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ISSN 1721-4890
Fondata nel 1933
Direttore Dino de Paolis
Deliberaz. G.R. Umbria 10/11/2014, n. 1425
Deliberaz. G.R. Umbria 10/11/2014, n. 1425
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[Premessa]LA GIUNTA REGIONALE Visto il documento istruttorio concernente l’argomento in oggetto predisposto dal Servizio Urbanistica e espropriazioni e la conseguente proposta dell’assessore Fabio Paparelli; Visto l’art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) recante “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”; Visto l’art. 4 della L.R. n. 7/2011 (Disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità) recante “attività di indirizzo e coordinamento della Regione”; Vista la propria deliberazione n. 41 del 28 gennaio 2013 di emanazione dell’atto di indirizzo relativo all’applicazione dell’art. 42-bis del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327; Preso atto della necessità di nuove considerazioni e riflessioni per l’applicazione della disciplina suddetta finalizzate ad assicurare comportamenti uniformi in tutto il territorio regionale, derivanti dall’ordinanza n. 442/2013 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la quale è stata dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionalità dell’anzidetto art. 42 bis del T.U.; Ritenuto pertanto necessario emanare un atto di indirizzo aggiornato sulla base delle nuove considerazioni, relativo all’applicazione dell’art. 42-bis del T.U. di cui al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e contemporaneamente revocare la propria deliberazione di Giunta regionale n. 41 d |
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Allegato A1. La disciplina contenuta nell’articolo 42 bis del T.U approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 380 trova la sua origine nella sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del 8 ottobre 2010, recante la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 327, il quale sino a quel momento aveva disciplinato il procedimento di sanatoria per tutti casi di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, disciplina, questa, sostitutiva pertanto dell’istituto di fonte giurisprudenziale dell’accessione c.d. “invertita”, non accettato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la quale, per contro, ha sostenuto e sostiene a tutt’oggi la necessità che sia il legislatore a normare tali fattispecie. Tale pronuncia della Corte era stata indotta dall’avvenuta violazione, da parte del legislatore, dell’art. 76 Cost., non rinvenendosi nell’ambito della legge-delega che aveva consentito l’emanazione del T.U. 327 del 2001 un’espressa disposizione recante l’autorizzazione a normare il relativo istituto. Nell’ambito dei lavori preparatori della L.R. 22 luglio 2011 n. 7, recante disposizioni in materia di pubblica utilità, era stata predisposta anche la bozza di una disciplina che ovviasse all’interno dell’ordinamento regionale ai problemi insorti dal vuoto normativo con ciò creatosi, facendosi in tal modo carico, nell’attesa di una nuova disciplina di fonte statuale in materia, delle affermazioni della giurisprudenza che, al riguardo, reputava comunque in tale contesto ineludibile, nelle ipotesi di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, la ricerca da parte dell’Amministrazione di un accordo con il proprietario del bene appreso. Il relativo articolato è stato peraltro stralciato non appena il legislatore statuale ha introdotto nel T.U. 327 del 2001, per effetto dell’art. 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito in L. 15 luglio 2011 n. 111, il nuovo art. 42-bis, recante la disciplina sostitutiva di quella dichiarata costituzionalmente illegittima. 2. Ora, peraltro, nonostante che la disciplina contenuta nell’art. 42-bis abbia iniziato a ricevere una convinta e corretta applicazione da parte delle amministrazioni che si sono trovate nelle condizioni di sanare la loro risalente utilizzazione senza titolo di beni appresi ai privati per scopi di pubblica utilità, è insorto in sede giurisdizionale un ulteriore problema che consiglia talune valutazioni prudenziali su tali tipologie di procedimento. Con ordinanza 13 gennaio 2014 n. 442 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infatti dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’anzidetto art. 42 bis del T.U. in quanto l’acquisizione sanante da esso normata risulterebbe irragionevole, lesiva dei principi di uguaglianza, di difesa, dei principi a tutela e garanzia della proprietà privata e di legalità dell’azione amministrativa, nonché contrastante con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 6 e all’art. 1 del I° prot. add. alla Carta europea dei diritti dell’uomo e ancora confliggente con il principio del giusto processo affermato dall’art. 111 Cost. e con i principi enunciati dagli artt. 3, 24, 42 e 97 Cost. (parità tra i cittadini, diritto di difesa, tutela della proprietà e imparzialità dell’azione amministrativa). E’ ben evidente che, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, rimane pacifica la piena operatività della disciplina contenuta nell’art. 42-bis anzidetto, e risulta pertanto di per sé possibile iniziare procedimenti di acquisizione sanante nella sua applicazione, nonché proseguire i procedimenti già iniziati in tal senso. Tuttavia, l’eventuale venir meno con effetto retroattivo dell’anzidetto art. 42-bis in dipendenza di una pronuncia della Corte Costituzionale che dichiari fondate le censure di incostituzionalità sollevate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione induce a qualche riflessione intesa ad evitare l’automatica caducazione di atti eventualmente adottati ai sensi di tale disciplina nelle more della pronuncia medesima. Ciò in quanto verrebbe in tale evenienza a riprodursi una situazione del tutto identica a quella a suo tempo determinatasi allorquando la medesima Corte Costituzionale ebbe a dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 43 del T.U. 327 del 2001, con la conseguente caducazione degli effetti anche per gli atti non ancora divenuti inoppugnabili che fossero stati emanati in applicazione della disciplina divenuta incostituzionale, nonché delle pronunce giurisdizionali non ancora passate in giudicato e che parimenti fossero fondate sull’applicazione della disciplina medesima (cfr. ad es. sul punto, sempre con riguardo alla precedente vicenda dell’art. 43 del T.U. 327 del 2001, Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2011 n. 4408). In tale contesto e considerando che la Corte Costituzionale impiegherà ragionevolmente un lasso di tempo compreso tra uno e due anni per emanare la propria pronuncia, si esprimono pertanto le seguenti considerazioni: a) Se avverso il provvedimento acquisitivo già emanato e completo in tutte le sue parti, ivi compresa la sua trascrizione nei pubblici registri immobiliari e l’inoltro in copia alla Procura Regionale della Corte dei Conti, non dovesse a far tempo dall’inoltro del provvedimento medesimo al proprietario del bene, essere proposta impugnativa in sede giurisdizionale amministrativa o straordinaria (art. 8 e ss. del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199) entro i rispettivi termini decadenziali, l’acquisizione diviene inoppugnabile e resiste all’eventuale sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 42-bis che dovesse sopravvenire. b) Né le cose parrebbero mutare nell’ipotesi in cui il proprietario del bene appreso si risolvesse, ai sensi del combinato disposto dell’art. 20, comma 14 e dell’art. 42-bis, comma 4, a contestare in sede giurisdizionale ordinaria l’ammontare contemplato dal provvedimento di acquisizione, ma senza impugnare in sede giurisdizionale l’acquisizione medesima. In tale evenienza, infatti, l’acquisizione da parte dell’amministrazione procedente dovrebbe ragionevolmente configurarsi quale “rapporto esaurito” che resiste all’eventuale caducazione del pur presupposto art. 42-bis in quanto parimenti fondato su di un provvedimento divenuto inoppugnabile, nel mentre seguiterebbe il |
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