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ISSN 1721-4890
Fondata nel 1933
Direttore Dino de Paolis
Sent. C. Cass. pen. 28/01/2009, n. 4123
Sent. C. Cass. pen. 28/01/2009, n. 4123
Sicurezza sul lavoro - Delega di funzioni - Funzioni non delegabili - Valutazione dei rischi - Carenza adeguata analisi dei rischi e indicazione mezzi di protezione - Fattispecie.1. In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi dell'art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008 il datore di lavoro non può delegare, neanche nell'ambito d'imprese di grandi dimensioni, l'attività di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e la designazione del responsabile |
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Svolgimento del processo - Motivi della decisioneCon la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto la penale responsabilità dell'ingegnere V. G. per il reato di incendio colposo ex art. 449 c.p., comma 1, mentre assolveva B. e P. dallo stesso reato con la formula per non avere commesso il fatto. Il giorno (...) nello stabilimento (...) di (...), si era sviluppato un incendio di vaste proporzioni che aveva interessato la zona laminatoio (...), che era stato spento, a seguito dell'intervento di 16 squadre dei vigili del fuoco, solo alle ore 8 del (...). La predetta zona laminatoio, come emerge dalla sentenza, era una zona ad alto rischio incendio, per la presenza di olio da raffreddamento delle lavorazioni che, una volta sporco, veniva convogliato in una grossa vasca in acciaio che fungeva da polmone, e ripulito, passava in una seconda vasca, da cui veniva rilanciato nella gabbia ove erano ubicati i rulli lubrificati, che servivano a trasformare i nastri di acciaio arrotolati in lamine. L'incendio aveva riguardato, in particolare, proprio le vasche contenenti i 20.000 litri di olio incendiatosi durante la fase di lavorazione di raffreddamento lamiere ed aveva interessato il piano interrato, campata A e circa 60 metri di cubicoli interrati, percorsi da cavi elettrici a servizio dello stabilimento industriale. Al V., nella qualità di Presidente del comitato esecutivo, costituito nel (...), nonché titolare delle deleghe in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, veniva contestato di avere colposamente dato causa all'incendio, per avere omesso di individuare le misure di prevenzione e protezione da adottare contro il rischio incendio e di non avere segnalato la necessità di interventi costosi per fronteggiare l'imminente rischio di incendio. Per quanto rileva in questa sede, gli altri due imputati, nella qualità di componenti del Comitato esecutivo, erano stati assolti dal giudice di secondo grado, sul rilievo che erano titolari di deleghe diverse da quella della sicurezza e non erano stati sollecitati da chi era preposto alla sicurezza. Con riferimento alla posizione del V., il giudicante riteneva, innanzitutto, la sussistenza delle condizioni per la configurabilità dell'evento quale incendio anche prima dell'intervento dei vigili del fuoco. In secondo luogo, escludeva che le "procedure maldestre" seguite dai vigili del fuoco per fronteggiare la situazione avessero assunto il ruolo di concausa nella raggiunta dimensione dell'evento, atteso che l'intervento si era ispirato a protocolli consolidati e standardizzati, in condizioni già difficili e di emergenza. Inoltre i consulenti del PM avevano provato, anche con supporti documentali, che altri corridoi, diversi dalla botola aperta dai vigili, avevano consentito l'accesso di aria pulita dall'esterno che aveva alimentato le fiamme. Quanto alla contestazione sulle carenze dei presidi antincendio, la Corte di merito sottolineava che i rilievi dei consulenti si erano appuntati sui locali sottostanti al laminatoio, che non erano compartimentati, visto che i fumi avevano trovato ampie di fuga e l'aria fresca le vie di accesso all'interno (il locale veniva, in effetti, compartimentato nella ristrutturazione successiva all'incendio). Sulla carenza di un sistema di intervento ad attivazione automatica, i giudici di appello osservavano anche che si sarebbe dovuto preferire questo tipo di impianto, visto che in un luogo ad elevato rischio di incendio andava privilegiata l'immediatezza dell'intervento, anche assumendo il rischio che l'impianto entrasse in funzione su falso allarme. Quanto alla esistenza dei rilevatori di fumo, la sentenza sottolineava che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, l'addebito era quello della mancata dotazione di un sistema video e non dei rilevatori, invece, pacificamente esistenti. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato V., per mezzo del difensore. Con il primo motivo, denuncia l'erronea applicazione dell'art. 449 c.p. e conseguente manifesta illogicità della sentenza, laddove aveva disatteso l'impostazione difensiva fondata sulla fondamentale distinzione tra "fuoco" ed "incendio". Si deduce sul punto che sino all'arrivo dei vigili del fuoco erano insussistenti le caratteristiche dell'incendio (vastità, diffusività e difficoltà di estinzione) e che era stata proprio l'attività maldestra dei vigili del fuoco a trasformare il fuoco in incendio. Si sottolinea, in particolare, che la Corte di merito, pur dando atto di manovre maldestre poste in essere dai vigili (apertura di alcune botole con la conseguente immissione di aria che aveva favorito la combustione; l'introduzione di acqua, che aveva determinato il traboccamento dell'olio dalle vasche di raccolta, cosi alimentando l'incendio), apoditticament |
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P.Q.M.Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. |
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