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ISSN 1721-4890
Fondata nel 1933
Direttore Dino de Paolis
Circ. Min. Beni e Att. Culturali 21/07/2017, n. 42
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[Premessa]Come concordato all’esito dell’incontro del 27 aprile 2017, acquisito il contributo dell’Ufficio legislativo, con il quale |
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Regolamento |
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1. Individuazione delle categorie degli interventi previsti dall’allegato “A”La questione interessa in via generale il regime applicativo dell’intero allegato A, caratterizzato, in numerose delle voci che lo compongono, dalla presenza di specifiche condizioni e di particolari presupposti per l’operatività dell’esclusione della previa autorizzazione paesaggistica (con la conseguenza che, in mancanza di tali condizioni e presupposti, l’intervento o l’opera contemplati dalla voce si assoggettano al regime autorizzativo semplificato e trovano necessaria previsione nelle corrispondenti voci dell’allegato B). Presupposti per la “liberalizzazione” sono costituiti, in molti casi, dalla natura del vincolo paesaggistico, ossia dal fatto che gli immobili interessati dagli interventi ricadano in aree sottoposte a vincolo ex lege Galasso (attuale articolo 142 del Codice) o a vincolo di bellezza panoramica (lettera d) dell’articolo 136 del Codice) e non ricadano, invece, in aree sottoposte a vincoli di bellezza individua o del tipo di cui alla lettera c) dell’articolo 136 citato (“ … purché tali interventi non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici”). Presupposti per le ulteriori “liberalizzazioni” previste dall’articolo 4 sono, inoltre, la presenza di specifiche prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione e la tutela del bene paesaggistico nel provvedimento di vincolo, ovvero nel piano paesaggistico (e che, dell’inverarsi di tale presupposto, la Regione e il Ministero diano adeguata pubblicità sui rispettivi siti istituzionali). Condizioni per la “liberalizzazione” sono costituite, in molti casi, dal fatto che l’intervento o l’opera siano “eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel Comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti” o non comportino “modifiche alle caratteris |
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2. Articolo 3. Ente responsabile della verifica della corretta individuazione della tipologia di intervento operata dal richiedente riguardo agli interventi ed opere di lieve entità elencati nell’allegato «B))È stata posta la questione di quale sia l’ente competente ad effettuare le verifiche circa la corretta individuazione, da parte del privato, della tipologia di intervento, riguardo alle tipologie elencate nell’allegato B. Al riguardo si osserva che tale verifica, come ogni accertamento e valutazione dei pres |
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3. Cumulo di una pluralità di interventi sullo stesso immobile - Reiterazione/reiterabilità dell’interventoSono stati evidenziati i rischi - riferibili a tutte le tipologie di interventi, sia quelli inclusi nell’allegato A, sia quelli inclusi nell’allegato B - connessi alla possibilità di artificiosa suddivisione degli interventi. Ora, un altro principio di carattere generale, implicito nella nuova disciplina, consiste nel divieto di segmentazione e frammentazione strumentale degli interventi manutentivi, di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione (ed eventuali aggiuntivi di “nuova costruzione”, con incremento di volumi e/o di superfici), singolarmente riconducibili nelle voci dell’allegato A o dell’allegato B: in linea di massima l’intervento o l’opera devono essere considerati e valutati nel loro insieme strutturale e funzionale e nella loro sostanziale unitarietà, non essendo evidentemente possibile fruire della liberalizzazione (o della semplifica |
