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Determ. ANAC 17/06/2015, n. 8

Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici.
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[Premessa]



IL CONSIGLIO DELL’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE


VISTO il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito in legge n. 114/2014, e, in particolare, l’art. 19 co. 9 che attribuisce all’A.N.AC. le funzioni in materia di prevenzione della corruzione ivi incluse quelle relative alla predisposizione del Piano Nazionale Anticorruzione e dei suoi aggiornamenti.

VISTO l’art. 24 bis del decreto legge n. 90/2014 che modifica l’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 sull’ambito soggettivo di applicazione d

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Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici
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Premessa

Le presenti Linee guida sono volte ad orientare gli enti di diritto privato controllati e partecipati, direttamente e indirettamente, da pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici economici nell’applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza di cui alla legge n. 190/2012 e definiscono altresì le implicazioni che ne derivano, anche in termini organizzativi, per detti soggetti e per le amministrazioni di riferimento.

Già il Piano nazionale anticorruzione (PNA), approvato dall’Autorità (A.N.AC.) con delibera n. 72 del 2013, aveva previsto l’applicazione di misure di prevenzione della corruzione negli enti di diritto privato in controllo pubblico e partecipati da pubbliche amministrazioni, anche con veste societaria, e negli enti pubblici economici.

A seguito dell’approvazione del PNA, tuttavia, la normativa anticorruzione prevista dalla legge n. 190 del 2012 e dai decreti delegati ha subito significative modifiche da parte del decreto legge n. 90 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. In particolare, è stato ridisegnato l’assetto istituzionale incentrando nell’A.N.AC. e nel suo Presidente, il sistema della regolazione e della vigilanza in materia di prevenzione della corruzione ed è stato attribuito alla sola A.N.AC. il compito di predisporre il PNA.

Tra le altre principali modifiche che interessano ai fini delle presenti Linee guida, l’art. 24 bis del d.l. del 24 giugno 2014 n. 90 è intervenuto sull’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 «Ambito soggettivo di applicazione» e ha esteso l’applicazione della disciplina della trasparenza, limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, agli «enti di diritto privato in controllo pubblico, ossia alle società e agli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di p

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1. Il quadro normativo

Numerose disposizioni della legge n. 190 del 2012 e dei relativi decreti attuativi individuano gli enti di diritto privato partecipati da pubbliche amministrazioni o in controllo pubblico e gli enti pubblici economici quali destinatari di misure di prevenzione della corruzione e di promozione della trasparenza.

Assume particolare rilievo l’art. 1, commi 60 e 61, della legge n. 190 del 2012 secondo cui in sede di intesa in Conferenza unificata Stato, Regioni e autonomie locali sono definiti gli adempimenti per la sollecita attuazione della legge 190 e dei relativi decreti delegati nelle regioni, nelle province autonome e negli enti locali, nonché «negli enti pubblici e nei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo».

Inoltre, gli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici sono esplicitamente indicati dal legislatore quali destinatari della disciplina in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle amministrazioni pubbliche ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione nonché della prevenzione di conflitti d’interesse (art. 1, commi 49 e 50, legge n. 190 del 2012 e d.lgs. n. 39 del 2013). In questa ottica, nell’art. 15, co. 1, del d.lgs. n. 39 del 2013 viene affidato al

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2. Le società in controllo pubblico e le società a partecipazione pubblica non di controllo

Per definire l’ambito soggettivo di applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di quella in materia di trasparenza alle società pubbliche, ad avviso dell’Autorità, occorre tenere distinte le società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni pubbliche, individuate ai sensi dell’art. 2359, co. 1, numeri 1 e 2, del codice civile, e quelle, come definite all’art. 11, comma 3, del d.l.gs. n.33/2013, a partecipazione pubblica non maggioritaria, in cui, cioè, la partecipazione pubblica non è idonea a determinare una situazione di controllo (di seguito “società a partecipazione pubblica non di controllo”). Dal novero delle società controllate si ritiene di escludere in via interpretativa la fattispecie di cui al n. 3 del co. 1 dell’art. 2359 del codice civile, (c.d. controllo contrattuale) che non presuppone alcuna partecipazione di pubbliche amministrazioni al capitale di una società, laddove il criterio di individuazione dei soggetti sottoposti alla normativa anticorruzione privilegiato dal legislatore, anche alla luce dell’art. 11 co. 3 del d.lgs. n. 33/2013 e dell’art. 1, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 39/2013 appare connesso alla presenza di una partecipazione al capitale o all’esercizio di poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi. In caso contrario, l’ambito di applicazione della disciplina di prevenzione della corruzione potrebbe essere estesa a soggetti sicuramente estranei al settore pubblico. Ciò non toglie, tuttavia, che qualora sussista un rapporto tra pubblica amministrazione e società del genere di quello definito nel n. 3 dell’art. 2359 c.c., l’amministrazione sia tenuta a inserire nel proprio Piano triennale di prevenzione della corruzione misure anche di vigilanza e trasparenza relative alle attività svolte dalla società in ragione dei vincoli contrattuali con l’amministrazione stessa.

