detta rinnovazione non può dedursi dal totale silenzio serbato dal conduttore dopo la disdetta o dalla permanenza del conduttore nell’immobile oltre la scadenza del termine contrattuale o, ancora, dall’accettazione dei canoni da parte del locatore. Occorre che dall’univoco comportamento tenuto da entrambe le parti, dopo la scadenza del contratto medesimo, possa desumersi la loro implicita ma inequivoca volontà di mantenere in vita il rapporto locativo.

SOLUZIONE AL QUESITO
Alla luce delle considerazioni esposte, il consenso alla rinnovazione del rapporto può derivare o da dichiarazione espressa o da comportamento concludente, mentre la volontà espressa del locatore di non rinnovare il contratto di locazione alla scadenza comporta l’esaurimento dell’efficacia del contratto alla data indicata.
Premesso ciò, in tale ultima ipotesi, non esiste alcuna norma che riconosca al locatore un potere unilaterale di revoca della disdetta una volta che essa abbia prodotto i suoi effetti: non appena la disdetta, quale atto unilaterale recettizio, giunga al conduttore, questa produce l’effetto della cessazione della locazione con riferimento al momento in cui sopraggiunge la scadenza (ed evita la rinnovazione). Tuttavia, pur in assenza di una espressa norma, possiamo intendere “il ripristino del contratto”, nel caso in cui si verifica:
- una manifestazione di volontà negoziale bilaterale attraverso un negozio formale nel quale le parti si danno atto che la disdetta deve intendersi priva di effetti;
- comportamenti significativi di natura negoziale implicanti la concorde volontà delle parti di determinare quello stesso effetto.
In conclusione, qualora il locatore abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la rinnovazione non può desumersi da una manifestazione tacita di consenso alla permanenza del locatario nell’immobile locato, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto (C. Cass. civ. 15/04/2011, n. 8729).

 

Dalla redazione