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Deliberaz. G.R. Lazio 08/05/2012, n. 184

Circolare esplicativa: «Piano Casa della Regione Lazio. Ulteriori indirizzi e direttive per la piena ed uniforme applicazione degli articoli 3 ter, 4, 5 e 6 della legge regionale Lazio n. 21/2009, come modificati, integrati, introdotti e sostituiti dalla legge regionale Lazio n. 10/2011». Approvazione.
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[Premessa]




LA GIUNTA REGIONALE

LA GIUNTA REGIONALE


Su proposta dell’ Assessore alle Politiche del Territorio e dell’Urbanistica.

Su proposta dell’ Assessore alle Politiche del Territorio e dell’Urbanistica.

VISTA la Costituzione della Repubblica Italiana;

VISTA la Costituzione della Repubblica Italiana;

VISTO

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PIANO CASA DELLA REGIONE LAZIO. ULTERIORI INDIRIZZI E DIRETTIVE PER LA PIENA ED UNIFORME APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 3 TER, 4, 5 E 6 DELLA L.R. LAZIO N. 21/2009, COME MODIFICATI, INTEGRATI, INTRODOTTI E SOSTIUITI DALLA L.R. LAZIO N. 10/2011


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1. Premesse

Con propria circolare approvata con D.G.R. 26 gennaio 2012, n. 20, la Regione ha fornito primi indirizzi e direttive per la piena ed uni

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2. Art. 3-ter, comma 1- Destinazioni residenziali e non residenziali

Come anticipato in premessa, l’art. 3-ter, al comma l, ammette - in deroga alla disciplina urbanistico-edilizia comunale vigente ed adottata, nonché nei Comuni sprovvisti di strumento urbanistico - la possibilità di assentire “cambi di destinazione d’uso a residenziale [ ... ] con ampliamento entro il limite del 30 per cento della superficie utile esistente [ ... ] degli edifici di cui ali ‘articolo 2 aventi destinazione non residenziale”.

La disposizione non specifica cosa debba intendersi per destinazione “residenziale” e “non residenziale”, né in che misura tali due tipologie di destinazioni d’uso possano continuare a convivere, all’esito dell’intervento, potendosi comunque dare per realizzato il previsto mutamento dell’originaria destinazione d’uso dell’edificio nella destinazione residenziale prevista dalla norma.

Quanto al primo aspetto, va chiarito che il vigente ordinamento non fornisce una definizione di

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3. Art. 3-ter, commi l, 4 e 8 - Edifici dismessi, inutilizzati od in corso di dismissione.

Il comma 1 dell’art. 3-ter limita gli interventi ivi disciplinati ai soli edifici non residenziali “che siano dismessi o mai utilizzati alla data del 30 settembre 2010, ovvero che alla stessa data siano in corso di realizzazione e non siano ultimati e/o per i quali sia scaduto il titolo abilitativo edilizio ovvero, limitatamente agli edifici con destinazione d’uso direzionale, che siano anche in via di dismissione”.

È opportuno chiarire, in via preliminare, cosa debba intendersi per “edificio” ai fini dell’applicazione della norma sopra richiamata. Deve ritenersi, in proposito, che, coerentemente con quanto stabilito dall’art. 3 della legge (che rinvia alla circo Min. Lav. Pubbl. 23 luglio 1960, n. 1820) e già chiarito nella precedente circolare, per edificio deve intendersi “qualsiasi costruzione coperta, isolata da vie o da spazi vuoti, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si elevano, senza soluzione di continuità, dalle fondamenta al tetto; che disponga di uno o più liberi accessi sulla via, e possa avere una o più scale autonome. Per fabbricato o edificio residenziale si intende quel fabbricato urbano o rurale, destinato per lo maggior parte (cioè il più della cubatura) ad uso di abitazione”.

La norma richiede, poi, che si tratti di edifici che, alla data del 30 settembre 2010, abbiano, in tutto o in parte, destinazione d’uso non residenziale e che:

- se ultimati, risultino già dismessi o mai stati utilizzati;

oppure,

- se non ultimati, ne sia avviata la realizzazione, in forza di titolo abilitativo edilizio, ancorché frattanto decaduto. Per avvio della realizzazione deve intendersi, come si avrà modo di chiarire meglio più avanti, che sia tempestivamente intervenuta comunicazione di inizio lavori ai sensi dell’art. 15, d.P.R. n. 380/2001.

