1. In via preliminare va esaminato il ricorso incidentale proposto dal condominio Bovi. Con un unico articolato motivo, l’appellante incidentale afferma, in primo luogo, che la sentenza impugnata ha ordinato al Comune di adottare i provvedimenti necessari alla “eliminazione delle immutazioni di fatto eseguite in virtù del titolo annullato” (pag. 9 sentenza impugnata), in violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001R.
Tale disposizione attribuirebbe all’amministrazione, in sede di esecuzione di un giudicato di annullamento di un titolo edilizio, tre alternative: la sanabilità dell’opera abusiva tramite la rimozione dei vizi procedurali; la rimozione dell’opera abusiva; l’applicazione di una sanzione pecuniaria qualora non sia possibile la rimozione.
Il condomino afferma al riguardo che, in primo luogo, la scelta dello strumento da utilizzare per eseguire un giudicato di tal genere spetterebbe all’amministrazione e non al giudice dell’ottemperanza e, comunque, nel caso di specie la scelta più opportuna sarebbe dovuta ricadere sulla sanzione pecuniaria data l’impossibilità di rimozione dell’opera abusiva.
In secondo luogo, il giudice di prime cure non avrebbe dovuto ordinare sic et simpliciter la demolizione del terzo piano del fabbricato, in quanto il Comune si era positivamente adoperato al fine di eliminare il vizio procedurale insito nel rilascio della concessione edilizia. Infine, l’appellante incidentale evidenzia che, in ogni caso, il Comune di Lioni non può essere obbligato ad ordinare la demolizione, poiché il giudicato sarebbe stato correttamente eseguito mediante l’adozione dell’ordine di demolizione n. 5 del 27 settembre 2011.
Il ricorso incidentale è infondato.
All’uopo giova innanzitutto evidenziare come, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, l’art. 114 co. 4 c.p.a. individua i poteri che il giudice può esercitare: in particolare, viene in rilievo la lett. a) della disposizione secondo cui il giudice “ordina l’ottemperanza prescrivendo le relative modalità anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione”. Sul punto, anche la giurisprudenza è univoca nel ritenere che “al giudice dell’ottemperanza è devoluto un potere di natura mista, tale da rendere il giudizio non assimilabile al processo esecutivo civile, essendo diretto non solo all’esecuzione del giudicato, vale a dire all’adeguamento della realtà materiale alla regola di diritto da questo stabilita per il caso concreto, ma anche una prodromica attività di cognizione avente lo scopo di definire e se del caso specificare tale regola” (Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2014 n. 1937).
Il giudice dell’ottemperanza, cioè, esercita gli ampi poteri conferiti dalla legge integrando l’originario disposto della sentenza impugnata dinanzi ad esso, con determinazioni che non ne costituiscono una mera “esecuzione”, ma una “attuazione” in senso stretto, dando luogo al cosiddetto giudicato “a formazione progressiva”.
Al riguardo, infatti, è stato chiarito che il giudice può “delimitare la reale portata della regola di diritto derivante dal giudicato, esercitando poteri di natura non meramente esecutiva ma anche cognitiva affinché, attraverso tale formazione progressiva del giudicato, recante la compiuta determinazione del suo contenuto quale correttamente desumibile, sia assicurata la realizzazione sostanziale del bene della vita perseguito con il giudizio” (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 19 agosto 2014 n. 4269).