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4. Articolo 4. Accordi con le Regioni - Ulteriori casi di esclusione - Verifica del rispetto delle prescrizioni - Possibilità di stipulare accordi Ministero-Regione per l’esonero di alcune tipologie di opere da parte del privatoL’articolo 4 prevede che allorquando nel provvedimento di vincolo, ovvero nel piano paesaggistico, siano contenute le specifiche prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione e la tutela del bene paesaggistico, sono sottratte alla previa autorizzazione paesaggistica le ulteriori tipologie di opere e di interventi ivi contemplati. Il comma 2 precisa che “La regione e il Ministero danno adeguata pubblicità sui rispettivi siti istituzionali della riscontrata condizione di esonero dall’obbligo di cui al comma 1 e che l’esonero decorre dalla data di pubblicazione del relativo avviso sui siti istituzionali”. La disposizione deve essere interpretata nel senso che sia assicurata la certezza del momento da cui decorrono le premialità stabilite dalla norma. Al fine di garantire una omogenea e condivisa attuazione della disposizione, si ritiene necessario che tra il Ministero e le amministrazioni territoriali che condividono le competenze di tutela paesaggistica siano stipulati appositi accordi finalizzati a determinare tempi e modalità di pubblicazione degli atti che specificano le particolari prescrizioni determinanti la liberalizzazione delle tipologie di interventi previsti. Tali appositi accordi implicano la condivisione, tra le due amministrazioni, della idoneità delle specifiche prescrizioni dettate dal piano (o dalla “vestizione” del vincolo) a integrare il presupposto per l’operatività di tali, ulteriori ipotesi di liberalizzazione. A tal riguardo occorre porre l’accento sull’aggettivo specifiche riferito nella norma alle prescrizioni d’uso condizionant |
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5. Dubbi circa l’identificazione della tipologia del vincolo paesaggistico, nell’ambito di quelle previste dall’articolo 136 del CodiceNella riunione del 27 aprile u.s. è emersa la questione critica (ulteriormente evidenziata in alcune note pervenute all’Ufficio Legislativo da parte di alcuni Comuni), dell’esatta identificazione della base e della natura giuridiche del vincolo paesaggistico provvedimentale allorquando (come accaduto non di rado nella prassi) il singolo decreto ministeriale abbia richiamato promiscuamente sia il numero 3) che il n. 4) dell’articolo 1 della legge n. 1497 del 1939 (attuali lettere c) e d) dell’articolo 136 del Codice), ponendosi, in tal c |
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6. La nozione di interesse storico-architettonico o storico-testimonialeUn altro profilo particolarmente complesso e importante che esige primi, urgenti indirizzi applicativi attiene alla individuazione - nelle aree dichiarate di notevole interesse pubblico ex articolo 136, lett. c) (complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri e i nuclei storici) - degli specifici immobili privi di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, inclusi, per l’assenza di tale interesse, nella liberalizzazione, in deroga alla regola generale, propria dei suddetti complessi di immobili vincolati ex lettera c) citata, che li esclude dall’applicabilità di molte delle tipologie elencate nell’allegato A (e dalla ivi prevista “liberalizzazione”). Al riguardo deve innanzitutto chiarirsi che non è condivisibile la tesi secondo la quale, all’interno dei perimetri dei vincoli di cui alla lettera c) dell’articolo 136 del Codice, rivestirebbero il suddetto interesse solo gli immobili sottoposti a tutela così detta “monumentale” (ossia quelli sottoposti a tutela storica, artistica, architettonica, ai sensi della Parte II del Codice, già legge n. 1089 del 1939). L’erroneità di tale tesi è evidente: essa svuoterebbe di senso e di contenuto la particolare attenzione e cura, osservate dal regolamento, nell’assicurare un grado di tutela rafforzato ai complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri e i nuclei storici, finendo per sottrarre alla liberalizzazione i soli edifici già vincolati ad altro titolo e comunque soggetti alla previa autorizzazione di cui agli artt. 21 ss. del Codice. Ciò premesso, con riguardo alla questione di come si possano identificare i singoli immobili privi di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, si ritiene che a detta identificazione non si possa che pervenire sulla base di considerazioni generali, valide su tutto il territorio nazionale, per due ordini di motivi: |