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4. Art. 3-ter, comma 1 - Le tipologie di interventi ammissibili

Quanto alle tipologie di interventi ammessi, il comma 1 dell’art. 3-ter, precisa che i cambi di destinazione d’uso degli edifici, da non residenziale a residenziale, “sono consentiti [00’] attraverso interventi di ristrutturazione edilizia, di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, e di completamento, con ampliamento entro il limite del 30 per cento della superficie u/ile esistente [ ... l”.

Al riguardo è, in particolare, opportuno chiarire il rapporto intercorrente tra gli “interventi di ristrutturazione edilizia” e quelli “di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione”, precisando, anzi tutto, che la qualificazione delle categorie di intervento edilizio - ed in particolare, quella degli interventi di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione - va comunque ricondotta al dettato dell’art. 3, d.P.R. n. 380/2001, nell’interpretazione risultante anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale 23 novembre 2011, n. 309, che ha ribadito la natura di norma fondamentale dell’ordinamento nella materia edilizia, come tale vincolante per il legislatore regionale, del citato art. 3 del d.P.R. n. 380/2001.

Tenuto presente tutto ciò, va precisato che la legge utilizza la locuzione “sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione”, per indicare un intervento edilizio consistente nell’integrale demolizione e successiva ricostruzione dell’edificio, con l’effetto che il fabbricato originario risulti integralmente sostituito dal nuovo corpo di fabbrica.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 3, comma l, letto d), d.P.R. n. 380/2001, anche l’ipotesi di integrale demolizione e ricostruzione viene, in talune ipotesi, annoverata tra i casi di ristrutturazione edilizia, occorrendo però che l’edificio generato all’esito di tale intervento - pur risultando in tutto od in parte diverso da quello preesistente - conservi intatte la volumetria e la sagoma del corpo di fabbrica originario.

Quindi, se all’esito dell’intervento, la volumetria e/o la sagoma dell’edificio originario risultano modificate, si “configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia”; diversamente, se vengono alterati altri parametri edilizi dell’edificio, ma non la volumetria e la sagoma, allora

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5. Art. 3-ter, comma 1 - Le condizioni di cui alle lettere a), b) e c)

L’art. 3-ter fissa, poi, ulteriori condizioni per l’ammissibilità degli interventi indicati al comma 1, che vengono specificate alle lettere a), b) e c) della stessa disposizione.

La lettera a) esclude la possibilità di dar corso agli interventi di mutamento della destinazione d’uso di cui al comma l, che riguardino “edifici ricompresi all’interno delle zone D di cui al D.M 2 aprile 1968 del Ministro per il lavori pubblici, ovvero nell’ambito di consorzi industriali o di piani degli insediamenti produttivi, fatti salvi gli interventi nelle zone omogenee D inferiori a 10 ha, che riguardino edifici dismessi o mai utilizzati alla data del 31 dicembre 2005”.

La ratio su cui fonda tale esclusione è agevolmente comprensibile: sia le zone D del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 - che l’art. 2 definisce come “le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati” - sia gli ambiti di consorzi industriali sia, infine, quelli interessati da piani per gli insediamenti produttivi, rappresentano porzioni del territorio comunale connotate da forte vocazione produttiva, la quale, il legislatore regionale, ha inteso evidentemente preservare. Inoltre le caratteristiche che connotano le zone produttive di maggiore estensione e le altre oggetto di esclusione le rendono scarsamente compatibili con l’insediamento di funzioni residenziali, soprattutto alla luce delle ben differenti esigenze infrastrutturali e di vivibilità sottese alla presenza di residenze.

La medesima considerazione appena esposta giustifica anche la deroga, sempre prevista dalla lettera a), che invece ammette gli interventi previsti dal comma l ove si tratti di interventi da eseguirsi “nelle zone omogenee D inferiori a 10 ha, che riguardino edifici dismessi o mai utilizzati alla data del 31 dicembre 2005”; si fa, infatti, salva la possibilità di riconvertire ad usi residenziali edifici produttivi collocati i

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6. Art. 3-ter, comma 2 - La modificazione automatica della disciplina urbanistica.

Il comma 2 dell’art. 3-ter, dispone che “Gli interventi di modifica di destinazione d’uso di cui al comma l determinano automaticamente la modifica della destinazione di zona dell’area di sedime e delle aree pertinenziali dell’edificio”; in altri termini, per effetto dell’intervento di mutamento della destinazione d’uso, sia il sedime del fabbricato (ossia, la sua superficie d’appoggio a terra), sia le sue aree pertinenziali, assumeranno una destinazione di zona conforme alla nuova destinazione d’uso residenziale impressa al fabbricato.