In considerazione della peculiare configurazione del rapporto di controllo che le amministrazioni hanno con le società in house, queste ultime rientrano, a maggior ragione, nell’ambito delle società controllate cui si applicano le norme di prevenzione della corruzione ai sensi della legge n. 190/2012.

La distinzione tra società in controllo pubblico e società a partecipazione pubblica non di controllo non ha carattere meramente formale bensì conforma, in modo differenziato, l’applicazione della normativa anticorruzione, in ragione del diverso grado di coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni all’interno delle due diverse tipologie di società.

Infatti, occorre muovere dallo spirito della normativa che è quello di prevenire l’insorgere di fenomeni corruttivi nei settori più esposti ai rischi dove sono coinvolte pubbliche amministrazioni, risorse pubbliche o la cura di interessi pubblici: poiché l’influenza che l’amministrazione esercita sulle società in controllo pubblico è più penetrante di quello che deriva dalla mera partecipazione, ciò consente di ritenere che le società controllate siano esposte a rischi analoghi a quelli che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione del 2012 in relazione all’amministrazione controllante.

Queste stesse esigenze si ravvisano anche quando il controllo sulla società sia esercitato congiuntamente da una pluralità di amministrazioni, cioè in caso di partecipazione frazionata fra più amministrazioni in grado di determinare una situazione in cui la società sia in mano pubblica.

Ciò impone che le società controllate debbano necessariamente rafforzare i presidi anticorruzione già adottati ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 ovvero introdurre apposite misure anticorruzione ai sensi della legge n. 190/2012 ove assente il modello di organizzazione e gestione ex 231/2001.

Le presenti Linee guida muovono dal presupposto fondamentale che le amministrazioni controllanti debbano assicurare l’adozione del modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231/2001 da parte delle società controllate.

Oneri minori gravano, come si vedrà, per le società a partecipazione pubblica non di controllo, nei confronti delle quali le amministrazioni partecipanti si attivano per promuovere l’adozione del suddetto modello organizzativo.

Come sopra già osservato, il fenomeno delle società pubbliche è particolarmente complesso ed eterogeneo, specie a livello territoriale. Al fine di individuare concretamente le società tenute all’applicazione delle norme, si raccomanda alle amministrazioni controllanti o partecipanti di dare attuazione a quanto previsto dall’art. 22, co. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013 pubblicando sul proprio sito istituzionale la lista delle società a cui partecipano o che controllano “con l’elencazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore delle amministrazioni o delle attività di servizio pubblico affidate”. All’interno di gruppi societari l’individuazione del tipo di società, se in controllo pubblico o a partecipazione pubblica non di controllo, deve essere fatta con riguardo ad ogni singola società del gruppo, indipendentemente dalla natura della capogruppo.

L’individuazione puntuale da parte delle amministrazioni delle società in questione, oltre che corrispondere ad un obbligo di legge, è necessaria per consentire all’A.N.AC. di esercitare i propri poteri di vigilanza.


2.1. Le società in controllo pubblico

La legge n. 190 del 2012 menziona espressamente tra i soggetti tenuti all’applicazione della normativa anticorruzione i soggetti di diritto privato sottoposti al controllo di regioni, province autonome e enti locali (art. 1, co. 60). Analoga disposizione non si rinviene per le società controllate dallo Stato.

Tuttavia, come visto sopra, numerose disposizioni normative della stessa legge n. 190 del 2012 e dei decreti delegati si riferiscono a questi soggetti. In considerazione di ciò e della espressa menzione dei soggetti di diritto privato in controllo delle autonomie territoriali, ad avviso dell’Autorità, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, la norma non può che ricevere una interpretazione costituzionalmente orientata volta a ricomprendere nel novero dei destinatari anche gli enti di diritto privato controllati dalle amministrazioni centrali, atteso che gli stessi sono esposti ai medesimi rischi che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione in relazione alle amministrazioni pubbliche e agli enti di diritto privato sottoposti al controllo da parte delle amministrazioni territoriali.

Questa interpretazione sembra peraltro coerente con quanto previsto in materia di incompatibilità ed inconferibilità degli incarichi, dall’art. 15, co. 1, del d.lgs. n. 39 del 2013 sopra richiamato, da cui si evince che anche in ogni ente di diritto privato in controllo pubblico, nazionale o locale, debba essere nominato un responsabile del Piano anticorruzione di ciascuna amministrazione pubblica, ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico e adottato un Piano anticorruzione.