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7. Articolo 5 - Prevalenza dell’autorizzazione paesaggistica su eventuali prescrizioni contenute nei regolamenti edilizi e urbanistici localiL’articolo 5 (Disposizioni specificative degli interventi) prevede che i piani paesaggistici di cui agli articoli 135 e 143 del Codice possono dettare direttive o disposizioni per la specificazione, ad opera degli strumenti urbanistici locali, in sede di adeguamento ai piani paesaggistici stessi, delle corrette metodologie di realizzazione degli interventi di cui all’allegato “A” al regolamento. Nel corso del dibattito del 27 aprile u.s. sono stati chiesti chiarimenti in merito all’esatto significato della disposizione in esame, in particolare sulla possibilità di un eventuale rapporto di prevalenza tra il regolamento e i contenuti prescrittivi degli strumenti urbanistici locali. |
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8. Articolo 11 - Termini proceduraliCome già evidenziato nel corso della giornata informativa del 27 aprile scorso, si conferma che i termini intermedi (articolo 11, comma 7, con particolare riferimento alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda) non sono perentori. Perentorio - con effetto di consumazione del potere per silenzio-assenso - è solo il termine finale di venti giorni dato al Soprintendente; una comunicazione di motivi ostativi “tardiva”, intervenuta, ad esempio, il quindicesimo giorno successivo alla ricezione della proposta di accoglimento comunale, non determinerà in alcun modo l’illegittimità del parere conclusivo negativo, che dovrà però comunque intervenire nel breve, residuo, termine successivo alla ricezione delle controdeduzioni del privato (atteso che, come criticamente rilevato nel corso della riunione del 27 aprile 2017, non si è riusciti, in sede di elaborazione del nuovo regolamento, a correggere l’errore già contenuto nel regolamento del 2010 che, come effetto conseguente alla comunicazione dei motivi ostativi, prevede la sola sospensione del termine del procedimento e non la sua interruzione, come è regola generale ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990). Quanto alla rilevata insufficienza del termine di 10 giorni per la formulazione del preavviso di diniego, si precisa quanto segue, riprendendo quanto già anticipato nel corso della giornata informativa del 27 aprile scorso. In base al comma 7 dell’articolo 11, la Soprintendenza, a seguito del ricevimento della proposta di accoglimento dell’istanza di autorizzazione paesaggistica semplificata, comunica per via telematica al richiedente, entro il termine di dieci giorni, i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza e della proposta, indicando, contestualmente e ove possibile, le eventuali modifiche indispensabili per la valutazione positiva del progetto affinché lo stesso risulti compatibile con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento. Il richiedente ha quindici giorni di tempo per la riproposizione del progetto. Tale intervallo di tempo sospende i termini del procedimento. La critica al descritto ordine procedurale riguarda l’eccessiva esiguità dei termini concessi alla Soprintendenza in caso di valutazione negativa della proposta, sia in ragione della ingiustificata previsione della sola sospensione - e non dell’interruzione - del termine del procedimento, sia alla luce di una consolidata giurisprudenza che insiste nel pretendere una completa disamina dei motivi di diniego già nella fase interlocutoria e intermedia di tale adempimento. |
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9. Articolo 11. - Questioni concernenti il procedimento autorizzatorio9.1. Verifica preliminare della qualificazione tecnico-giuridica dell’istanza - Obbligo di fornire indicazioni al richiedente circa la tipologia di procedimento cui l’intervento è sottoposto La verifica preliminare è sempre obbligatoria. Il privato ha diritto di ottenere l’archiviazione della pratica e la comunicazione che l’intervento o l’opera ricadono in regime libero, in applicazione dell’allegato A, se effettivamente tale è la valutazione degli uffici. Se il privato, pur potendo, in tesi, ritenere che l’intervento ricada nell’allegato A, abbia chiesto comunque, per prudenza, l’autorizzazione paesaggistica semplificata, è poco probabile che abbia intenzione di iniziare comunque i lavori prima di una pronuncia dell’amministrazione. Non sono previste sanzioni specifiche per l’amministrazione e il funzionario che non applichi il comma 1 dell’articolo 11, ma potrebbero trovare applicazione i titoli comuni di responsabilità disciplinare. Per il privato che realizzi interventi privi di autorizzazione ritenendo (anche se in buona fede) che si trattasse di interventi liberi, trova applicazione la previsione dell’art. 17 del regolamento. Quanto all’obbligatorietà o