In via preliminare, occorre svolgere due precisazioni.

La prima, di portata generale, riguarda le fattispecie previste dal Capo II del Piano Casa regionale, che consistono comunque in interventi edilizi diretti, realizzabili anche in deroga alla disciplina urbanistica comunale di zona. In tal prospettiva, quindi, la prevista modifica del regime urbanistico dell’area, volta a conformare le caratteristiche della stessa all’opera approvata, non configura una variante urbanistica in senso proprio, bensì, svolge il compito di formalizzare ex post, con effetti estesi erga omnes, quali siano i connotati edificatori assunti dall’area per effetto dell’intervento approvato ai sensi del Piano Casa regionale, anche ai fini di sue successive utilizzazioni.

La seconda precisazione - relativa, invece, alla portata applicativa dell’art. 3-ter, comma 2 - riguarda il fatto che tale disposizione si riferisce tanto alle modifiche indotte dagli interventi di mutamento della destinazione d’uso ai sensi del comma l dell’art. 3-ter, quanto - ed a fortiori - a quelle conseguenti all’applicazione del successivo comma 3.

Ciò detto, merita porre in evidenza che la norma non fornisce indicazioni sulla disciplina di zona da imprimere al sedime dell’ edificio ed alle sue aree pertinenziali, restando al contempo altamente improbabile che il vigente p.r.g. comunale già presenti una normativa di zona coerente con l’edificazione prevista dall’art. 3-ter, comma l, non foss’altro perché gli interventi indicati sono assentibili “In deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti o adottati”.

In via prioritaria, quindi, a

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7. Art. 3-ter, comma 3 - L’utilizzazione di lotti liberi con destinazione non residenziale.

Una specifica ipotesi, volta a favorire l’incremento del patrimonio di edilizia residenziale, è disciplinata dal comma 3 dell’art. 3-fer, che consente di realizzare edifici residenziali utilizzando lotti liberi ricadenti in aree con destinazione urbanistica non residenziale.

Anche per tali interventi opera la deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti o adottati, ciò essendo implicito nella previsione del comma 3, che consente di utilizzare aree libere con destinazione non residenziale per insediarvi edifici con destinazione residenziale, con rilevante ampliamento delle potenzialità edificatorie oltre a quelle riconosciute dal piano al lotto oggetto dell’intervento.

La norma precisa, come si è detto, che deve trattarsi di “aree edificabili libere”.

Tale requisito, sui cui contenuti specifici torneremo più avanti, deve ritenersi debba sussistere alla data del 30 settembre 2010. L’art. 3-ter detta, infatti, in un continuum applicativo che una lettura sistematica dei commi l e 3 necessariamente impone, una disciplina degli interventi realizzabili articolata a seconda che siano da porre a carico di edifici (comma l) ovvero di aree edificabili (comma 3). Quindi, affinché non residuino irragionevoli (e contrarie allo spirito della norma) ipotesi “intermedie” in cui né l’una né l’altra delle citate disposizioni risultino applicabili, le condizioni temporali di operatività di entrambe le disposizioni citate andranno verificate alla medesima data, espressamente fissata dal legislatore regionale al 30 settembre 2010.

Per quanto, invece, attiene agli ulteriori profili definitori, il requisito dell’area edificabile libera è da ritenersi sussistente anche se sull’area insistono manufatti abusivi, sussistendo, ovviamente, in tal caso l’obbligo dell’interessato a rimuoverli prima dell’inizio dei lavori autorizzati ai sensi dell’ art. 6. Ciò in quanto il vigente ordinamento nega agli edifici illegittimi giuridica esistenza, fino a sancire, all’art. 46, d.P.R. n. 380/2001, la nullità di ogni atto di disposizione tra vivi che abbia ad oggetto il trasferimento di detti immobili, o di diritti reali ad essi relativi.

Analogamente, l’area potrà considerarsi libera ove sia presente sulla stessa un edificio abusivo per il quale non sia ancora stato ottenuto il titolo abilitativo in sanatoria. In tale ipotesi, infatti, la semplice rinuncia al condono da parte dell’interessato produrrebbe la medesima situazione di illegittimità del manufatto che ne determina, in ragione di quanto sopra considerato, la giuridica insistenza e l’obbligo alla sua rimozione

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8. Art. 3-ter, comma 6 - Le opere di urbanizzazione e i parcheggi pertinenziali.

