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20/01/2023

Ristrutturazione con demo-ricostruzione, limiti dopo il D.L. 76/2020

Secondo la Corte di Cassazione, anche dopo le modifiche all’art. 3 del D.P.R. 380/2001 ad opera del D.L. 76/2020, la ristrutturazione edilizia non può prescindere dal recupero dell’immobile su cui ricade l’intervento. Pertanto la demolizione e ricostruzione, per essere qualificata come ristrutturazione, deve conservare traccia dell’edificio preesistente.

C. Cass. pen. 18/01/2023, n. 1669 ha chiarito la portata delle modifiche del D.L. 76/2020 all’art. 3 del D.P.R. 380/2001 sulla nozione di ristrutturazione edilizia, precisando la linea di confine tra la ristrutturazione (compresa la demolizione e ricostruzione) e la nuova costruzione.

Nel caso di specie si trattava della demolizione, in zona agricola, di una casa colonica costituita da due unità immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, e della costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da dieci villini e un parcheggio.
Il tema essenziale era quello della configurabilità o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lett. d) dell’art. 3, D.P.R. 380/2001, concetto recentemente ampliato dal D.L. 76/2020 che ricomprende oggi, nelle zone non soggette a tutela, anche gli interventi di “demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”.
In proposito la Corte ha affermato che nonostante tale ampliamento dell'ambito di operatività della nozione attuale di ristrutturazione, permane comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, è comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso.
Tale impostazione è supportata dalla recente giurisprudenza che, nel definire gli interventi di ristrutturazione edilizia, afferma la necessità che venga conservato l’immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti è possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso.
La finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente propria della ristrutturazione contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione", strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia.
Pertanto, secondo la Corte, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversità tra la struttura originaria e quella frutto di ristrutturazione, l’intervento di ristrutturazione non può prescindere dal conservare traccia dell’immobile preesistente.

Seppure la novella del 2020, si legge nella sentenza, abbia contribuito a delineare la possibilità di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all'organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma/volumetria o, ancora, l'identità del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile, ancorché trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso.
Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l'assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio.

Secondo i giudici, nel caso di specie si trattava di interventi edilizi finalizzati non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest'ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi atti a predisporre un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l'ampiezza operativa concessa ai sensi dell'art. 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell'intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle "nuove costruzioni", un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l'edificio originario e l'immobile frutto di ristrutturazione. Correlazione evidentemente assente allorquando rispetto ad un unico edificio si prospettano plurime e autonome unità immobiliari integranti interventi per i quali è assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare tali opere nel novero di una ristrutturazione.

Dalla redazione