meno per l’ente procedente - Regione o ente sub-delegato - di indicare (nella proposta di trasmissione della pratica per il parere vincolante della Soprintendenza) se l’istanza del privato sia rivolta a ottenere l’autorizzazione semplificata o ordinaria, si precisa che sussiste tale obbligo in capo all’ente procedente, che deve naturalmente indicare, nel trasmettere la pratica e dovendo formulare una proposta alla Soprintendenza, se si tratta di procedura di autorizzazione ordinaria o semplificata. La Soprintendenza può dissentire e applicare la procedura ordinaria in luogo di quella semplificata, provvedendo a comunicarlo al Comune e alla stessa parte istante (alla stessa stregua di una comunicazione di motivo ostativo, ex articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990, quale ostativo sulla procedura, non sull’esito nel merito della domanda, con la conseguenza che la procedura dovrà ripartire ex novo, con la documentazione appropriata prevista dal regime ordinario di cui all’articolo 146), In linea generale, la pratica, già istruita dall’ente territoriale e corredata di una motivata proposta di accoglimento (anche parziale, con prescrizioni) o di diniego, dovrebbe essere completa in ogni sua parte, in primis, dunque, quanto alla giustificazione del potere esercitato, ossia riguardo alle norme della cui applicazione si tratta (e, dunque, al tipo di procedimento). Tuttavia è da escludere ogni superfluo formalismo in questa materia, anche in linea con la massima comune secondo cui l’erronea indicazione, negli atti amministrativi, della norma di legge pertinente non costituisce di per sé un vizio invalidante che determina l’illegittimità della procedura. Nei casi più complessi e delicati potranno dunque essere richiesti chiarimenti, ma, in ogni caso, deve accordarsi prevalenza alla sostanza sulla forma e la Soprintendenza deve senz’altro applicare la procedura ritenuta appropriata per il singolo caso trattato. Come si è avuto modo di evidenziare nel corso della riunione del 27 aprile, anche con riferimento all’articolo 12 del regolamento recante misure organizzatorie, sarebbe auspicabile che le Soprintendenze condividessero, per quanto possibile, con i Comuni del territorio (e con gli altri enti delegati) modalità di trasmissione e di “tracci |
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10. Articolo 16 - Coordinamento con la tutela dei beni culturaliL’articolo 16 (Coordinamento con la tutela dei beni culturali) prevede che, ove gli interventi assoggettati alla previa autorizzazione paesaggistica implichino l’adempimento anche degli obblighi di tutela di cui all’articolo 21 del Codice (nel caso di immobili assoggettati sia al titolo di tutela storico-artistica, sia al titolo di tutela paesaggistica), l’interessato possa presentare un’unica istanza e che la Soprintendenza si pronunci con un unico provvedimento a contenuto plurimo. Al riguardo sono stati sollevati dubbi sulla possibile interferenza di tale norma sulle modalità di svolgimento e sui termini previsti per il procedimento autorizzatorio di cui alla Parte II del Codice di settore. Si chiarisce che si tratta di una norma avente natura di mero indirizzo non vincolante, come dimostra la collocazione dell’articolo, non a caso inserito nel Capo del regolamento dedicato alle norme finali, organizzative e di coordinamento. Si tratta, dunque, di una previsione di mero coordina |
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11. Articolo 17, comma 1 - Rimessione in pristinoLa procedura per la remissione in pristino in caso di abusi, in relazione al regolamento di cui al D.P.R. n. 31 del 2017, non registra scostamenti ed elementi di specialità rispetto alle normali procedure sinora seguite in applicazione degli articoli 146 e 167 del Codice. L’unica norma speciale è contenuta nell’art. 17 del regolamento del 2017. Essa si limita a prevedere due precetti. In primo luogo il comma 1 stabilisce che, nel caso di violazioni del regolamento (ad esempio, realizzazione di interventi rientranti in una delle tipologie dell’allegato A, e dunque senza previa autorizzazione semplificata, ma in assenza dei presupposti o delle condizioni ivi indicate), l’amministrazione che procede all’irrogazione della sanzione deve per quanto possibile evitare il ripristino dello stato dei luoghi, indicando, ove necessario, le prescrizioni conformative idonee ad assicurare la conformità paesaggistica dell’intervento |
