Distanze legali, computo delle strutture accessorie | Bollettino di Legislazione Tecnica
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14/02/2024

Distanze legali, computo delle strutture accessorie

Secondo la Corte di Cassazione, le strutture accessorie di un fabbricato non meramente decorative e dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al resto dell’immobile vanno computate ai fini delle distanze legali.

FATTISPECIE - Nel caso di specie la ricorrente contestava la sentenza della Corte d’Appello che disponeva l’arretramento del balcone fino al rispetto della distanza legale. In particolare, sosteneva che la Corte d’Appello aveva erroneamente qualificato la struttura sporgente come un balcone aggettante e non aveva tenuto conto del permesso di costruire. In ogni caso, si sarebbe trattato di una illiceità solo apparente, che sarebbe venuta meno con la ripresa dell’attività costruttiva.

STRUTTURE ACCESSORIE, BALCONI - La Corte di Cassazione, ord. C. Cass. civ. 04/01/2024, n. 239 ha ribadito che in tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell'art. 873 c.c., una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata.
Ciò posto, la Corte ha specificato che le strutture accessorie di un fabbricato, non meramente decorative ma dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al resto dell'immobile, costituiscono con questo una costruzione unitaria, ampliandone la superficie o la funzionalità e vanno computate ai fini delle distanze fissate dall'art. 873 c.c. o dalle norme regolamentari integrative.
La eccezionale non computabilità, ai fini delle distanze, di elementi della costruzione può quindi riguardare solo quegli sporti o aggetti che non siano idonei a determinare intercapedini dannose o pericolose, consistendo in sporgenze di limitata entità, con funzione complementare di decoro o di rifinitura, mentre vengono in considerazione le sporgenze, implicanti, perciò, un ampliamento dell'edificio in superficie e volume, come, appunto, i balconi formati da solette aggettanti (anche se scoperti) di apprezzabile profondità, ampiezza e consistenza.

IRRILEVANZA DEL TITOLO ABILITATIVO - Sul punto la Corte ha affermato che la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi a quelli tra privati. Pertanto, il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perché queste riguardano solo l'aspetto formale dell'attività edificatoria.
Di conseguenza, l'avere eseguito la costruzione in conformità dell'ottenuta licenza o concessione, non esclude, di per sé, la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni.

ATTIVITÀ NON ANCORA ULTIMATA - Infine, è stato precisato che, ai fini del ricorso, non rileva che l’attività edificatoria denunziata, rivelatasi lesiva dei diritti del vicino nella sua consistenza attuale, non sia stata ancora ultimata, sicché la violazione delle distanze potrebbe essere nel prosieguo delle opere regolarizzata o soppressa dal costruttore. Soltanto qualora il proprietario convenuto per aver costruito a distanza illegale faccia venir meno l’illegalità e riconosca in modo espresso o implicito la integrale fondatezza della domanda avversa, si determina una cessazione della materia del contendere, che rende inutile la pronuncia giurisdizionale di riduzione in pristino.

Dalla redazione