Il comma 6 dell’art. 3-ter subordina gli interventi di cui al comma 1, “all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ovvero, al loro adeguamento o realizzazione, in relazione al maggior carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie utile degli edifici esistenti”, nonché alla realizzazione dei parcheggi pertinenziali di cui all’art. 41-sexies, 1. n. 1150/1942.

In via preliminare, occorre precisare che la dotazione di standard richiesti dalla legge è composta da due elementi che si sommano tra loro:

- per quanto attiene alle superficie oggetto di trasformazione, la dotazione di standard deve risultare dalla differenza tra la dotazione esistente e l’esigenza di standard urbanistici determinata dalla nuova destinazione d’uso;

- per quanto, invece, attiene all’incremento o all’ampliamento consentiti dalla legge, la dotazione deve essere riferita all’intero ampliamento o incremento: tanto si evince dalla previsione di cui all’articolo 3-ter, comma 6, in cui si riferisce l’esistenza, l’adeguamento o la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria “al maggior carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie utile degli edifici esistenti, nonché alla realizzazione dei parcheggi di cui all’articolo 41-sexies della legge n. 1150/1942”.

La disposizione merita, tuttavia, diverse ulteriori precisazioni, poiché non vi si contempla espressamente la possibilità di monetizzare tali prestazioni, a differenza di quanto previsto per gli interventi di cui all’art. 3, per i quali tale facoltà è espressamente ammessa.

La questione assume rilievo poiché si tratta di interventi che, come la stessa norma evidenzia, generano “aumento di volume o di superficie utile degli edifici esistenti” che, come più volte ripetuto, vengono autorizzati “in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti o adottati”; è, quindi, prospettiva tutt’altro che remota quella dell’oggettiva impossibilità, od eccessiva onerosità, ad assolvere in forma specifica a tali oneri.

Occorre, quindi, valutare se, ed in che misura, sia possibile provvedervi per equivalente, mediante “monetizzazione” totale o parziale (ossia, con la dazione in via sostitutiva di una somma di danaro), pur in assenza di un’espressa disposizione che contempli l’applicabilità di una simile soluzione.

A tal fine

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9. Art. 3-ter, comma 7 - Speciali deroghe all’obbligo di riservare quote per edilizia sociale.

Il comma 7 dell’art. 3-ter prevede specifici casi in cui è data facoltà, al titolare dell’intervento di cui al comma 1, di esimersi dal riservare le previste quote di superficie da destinare a locazione a fini di edilizia sociale. Si tratta di tre ipotesi: a) interventi relativi ad edifici con una superficie utile inferiore a 500 metri quadrati; b) interventi relativi ad immobili edificati in Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti; c) interventi relativi ad immobili ricompresi in piani di recupero dei nuclei abusivi approvati ai sensi della l.r. 2 maggio 1980, n.28. R

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10. L’art. 6, commi 2 e ss., in relazione al procedimento di rilascio del titolo edilizio per la realizzazione degli interventi di cui all’art. 3-ter

Diversamente da quanto avviene con riferimento agli interventi di cui all’art. 3 - in relazione ai quali, per la ridotta entità che li connota, è agevole presumere che si ricorra in via esclusiva alla presentazione di denuncia di inizio attività ai sensi dell’art. 6, comma l, della legge - per l’esecuzione degli interventi previsti dall’art. 3-ter (ma anche per molti di quelli di cui all’art. 4) sarà necessario l’ottenimento di un permesso di costruire, ai sensi di quanto previsto dall’art 6, comma 2.

La disposizione da ultimo citata prefigura una specifica procedura per effetto della quale il rilascio del titolo (come pure il suo eventuale diniego) deve essere preceduto dallo svolgimento di una conferenza di servizi cui devono - necessariamente - prendere parte sia l’amministrazione comunale interessata che la Regio

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11. Art. 4, commi da l a 4 - Interventi di sostituzione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, con ampliamento, di preesistenti edifici; criteri di applicazione ed indici di incremento ammessi.

L’art. 4 della l.r. n. 21/2009, come modificato dalla l.r. n. 10/2011, ammette - sempre in deroga agli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti ed adottati, nonché nei Comuni privi di tali strumenti - la realizzazione di “interventi di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, con ampliamento entro i limiti massimi di seguito riportati della volumetria o della superficie utile”.