Come detto in precedenza, per individuare le società controllate tenute all’applicazione della normativa sulla prevenzione della corruzione e per la promozione della trasparenza occorre fare riferimento alla nozione di controllo prevista dall’art. 2359, in particolare dal co. 1, n. 1) e 2), del codice civile, ossia quando la pubblica amministrazione dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (art. 2359, co. 1, n. 1), ovvero di voti sufficienti per esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria (art. 2359, co. 1, n. 2) N3.

Come sopra indicato, tra le società in controllo pubblico rientrano anche le società in house e quelle in cui il controllo sia esercitato da una pluralità di amministrazioni congiuntamente.


2.1.1. Le misure organizzative per la prevenzione della corruzione

Nella prospettiva sopra evidenziata, le misure introdotte dalla l. n. 190 del 2012 ai fini di prevenzione della corruzione si applicano alle società controllate, direttamente o indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni. Questo vale anche qualora le società abbiano già adottato il modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001. A tale riguardo, come sopra precisato, le amministrazioni controllanti sono chiamate ad assicurare che dette società, laddove non abbiano provveduto, adottino un modello di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001.

Depone in tal senso il tenore letterale dell’art. 1 del d.lgs. n. 231/2001 che dispone espressamente che le sue disposizioni non si applicano solo «allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale».

Come è noto l’ambito di applicazione della legge n. 190 del 2012 e quello del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincidono e, nonostante l’analogia di fondo dei due sistemi, finalizzati entrambi a prevenire la commissione di reati nonché ad esonerare da responsabilità gli organi preposti qualora le misure adottate siano adeguate, sussistono differenze significative tra i due sistemi normativi. In particolare, quanto alla tipologia dei reati da prevenire, il d.lgs. n. 231 del 2001 ha riguardo ai reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società o che comunque siano stati commessi anche e nell’interesse di questa (art. 5), diversamente dalla legge 190 che è volta a prevenire anche reati commessi in danno della società.

In relazione ai fatti di corruzione, il decreto legislativo 231 del 2001 fa riferimento alle fattispecie tipiche di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione, nonché alla corruzione tra privati, fattispecie dalle quali la società deve trarre un vantaggio perché possa risponderne.

La legge n. 190 del 2012, ad avviso dell’Autorità, fa riferimento, invece, ad un concetto più ampio di corruzione, in cui rilevano non solo l’intera gamma dei reati contro la p.a. disciplinati dal Titolo II del Libro II del codice penale, ma anche le situazioni di “cattiva amministrazione”, nelle quali vanno compresi tutti i casi di deviazione significativa, dei comportamenti e delle decisioni, dalla cura imparziale dell’interesse pubblico, cioè le situazioni nelle quali interessi privati condizionino impropriamente l’azione delle amministrazioni o degli enti, sia che tale condizionamento abbia avuto successo, sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo. Con la conseguenza che la responsabilità a carico del Responsabile della prevenzione della corruzione (responsabilità dirigenziale, disciplinare ed erariale, prevista dall’art. 1, comma 12, della legge n. 190/2012) si concretizza al verificarsi del genere di delitto sopra indicato commesso anche in danno della s

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3. Gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico e gli altri enti di diritto privato partecipati

Per delimitare l’ambito di applicazione delle norme in materia di prevenzione della corruzione agli enti di diritto privato diversi dalle società è possibile adottare un criterio analogo a quello individuato per l’applicazione della medesima disciplina alle società pubbliche, identificando quelli che possono ritenersi sottoposti al controllo delle pubbliche amministrazioni e quelli meramente partecipati.

La distinzione ha effetti sull’applicazione differenziata della normativa anticorruzione in ragione del diverso grado di coinvolgimento delle amministrazioni negli assetti degli enti come di seguito approfondito.


3.1.1. Gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico

Ai sensi dell’art. 1, co. 60, della legge n. 190 del 2012, dell’art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013 e dell’art. 1, co. 2, lettera c), del d.lgs. n. 39 del 2013, sono tenuti all’applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione anche gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico diversi dalle società, con particolare riguardo agli enti costituiti in forma di “fondazione” o di “associazione” ai sensi del Libro I, Titolo II, capo II, del codice civile. Anche per tali enti si pone, analogamente a quanto avviene per le società controllate, il problema dell’esposizione al rischio di corruzione che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione in relazione alle pubbliche amministrazioni.

Per quanto concerne l’individuazione degli enti in parola, l’art. 1, co. 2, lettera c), del d.lgs. n. 39/2013 prevede che per «enti di diritto privato in controllo pubblico» si intendono «le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell’art. 2359 del codice civile da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi». Il medesimo testo è riproposto nell’art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013, come sostituito dall’art. 24-bis, co. 1, del dl. n. 90 del 2014, in cui si precisa, tuttavia, che l’attuazione delle disposizioni in materia di trasparenza deve avvenire da parte di questi enti solo limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea.

