4. Il primo motivo del ricorso di F. ed il secondo motivo del ricorso di C., di analogo contenuto, sono infondati.
È anzitutto non corretto il presupposto da cui muove essenzialmente la doglianza sollevata, ovvero che l'elemento soggettivo del reato de quo non possa consistere in un atteggiamento di negligenza o trascuratezza. Va premesso che il costante orientamento di questa Corte si è posto, sin dalla pronuncia delle Sez. U., n. 7978 del 29/05/1992, P.M. in proc. Aramini ed altro, Rv. 191176, riferita alla previgente, omologa, disposizione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), per giungere fino ad oggi, nel senso di ritenere che la violazione, da parte del titolare del permesso a costruire, del committente, del costruttore o del direttore dei lavori, dell'obbligo della esposizione di un cartello contenente gli estremi della concessione e degli autori dell'attività costruttiva sia penalmente sanzionata a condizione che detto obbligo sia espressamente previsto dai regolamenti edilizi o dalla concessione (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini ed altri, Rv. 255836; Sez. 3, n. 46832 del 15/10/2009, Thabet ed altro, Rv. 245613; Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330).
In particolare le Sezioni Unite, con la pronuncia menzionata appena sopra, hanno posto l'accento, nel contesto normativo in allora rappresentato dalla L. n. 47 del 1985, sull'art. 4 della stessa che, intitolato "vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nella concessione o nell'autorizzazione", prevedeva, all'ultimo comma, che gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dessero immediata comunicazione all'autorità giudiziaria, al presidente della giunta regionale ed al sindaco ove nei luoghi di realizzazione delle opere non fosse esibita la concessione ovvero non fosse stato apposto il prescritto cartello, "ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico- edilizia", da qui testualmente desumendo, in particolare, come anche la sola violazione dell'obbligo di apposizione del cartello fosse appunto considerata dal legislatore come ipotesi di presunta violazione urbanistico-edilizia e, come tale, di particolare rilevanza ai suindicati fini; aveva aggiunto, a riprova, come la sistemazione del prescritto cartello, contenente gli estremi della concessione edilizia e degli autori dell'attività costruttiva presso il cantiere, consentisse una vigilanza rapida, precisa ed efficiente dell'attività rispondendo allo scopo di permettere ad ogni cittadino di verificare se i lavori fossero o meno stati autorizzati dall'autorità competente.
Di qui, dunque, la riconducibilità della condotta omissiva in questione all'interno dell'allora precetto della L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a) (e, oggi, dell'omologo precetto di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a)) in relazione alla inosservanza delle norme di cui alla stessa legge.
Deriva dunque, da quanto sin qui ricordato, che tale condotta omissiva ben può essere sorretta dalla colpa generica, secondo, del resto, il generale dettato dell'art. 43 c.p., posto che l'inosservanza del precetto di esposizione del cartello nel quale la condotta si traduce appunto ben può avvenire a seguito anche solo di trascuratezza e di negligenza e non unicamente, come parrebbe sostenere la ricorrente, a seguito della precisa intenzione di non adempiere a quanto prescritto. Anche a non volere considerare che un tale assunto finirebbe, in realtà, per escludere la possibilità di realizzazione del reato a titolo di colpa e far ritenere invece penalmente configurabile unicamente un atteggiamento doloso, senza che la norma sia formulata (a differ