In specie, si tratta di interventi consistenti nella demolizione dell’edificio (per la cui definizione vale, anche in questo caso, quanto già precisato nella precedente circolare e nel punto 3 della presente) e nella sua successiva ricostruzione, con l’applicazione degli incrementi volumetrici o superfici ari specificati dallo stesso art. 4.

In proposito, merita rammentare che l’espresso richiamo della norma ad interventi di “ampliamento” - come desumibili dall’art. 3, comma 1, letto e1), d.P.R. n. 380/2001 - va interpretato in ossequio agli insegnamenti già citati di Corte cost. 23 novembre 2011, n. 309, ed impone, quindi, di qualificare gli interventi previsti dall’art. 4 del Piano Casa regionale come ipotesi di nuova costruzione.

Sempre allo stesso riguardo, ed in via meramente incidentale, va pure evidenziato che il richiamo a “l’intervento di ristrutturazione edilizia”, contenuto al comma 6 dell’art. 4, costituisce un mero refuso, poiché l’art. 4 riguarda esclusivamente interventi di sostituzione edilizia con ampliamento della preesistenza, come tali estranei - per le ragioni suesposte - alla categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia.

Tanto premesso, l’art. 4 - per espressa previsione del comma l - si applica agli “edifici di cui all’articolo 2”: l’intervento può, quindi, interessare, sia gli edifici legittimi che, alla data di entrata in vigore della legge, risultino ultimati od in corso di ultimazione (art. 2, comma l, letto a), sia gli edifici sorti abusivamente ed in seguito condonati (art. 2, comma l, letto b), da valutarsi comunque in conformità con le indicazioni già fornite da questa Regione con la circolare specificata in premesse, da darsi per integralmente richiamate.

Tuttavia, per espressa previsione normativa, l’art. 4 non trova applicazione con riferimento agli “edifici ricadenti nelle zone C di cui al D.M 2 aprile 1968 del Ministro per i lavori pubblici realizzati da meno di venti anni”.

Merita, altresì, chiarire che il rinvio operato dalla norma “alle zone C di cui al D.M 2 aprile 1968”, non ha l’effetto di limitare l’applicazione della disposizione ai soli strumenti urbanistici approvati successivamente l’entrata in vigore del citato decreto, dato che la giurisprudenza ha chiarito l’equipollenza, ad ogni effetto, tra programma di fabbricazione e piano regolatore generale (per tutte, Corte Cost., 9-20 marzo 1978, n. 23).

Di conseguenza, la previsione di “esclusione degli edifici ricadenti nelle zone C di cui al D.M 2 aprile 1968 del Ministro per i lavori pubblici realizzati da meno di venti anni”,

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12. Art. 5 - Gli interventi di recupero di edifici non residenziali o di loro parti.

L’art. 5 del Piano Casa regionale consente - sempre in deroga agli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti od adottati, nonché nei Comuni privi di tali strumenti - di procedere al recupero di porzioni accessorie o pertinenziali dell’edificato esistente, o di specifiche unità immobiliari con destinazione non residenziale, previa acquisizione del titolo edilizio previsto dal successivo art. 6, a tal fine individuando, al comma l, tre distinte ipotesi di intervento.

La norma non chiarisce, però, cosa debba intendersi per volumi accessori o pertinenziali.

A tal fine, utili indicazioni possono desumersi dalla giurisprudenza che si è occupata di identificare i connotati che devono essere posseduti da un volume edilizio, affinché questo possa considerarsi pertinenza od accessorio di un edificio principale.

In particolare, si è chiarito che “La nozione di “pertinenza” nel campo urbanistico è meno ampia di quella civilistica e va definita sia in relazione alla necessità ed oggettività del rapporto pertinenziale. che può risultare rimessa alla libera qualificazione del proprietario, sia alla consistenza dell’opera che. per dimensioni e funzione. deve comunque essere tale da non alterare in modo significativo il preesistente assetto del territorio. Diversamente dalle pertinenze, i vani “accessori”, anch’essi serventi l’edificio principale. sono però privi di autonomia funzionale, nel senso che restano sprovvisti di funzione se disgiunti dall’edificio principale e dalle esigenze di questo che concorrono a soddisfare” (così, Cons. Stato, Sez. V, 27.12.1988, n. 882; id., 13.10.1993, n. 1041; id., 27.5.1993, n. 633; id., 23.3.2000, n. 1600; id., 30.10.2000, n. 5828; TAR Toscana, Sez. II, 2.3.1994 n. 238).

In definitiva, quindi, costituisce pertinenza, i

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