In merito alla gestione del servizio in oggetto, si evidenziano criticità ascrivibili, in linea di massima, a cinque ambiti, tra loro interconnessi:
la mancata apertura al mercato, connessa all’affidamento in via diretta della concessione del 2002, e, per l’affidamento successivo, a un ritardo nel fruttuoso espletamento di gare pubbliche che si prolunga da circa 6 anni (ossia dal giugno 2007, data di scadenza della prima concessione);
l’indizione fallimentare di una serie di gare pubbliche con parametri - per quanto riguarda i requisiti tecnici ed economici richiesti, l’importo a base d’asta, le tariffe da applicare all’utente, la durata del contratto - mutevoli e in alcuni casi incongrui;
il ricorso alla procedura negoziata ad inviti per l’affidamento della concessione;
la mancata enucleazione dei costi della sicurezza nella lettera d’invito alla procedura negoziata e l’assenza del DUVRI;
la qualità del servizio prestato dall’attuale gestore.
Si esplicitano di seguito le valutazioni sugli accennati precedenti punti.
1. Ai sensi dell’art. 6 della legge 84/1994 R, le Autorità portuali hanno tra i propri compiti quello di provvedere all’affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali dei servizi di interesse generale, tra cui, per effetto del D.M. 14/11/1994 del Ministro dei trasporti e della navigazione, rientra la raccolta rifiuti. La stessa norma precisa che l’esercizio di tali attività è affidata in concessione dall'autorità portuale mediante gara pubblica.
Per l’affidamento di tale tipologia di servizi, l’obbligo di gara ad evidenza pubblica e il richiamo alla legislazione nazionale e comunitaria in materia è altresì previsto dal succitato art. 4 del d.lgs. 182/2003, concernente “l’attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico”.
Le norme citate non erano tuttavia applicabili, per ambito oggettivo o ratione temporis, al rinnovo della concessione in essere operato dalla Capitaneria di Porto nel 2002 al di fuori delle regole di concorsualità proprie della contrattualistica pubblica, in applicazione del D.P.R. n. 328/1952 (Regolamento di esecuzione del Codice della Navigazione) che permette di affidare i servizi portuali nei modi e con le formalità delle concessioni di beni demaniali.
A ben vedere, tuttavia, appare problematica l’applicabilità di una norma così risalente, alla luce della intervenuta evoluzione del diritto comunitario in materia di concessioni di servizi.
Difatti, sebbene le concessioni di servizi fossero allora, e siano tuttora, escluse dalla disciplina delle direttive sui contratti pubblici, già dal 2000 la Commissione Europea, con la Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario (pubblicata nella GUCE del 29.04.2000, richiamata dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie, del 01.03.2002 n. 3944 rubricata “Procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori”) ha chiarito che “nella misura in cui si configurano come atti dello Stato aventi per oggetto prestazioni di attività economiche o forniture di beni, le concessioni sono soggette alle norme conferenti del Trattato e ai principi sanciti in materia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea”.
Pertanto, l’obbligo di seguire le procedure concorsuali pubbliche nel caso di specie discendeva, oltre che dai principi generali della contabilità pubblica (artt. 3 e 6 del R.D. n. 2440/1923 e art. 41 del R.D. 827/1924), direttamente dal sovraordinato diritto comunitario.
Ciò posto, visto che il valore stimato della concessione del 2002 era sicuramente superiore alla soglia di rilevanza europea, il principio di adeguata pubblicità avrebbe richiesto che, oltre alle imprese italiane, anche le altre imprese della UE fossero correttamente informate dell’affidamento.
Per quanto attiene le ripetute proroghe della concessione connesse al fallimento delle procedure di gara, si evidenzia che il principio, rinvenibile nella normativa sui contratti pubblici, per cui è ammesso il ricorso alla proroga di precedenti contratti per il tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure di evidenza pubblica, non può tradursi in una moratoria sine die degli obblighi di legge, a fronte di iter amministrativi di durata spropositata.
Nel caso di specie, quindi, emerge un comportamento poco efficace ed un difetto di programmazione da parte dell’Ente, confermato dal fatto che la scadenza della prima concessione era fissata al dicembre 2007 e la prima gara aperta è stata bandita solo nel marzo 2010.
Sotto tale profilo, si ritiene che le pur rilevanti difficoltà incontrate nel rapporto con il precedente gestore, addotte come motivazione dall’Autorità portuale, non esimevano la stessa dall’onere di predisporre con idoneo anticipo