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AllegatiPremessa L’allegato A (art. 2 del regolamento n. 31 del 2017) stabilisce quali sono gli interventi che possono essere eseguiti senza autorizzazione paesaggistica, mentre l’allegato B (art. 3) definisce quelli “di lieve entit&agrav |
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Allegato AA.2, A.3 - Compatibilità dell’intervento con il rispetto delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti quale condizione di ammissibilità della liberalizzazione Le interlocuzioni con gli uffici periferici hanno fatto emergere la necessità di un chiarimento circa l’esatta portata del riferimento, nella voce A.2, al rispetto degli eventuali piani del colore esistenti nel Comune, quale condizione per l’applicazione dell’allegato A. Al riguardo, si specifica quanto segue. L’esistenza del piano del colore non costituisce condizione per l’esonero dalla previa autorizzazione paesaggistica. Ove esso esista e sia applicabile, allora potrà costituire utile parametro per la verifica dell’adempimento della condizione del rispetto delle previsioni in esso contenute. In altri termini: nelle realtà territoriali nelle quali viga un piano del colore, il rispetto delle sue prescrizioni opera come condizione per la liberalizzazione degli interventi contemplati nelle voci dell’allegato A che fanno riferimento al piano del colore; nelle realtà territoriali nelle quali non sia vigente alcun piano del colore, tale condizione non sussiste e le voci dell’allegato A potranno trovare senz’altro applicazione senza dover soddisfare questa ulteriore condizione (in tali casi evidentemente insussistente e non esigibile). Ove, poi, la Soprintendenza dovesse ritenere necessario e utile, per la migliore tutela paesaggistica, che sia introdotto un piano del colore, allora sarà possibile introdurlo con i più volte ripetuti strumenti giuridici appropriati, anche a prescindere dall’iniziativa comunale e dai regolamenti comunali, mediante “vestizione” del vincolo. Riguardo agli interventi di coibentazione (ma anche agli interventi di miglioramento/adeguamento ai fini antisismici di cui alla successiva voce A.3), giova osservare che essi si inquadrano nella più generale criticità rilevata nel corso della giornata informativa del 27 aprile u.s., e confermata in successive note degli uffici periferici, relativa alla formulazione della voce n. 2 dell’allegato “A”, nella parte in cui, in tale voce, la disposizione riferisce la verifica del rispetto delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture, quale condizione di ammissibilità della liberalizzazione, alle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti. Tale riferimento all’esistente potrebbe comportare l’esito illogico di “confermare” interventi pregressi eterogenei rispetto al pregio paesaggistico dell’immobile, o spuri rispetto al contesto, o largamente oramai superati dalle migliori tecniche e pratiche disponibili. La questione peraltro era già da tempo presente nel dispositivo dell’art. 149 del Codice, laddove al comma 1, lettera a) vengono indicati tra gli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica “gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino l’aspetto esteriore degli edifici”: con la possibile paradossale conseguenza, qualora ci si basasse su di una interpretazione pedissequamente letterale della norma, di esentare dall’autorizzazione paesaggistica interventi anche gravemente incongrui - sotto il profilo delle tecniche, dei materiali, delle scelte filologiche - solo in quanto meramente confermativi di precedenti interventi del tutto erronei. Al riguardo va rilevato che, come è normale in tutte le discipline giuridiche che operano rimandi e riferimenti alla tecnica la disposizione in esame non può che essere letta come recante in sé, sia pur in implicito, un rinvio dinamico alle migliori conoscenze e tecniche disponibili, che comporta la possibilità di “sostituire” quei materiali, quelle finiture e quelle tecniche realizzative che, pur ritenute ammissibili o comunque utilizzate e praticate negli anni passati, sono state sostituite oggi da materiali, finiture e tecniche realizzative migliori sul piano qualitativo, sotto il profilo tanto della coerenza con i caratteri architettonici degli immobili, specie se di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, che, più complessivamente (e conseguentemente), con i caratteri paesaggistici dei luoghi. Con riguardo al patrimonio