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Sent. C. Cass. civ. 16/04/1992, n. 4679

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Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Azioni giudiziarie - Rappresentanza giudiziale del condominio - Legittimazione dell'amministratore - In genere - Domande dirette al ripristino delle parti comuni - Legittimazione dell'amministratore - Sussistenza - Estensione alla domanda di risarcimento danni conseguente al deprezzamento delle parti comuni - Esclusione.
La legittimazione dell'amministratore, quale è prevista dall'art. 1130 cod. civ. per gli atti conser
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SENTENZA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Milano, Sezione Autonoma Case Economiche, con distinti atti notificati il 5, 19 e 26 ottobre ed il 7 novembre 1979, citò davanti al Tribunale di Milano Piersilvio, Mario Poletti, Giancarla Malazzani, Luciano Conti e Silvia Natali nonché altri otto degli attuali controricorrenti, i quali avevano acquistato alloggi costruiti da esso Istituto, chiedendo che, previa declaratoria di risoluzione, per mancato pagamento del residuo prezzo, dei contratti in data 10 e 24 novembre e 5 dicembre 1972, con cui erano stati ad essi ceduti in proprietà otto alloggi, con boxes e parti comuni, siti in Milano, via Tibaldi n. 554, i convenuti fossero condannati a rilasciare gli appartamenti e, in ipotesi che essi fossero condannati a pagare il residuo prezzo insoluto.

I convenuti opposero che l'Istituto, benché si fosse impegnato a farlo, non aveva provveduto ad eliminare i vizi ed i difetti presenti negli alloggi e denunciati fin dal momento della consegna o subito dopo, ne' l'Istituto aveva fatto fronte all'impegno di ultimare il "quartiere" e provvedere alla determinazione del confine sul lato ovest.

Inoltre, l'Istituto, a loro dire, benché condannato con sentenza n. 6717-1977 del Tribunale di Milano a demolire una porzione di un suo fabbricato, sito in via Tibaldi n. 54 ed a sgombrare l'area relativa, in sede d'esecuzione aveva demolito soltanto l'ala nord, costringendo il vicino condominio a demolire, in sua vece, l'altra ala dell'edificio, ed inoltre aveva rimosso solo in parte gli ingombri formati dal materiale di risulta.

Infine l'IACP aveva proceduto al collaudo definitivo degli alloggi in assenza degli acquirenti, riducendo il prezzo d'acquisto in misura irrisoria, nonostante la presenza negli alloggi di vizi e difetti. I vari inadempimenti dell'IACP giustificavano perciò il mancato pagamento del residuo prezzo.

Per questi motivi, i convenuti chiesero il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, la compensazione dei contrapposti crediti con condanna dell'Istituto a pagare la differenza.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

Le due distinte impugnazioni sono state riunite a norma dell'art. 335 cpc.

Con il primo motivo del ricorso principale, denunciandosi la violazione dei criteri legali di interpretazione del contratto (artt. 1362 e seguenti cod. proc. civ.) nonché il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria su punti decisivi della controversia (art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ.) si lamenta che la Corte di appello nella impugnata sentenza, con l'escludere che la clausola n. 1 dei contratti di cessione impegnasse le parti ad accettare le determinazioni del terzo collaudatore:

a) del tutto immotivamente ha ridotto la pattuizione a semplice clausola di stile, priva di significato e rilevanza negoziale e ciò in violazione del principio di conservazione del contratto;

b) ha, inoltre, mancato di considerare il comportamento tenuto dalle parti posteriormente alla conclusione dei contratti ed alla cui stregua la clausola "de qua" assumeva un significato del tutto opposto a quello attribuitole dalla Corte del merito. Ciò, secondo il ricorrente si desumeva in particolare:

1) dalla comunicazione in data 15.10.1973 dei delegati dell'assemblea condominiale;

2) dalla lettera 20.6.1973 dell'Istituto ricorrente all'amministratore del condominio; ove si richiamava la clausola n. 1 come attribuente al terzo collaudatore il potere di accertamento dei vizi e difetti presenti negli immobili, lettera questa mai contestata dagli acquirenti;

3) dalla successiva lettera 15.10.19873 con cui gli acquirenti chiesero all'IACP di sottoporre le loro doglianze al collaudatore. La Corte di appello, a detta del ricorrente, ha indebitamente trascurato tali elementi attinenti al comportamento di entrambe le parti dando rilievo, viceversa, al solo comportamento unilaterale di taluni acquirenti e che, a suo dire, era privo di significato, come l'avvenuta contestazione di certi asseriti difetti nel verbale di consegna.

Il motivo, osserva la Corte, è infondato, poiché, diversamente da ciò che in esso si sostiene, la impugnata sentenza si sottrae a qualsiasi censura e sotto il profilo dell'osservanza dei criteri ermeneutici legali e sotto l'aspetto della corretta motivazione. Alla clausola secondo cui l'unità abitativa e, "pro quota", le parti comuni erano trasferiti all'acquirente "nello stato di fatto" in cui si trovavano al momento del rogito notarile, "salvo le risultanze del collaudo definitivo", il giudice di appello ha correttamente negato la portata di una pattuizione che escludesse la garanzia a carico dell'alienante per vizi e difformità della cosa venduta e che vincolasse, inoltre, le parti alle determinazioni del terzo, rilevando, al riguardo, come una previsione del genere non trovasse riscontro alcuno nella formulazione letterale della clausola né nel suo fondamento logico-razionale, alla cui stregua lo stato di fatto dell'immobile, costruito in appalto da un terzo e non ancora ultimato o collaudato all'atto del trasferimento, secondo una indefettibile esigenza economico-giuridica, era quello attuale, completato, peraltro, da ciò che sarebbe risultato in sede di collaudo.

Così, nel pensiero della Corte d'appello, quale si desume dal contesto della motivazione, i contraenti, con il rinvio consensuale alle risultanze del definitivo collaudo, lungi dall'avere inteso escludere la garanzia per vizi della cosa venduta, per un evidente reciproco interesse vollero, viceversa, confermare la relativa obbligazione quale nasceva dalla norma di legge a carico dell'alienante, e ciò attraverso una puntualizzazione che, come quella "salve le risultanze del collaudo definitivo", valesse, a fare considerare definitivo soltanto lo stato di fatto al momento del collaudo e non già quello in cui l'immobile si trovava al momento del contratto e che poteva essere oggetto di successive modificazioni.

La Corte di appello, ha, poi, ritenuto che il comportamento delle parti posteriore alla conclusione dei contratti costituisse conferma della adottata interpretazione della clausola, rilevando, in proposito come alla immediata contestazione di vizi e difetti da parte degli acquirenti e, per quanto riguarda le parti comuni degli edifici, anche da parte dei delegati dell'assemblea dei condomini, preoccupatisi, con i primi, di informarne il collaudatore, l'IACP si fosse astenuto dal muovere qualsiasi obiezione in meri

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P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale n

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