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12/04/2022

Codice appalti: incostituzionale l'obbligo di affidamento esterno da parte dei concessionari

In tema di contratti pubblici, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 177 del Codice appalti che prevede l’obbligo a carico dei titolari di concessioni già in essere di affidare all’esterno l’attività oggetto di concessione.

Riferimenti normativi
In attuazione della lett. iii) dell'art. 1, comma 1, della L. 28/01/2016, n. 11 (c.d. Legge delega sugli appalti), le disposizioni dell’art. 177, del D. Leg.vo 18/04/2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) obbligano i titolari delle concessioni già in essere al 19/04/2016, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica, a esternalizzare, mediante affidamenti a terzi con procedura di evidenza pubblica, l’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture, relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro, nonché di realizzare la restante parte di tali attività tramite società in house o società controllate o collegate ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

Osservazioni della Corte Costituzionale
In proposito, secondo la Corte Costituzionale, i vincoli frapposti dalle suddette disposizioni alla piena esplicazione della libertà di iniziativa economica sono costituiti da misure espressamente dirette a favorire l’apertura alla concorrenza, attraverso la restituzione al mercato di segmenti di attività ad esso sottratti, in quanto oggetto di concessioni a suo tempo affidate senza gara alle imprese concessionarie.
In altri termini, il contenuto delle suddette disposizioni era dettato dalla necessità di imporre regole concorrenziali, seppure a valle, quando sono mancate le gare a monte.

La Corte Costituzionale ha precisato però che, se, legittimamente in base a quanto previsto all’art. 41 Cost., il legislatore può intervenire a limitare la libertà d’impresa in funzione di tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio ex post al vulnus conseguente a passati affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato, il perseguimento di tale finalità incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti. La libertà d’impresa non può subire infatti, nemmeno in ragione del doveroso obiettivo di piena realizzazione dei principi della concorrenza, interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe nel caso di un completo sacrificio della facoltà dell’imprenditore di compiere le scelte organizzative che costituiscono tipico oggetto della stessa attività d’impresa.

Un ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo è costituito dalla sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, quali fra gli altri le dimensioni della concessione - apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni -, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico.

Nello stabilire un obbligo di tale incisività e ampiezza applicativa il legislatore ha poi omesso del tutto di considerare l’interesse dei concessionari che, per quanto possano godere tuttora di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, esercitano nondimeno un’attività di impresa per la quale hanno sostenuto investimenti e fatto programmi, riponendo un relativo affidamento nella stabilità del rapporto instaurato con il concedente. Affidamento che riguarda, inoltre, anche al di là dell’impresa e delle sue sorti, la prestazione oggetto della concessione, e quindi l’interesse del concedente, degli eventuali utenti del servizio, nonché del personale occupato nell’impresa. Interessi tutti che, per quanto comprimibili nel bilanciamento con altri ritenuti meritevoli di protezione da parte del legislatore, non possono essere tuttavia completamente pretermessi, come risulta essere accaduto invece nella scelta legislativa in esame.

Conclusioni
In conclusione, se la previsione legislativa di obblighi a carico dei titolari delle concessioni in essere, a suo tempo affidate in maniera non concorrenziale, può risultare necessaria nella corretta prospettiva di ricondurre al mercato settori di attività ad esso sottratti, le misure da assumere a tale fine non possono non tenere conto di tutto il quadro degli interessi rilevanti e operarne una ragionevole composizione, nella consapevolezza della complessità delle scelte inerenti alla tutela da accordare alla libertà di iniziativa economica. Complessità che, d’altra parte, non sembra essere sfuggita allo stesso legislatore, che ha prorogato più volte il termine per l’adeguamento, fissandolo, da ultimo, al 31/12/2022.

Dichiarazione di illegittimità costituzionale
Pertanto, la Sent. Corte Cost. 23/11/2021, n. 218 ha ritenuto che la previsione dell’obbligo a carico dei titolari di concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica, di affidare all’esterno l’attività oggetto di concessione - mediante appalto a terzi dell’80% dei contratti inerenti alla concessione stessa e mediante assegnazione a società in house o comunque controllate o collegate del restante 20% - costituisca una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, in quanto tale lesiva della libertà di iniziativa economica.
Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 177, comma 1, del D. Leg.vo 50/2016 (nonché, in via consequenziale, dell’art. 177, commi 2 e 3, del D. Leg.vo 50/2016) e della lettera iii) dell'’art. 1, comma 1, della L. 28/01/2016, n. 11, per violazione dell'art. 3, comma 1, Cost. e art. 41, comma 1, Cost

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