Dalla disciplina positiva e dall’analisi giurisprudenziale emerge che il fenomeno degli enti di diritto privato in controllo pubblico è particolarmente complesso. Gli enti in questione hanno caratteristiche e struttura eterogenee, non sono riconducibili ad una categoria unitaria e non sussiste, per la loro individuazione, una nozione di controllo analoga a quella dettata dall’art. 2359 del codice civile per le società.

Si deve trattare di enti, in particolare associazioni e fondazioni, che hanno natura privatistica, non necessariamente con personalità giuridica, rispetto ai quali sono riconosciuti in capo alle amministrazioni pubbliche poteri di controllo che complessivamente consentono di esercitare un potere di ingerenza sull’attività con carattere di continuità ovvero un’influenza dominante sulle decisioni dell’ente.

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4. Enti pubblici economici

Gli enti pubblici economici, ancorché svolgano attività di impresa, sono da ritenersi tra i soggetti destinatari della normativa in materia di anticorruzione e trasparenza in quanto enti che perseguono finalità pubbliche. L’art. 1, commi 59 e 60, della legge n. 190 del 2012, non può che ricevere una interpretazione costituzionalmente orientata volta a ricomprendere nel novero dei soggetti tenuti all’applicazione delle disposizioni di prevenzione della corruzione anche gli enti pubblici economici atteso che, anche per la natura delle funzioni svolte, essi sono esposti ai medesimi rischi che il legislatore ha inteso prevenire per le pubbliche amministrazioni, per le società, e gli altri enti di diritto privato controllati o partecipati. Diversamente, la normativa genererebbe un’evidente asimmetria applicandosi a soggetti privati, quali le società, che esercitano atti

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5. Attività di vigilanza dell’A.N.AC.

Come sopra ricordato le pubbliche amministrazioni redigono e pubblicano sul proprio sito istituzionale, ai sensi dell’art. 22, co. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, un elenco degli enti e delle società da esse partecipate o controllate.

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6. Disciplina transitoria

Considerate le modifiche apportate dalla disciplina delle presenti Linee guida rispetto ai contenuti del PNA, le società e gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché gli enti pubblici economici, procedono, qualora non l’abbiano già fatto, a nominare tempestivamente il Responsabile della prevenzione della corruzione affinché predisponga entro il 15 dicembre 2015 una relazione recante i risultati dell’attività di prevenzione svolta sulla base di quanto gi&

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Allegato 1 - Principali adattamenti degli obblighi di trasparenza contenuti nel d.lgs. n. 33/2013 per le società e gli enti di diritto privato controllati o partecipati da pubbliche amministrazioni

SOCIETÀ ED ENTI DI DIRITTO PRIVATO CONTROLLATI N4

1) Pubblicità dei dati reddituali e patrimoniali relativi ai componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo (art. 14, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti sono tenuti ad applicare l’art. 14 con riferimento a tutti i componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo.

2) Pubblicità dei compensi relativi agli incarichi dirigenziali (art. 15, co. 1, lett. d), d.lgs. 33/2013)

Fermi restando tutti gli altri obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 15, per gli incarichi dirigenziali le società e gli enti pubblicano per ciascun soggetto titolare di incarico il relativo compenso, comunque denominato, salvo che non provvedano a distinguere chiaramente, nella propria struttura, le unità organizzative che svolgono attività di pubblico interesse da quelle che svolgono attività commerciali in regime concorrenziale. Di tale distinzione deve essere dato conto anche all’interno del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità pubblicato sul sito istituzionale.

A tal proposito, al fine di assicurare il pieno rispetto della normativa in materia di trasparenza, le amministrazioni controllanti o vigilanti, laddove dette funzioni siano in capo ad amministrazioni diverse, sono chiamate ad una attenta verifica circa l’identificazione delle attività di pubblico interesse, anche sulla base di quanto contenuto negli atti organizzativi di costituzione degli uffici.

In quest’ultimo caso, ferma restando la pubblicazione dei compensi individualmente corrisposti ai dirigenti delle strutture deputate allo svolgimento di attività di pubblico interesse, la pubblicazione dei compensi relativi ai dirigenti delle strutture che svolgono attività commerciali potrà avvenire in forma aggregata dando conto della spesa complessiva sostenuta ciascun anno, con l’indicazione dei livelli più alti e più bassi dei compensi corrisposti.

3) Pubblicità dei compensi relativi agli incarichi di collaborazione e consulenza (art. 15, co. 1, lett. d), d.lgs. 33/2013)

Fermi restando tutti gli altri obblighi di pubblicazione previsti dall&rsq

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