di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, in particolare, gli interventi rispettosi dell’“esistente’’ non possono che essere quelli uniformati ai principi e alle consolidate metodiche del restauro quali ad esempio, nel caso di manutenzione dei prospetti: - conservazione degli intonaci originari e/o storicizzati con demolizione limitate alle parti ammalorate e non recuperabili; - attenta conservazione dei partiti decorativi e degli elementi architettonici (cornici, modanature, ordinanze architettoniche, ecc.) con integrazione mediante calco di parti eventualmente mancanti e non recuperabili; - utilizzo di malte tradizionali o comunque coerenti con quelle originarie per la ripresa degli intonaci; - utilizzo di tecniche e materiali di tipo tradizionale, o comunque compatibili con il supporto, per le tinteggiature e conformità di queste ultime alle coloriture originarie e/o storicizzate. In tale quadro si ritiene vadano considerati gli interventi di coibentazione indicati nella stessa voce A.2 (con particolare riferimento alla realizzazione di un rivestimento “a cappotto” sul fronte esterno degli edifici), od anche taluni interventi di miglioramento/adeguamento antisismico di cui alla voce A.3 (quali l’apposizione di rete elettrosaldata sui fronti murari esterni degli edifici), nel senso cioè che, nel caso dell’edilizia di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, essi certamente non possono ritenersi non comportanti modifiche alle caratteristiche architettoniche e morfo-tipologiche, e ai materiali di finitura o di rivestimento. Resta ferma l’opportunità, come già evidenziato in precedenza (cfr. in particolare il par. 8), che tali fattispecie trovino più esplicita regolamentazione tecnica nell’ambito della vestizione dei vincoli, o tramite appositi accordi con i Comuni. A.4, A.5, A.6 - Visibilità dell’intervento dallo spazio pubblico - Percepibilità dell’intervento Nel corso del dibattito del 27 aprile u.s. è stato richiesto come debba intendersi e valutare la “non visibilità dallo spazio pubblico” dell’intervento e chi debba valutarla, in particolare nei centri storici dove sono spesso presenti campanili, terrazzi, torri, logge di affaccio da edifici pubblici o ad uso pubblico ed è stato, altresì, evidenziato come gli interventi dell’allegato “A” siano sempre visibili dagli spazi pubblici, quali strade di accesso e punti di vista panoramici, specie nei territori montani. La percepibilità della trasformazione del territorio paesaggisticamente rilevante deve essere considerata in termini di visibilità concreta, ad occhio nudo, senza ricorso a strumenti e ausili tecnici, ponendosi dal punto di vista del normale osservatore che guardi i luoghi protetti prestando un normale e usuale grado di attenzione, assumendo come punto di osservazione i normali e usuali punti di vista di pubblico accesso, quali le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani ed extraurbani, o i normali punti panoramici accessibili al pubblico, dai quali possa godersi una veduta d’insieme dell’area o degli immobili vincolati. Con la precisazione che il livello di de |
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Allegato BB.8 Le interlocuzioni con gli Uffici periferici hanno posto in evidenza problematiche relative agli interventi di cui alla voce in esame, giacché tale voce fa esclusivo riferimento ai casi di cui alla lett. b) e c) del comma 1 dell’art. 136. È stata chiesta, pertanto, conferma che qualora si verificasse la necessità di installare pannelli fotovoltaici (come descritti dalla norma) su edifici ricadenti all’interno di aree di cui alle lettere a) e d), tale intervento sarebbe assoggettato al procedimento ordinario di autorizzazione paesaggistica. La voce B.8 deve essere letta in combinato disposto con la voce A.6, che per l’appunto eccettua dalla liberalizzazione gli edifici ricadenti in aree sottoposte a vincolo ex art. 136, lettere b) e c), nonché quelle installazioni di pannelli che, pur essendo effettuate su coperture piane, siano collocate in posizioni visibili dagli spazi pubblici esterni. Queste disposizioni, in combinato disposto tra loro, non fanno che riprodurre la già vigente disciplina di rango primario contenuta nell’art. 7-bis del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e successive modificazioni, la quale non eccettua gli interventi sui beni vincolati ai sensi della lettera a) dell’art |
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