Professionisti operanti in studi associati e obbligo di versamento dell’Irap | Bollettino di Legislazione Tecnica
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15/06/2020

Professionisti operanti in studi associati e obbligo di versamento dell’Irap

Il professionista di uno studio associato che svolga attività indipendente deve comunque versare l’Irap, salvo che dimostri di non usufruire dei benefici organizzativi dello studio.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (ord. C. Cass. civ. 25/05/2020, n. 9597), accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle entrate contro una sentenza della CTR che aveva riconosciuto il diritto al rimborso dell’Irap (imposta regionale sulle attività produttive) ad un componente di uno studio professionale (nel caso di specie studio di avvocati). In particolare la CTR aveva ritenuto che i compensi percepiti dall’associato non fossero soggetti ad Irap perché riconducibili a reddito derivato in via esclusiva dall'attività del singolo professionista.

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D. Leg.vo 15/12/1997, n. 446, presupposto dell’Irap è l'esercizio abituale di una attività “autonomamente organizzata” diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Sono soggetti all’imposta anche le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate esercenti arti e professioni (art. 3, D. Leg.vo 446/1997, comma 1, lett. c).

Sulla base di tale normativa la Corte ha in primo luogo affermato che in ipotesi di studio associato ricorrono ex se i presupposti per l'applicazione dell'Irap, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio dell'attività, salva la facoltà del contribuente di provare l'insussistenza dell'esercizio in forma associata dell'attività stessa.

Ciò posto, il professionista il quale sia inserito in uno studio associato, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da quella espletata in forma associata, ha l'onere di dimostrare, al fine di sottrarsi all'applicazione dell'imposta, la mancanza di autonoma organizzazione, ossia di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire agli aderenti vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta quali, ad esempio:
- le sostituzioni in attività, materiali e professionali, da parte di colleghi di studio,
- l'utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni,
- la possibilità di conferenze e colloqui professionali o altre attività allargate,
- l'utilizzazione di servizi collettivi e quant'altro caratterizzi l'attività svolta in associazione professionale.

L’onere della prova relativa alla modalità di conseguimento del reddito, volta a dimostrare che l'attività è stata espletata in modo individuale e senza fruire di alcuno dei suddetti benefici, è ancora più stringente in ipotesi di richiesta di rimborso.

Dalla redazione