Si osserva preliminarmente, che l’istanza non può essere trattata alla stregua di un interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212. R Ai sensi dell’articolo 3 del decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209, infatti, «L’istanza di interpello deve contenere a pena di inammissibilità:
b) la circostanziata e specifica descrizione del caso concreto e personale da trattare ai fini tributari sul quale sussistono concrete condizioni di incertezza».
La fattispecie prospettata dall’interpellante, invece, non è direttamente riferibile ad un caso concreto, in quanto i quesiti posti sono finalizzati ad ottenere un parere concernente l’interpretazione astratta di norme tributarie, senza riferimento alla posizione fiscale dello stesso interpellante. L’istanza, pertanto, deve ritenersi inammissibile ai sensi dell’articolo 3 del D.M. n. 209 del 2001.
Ciò premesso, si ritiene comunque opportuno esaminare nel merito le fattispecie prospettate, con un parere reso nel quadro dell’attività di consulenza giuridica disciplinata dalla circolare 18 maggio 2000, n. 99/E.
Preliminarmente è opportuno osservare che il testo unico dell’imposta di registro prevede:
— all’articolo 43, comma 1, lettera a) che «la base imponibile (…) è costituita: a) per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali dal valore del bene»;
— all’articolo 51, comma 1, che «… si assume come valore dei beni … quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito»;
— al successivo comma 2 che «per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari (…) si intende per valore il valore venale in comune commercio»;
— all’articolo 52, comma 1 che «l’ufficio se ritiene che