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Delib. ANAC 19/02/2020, n. 177

Linee guida in materia di Codici di comportamento delle amministrazioni pubbliche.
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Legenda

ANAC Autorità nazionale anticorruzione

ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni

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1. Finalità delle Linee guida

Tra le misure di prevenzione della corruzione i codici di comportamento rivestono un ruolo importante nella strategia delineata dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 rubricata “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, costituendo lo strumento che più di altri si presta a regolare le condotte dei funzionari e ad orientarle alla migliore cura dell’interesse pubblico, in una stretta connessione con i Piani triennali di prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPCT).

L’art. 1, co. 44, della l. n. 190 del 2012 ha sostituito l’art. 54 del d.lgs. n. 165 del 2001 rubricato “Codice di comportamento”, prevedendo, da un lato, un codice di comportamento generale, nazionale, valido per tutte le amministrazi

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2. Fondamento costituzionale dei codici di comportamento

Fonte primaria della disciplina sui codici di comportamento è la Costituzione che impone che le funzioni pubbliche siano svolte con imparzialità (art. 97), al servizio esclusivo della Nazione (art. 98) e con “disciplina e onore” (art. 54, co. 2).

Lo ribadisce, per quel che qui interessa, la l. n. 190 del 2012 (art. 1 co. 59) che definisce le proprie disposizioni come di diretta attuazione del principio di imparzialità di cui all’art. 97 della Costituzione.

La circostan

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3. Finalità e natura dei codici

Le amministrazioni, come visto sopra, adottano un proprio codice di comportamento che, in una logica di pianificazione a cascata propria della l. n. 190/2012, integra e specifica il codice generale nazionale.

Il codice nazionale ha natura regolamentare e definisce i doveri minimi che i dipendenti pubblici e gli altri destinatari del codice sono tenuti ad osservare al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialit&agra

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4. Codice etico e codice di comportamento

I codici di comportamento non vanno confusi, come spesso l’Autorità ha riscontrato, con i codici “etici”, comunque denominati.

I codici etici hanno una dimensione “valoriale” e non disciplinare e sono adottati dalle amministrazioni al fine di fissare doveri, spesso ulter

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5. Codice di comportamento e misure che limitano l’accesso o la permanenza nell’ufficio/incarico

L’Autorità ritiene importante chiarire che non spetta ai codici di comportamento introdurre misure sull’imparzialità soggettiva dei funzionari pubblici tese a limitarne l’accesso o la permanenza nelle cariche pubbliche o lo svolgimento delle attività dell’ufficio/incarico. Queste ultime, infatti, hanno un carattere oggettivo e sono riservate alla legge o a fonte normativa espressamente autorizzata dalla legge.

Tali misure, già analizzate nel PNA 2019 (Parte III § 1.1. cui si rinvia), sono volte a:

- impedire l’accesso o il mantenimento di cariche pubbliche al funzionari

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6. Collegamenti del codice di comportamento con il PTPCT

Come anticipato, tra le novità della disciplina sui codici di comportamento, una riguarda lo stretto collegamento che deve sussistere tra i codici e il PTPCT di ogni amministrazione.

Il PTPCT è lo strumento attraverso il quale l’amministrazione definisce e formula la propria strategia di prevenzione della corruzione, individuando le aree di rischio in relazione alla propria specificità, mappando i processi, valutando i possibili rischi di corruzione che in essi si possono annidare ed individuando le misure atte a neutralizzare o a ridurre tali rischi. In proposito si rinvia al PNA 2019 che si è ampliamente occupato del tema (PNA 2019, Parte II).

Oltre alle misure di tipo oggettivo il legislatore dà ampio spazio anche a quelle di tipo soggettivo che ricadono sul singolo funzionario pubblico nello svolgimento delle attività e che, come sopra visto, sono anche declinate nel codice di comportamento che l’amministrazione è tenuta ad adottare.

Intento del legislatore è quello di delineare in ogni amministrazione un sistema di prevenzione della corruzione che ottimizzi tutti gli strumenti di cui l’amministrazione dispone, mettendone in relazione i contenuti.

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7. Ambito soggettivo di applicazione

Quando ci si riferisce all’ambito soggettivo si intende individuare sia le amministrazioni e gli enti tenuti all’adozione dei codici e dei doveri di comportamento, sia il personale tenuto a rispettarli.


7.1. Quadro normativo di riferimento

L’art. 54 d.lgs.165/2001 definisce l’ambito soggettivo di applicazione del codice di comportamento mediante il riferimento alle “amministrazioni pubbliche” individuate dall’art. 1, co. 2, del medesimo decreto legislativo.

Vi è poi l’art. 2 del d.P.R. n. 62/2013 che individua le categorie di personale cui deve applicarsi il codice di amministrazione. Anche esso fa esplicito riferimento alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001.

Ad avviso dell’Autorità tali disposizioni vanno lette in relazione alla stretta connessione tra codici di comportamento e PTPCT voluta dal legislatore. Pertanto, l’ambito soggettivo non si limita solo a quello previsto espressamente dal d.lgs. 165/2001, ma ricomprende anche tutte le amministrazioni, enti e Autorità soggetti in controllo pubblico tenuti all’adozione del PTPCT e/o di misure di prevenzione della corruzione passiva. A questo proposito sovviene l’art. 1, co. 2-bis, della legge 190/2012.

Tale norma prevede che tanto le pubbliche amministrazioni quanto gli “altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2103” N4 siano destinatari delle indicazioni contenute nel PNA, ma con un regime differenziato: mentre le prime sono tenute ad adottare un vero e proprio PTPCT, i secondi devono adottare “misure integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231N5.

Alla luce di quanto sopra, si può ritenere che le categorie di soggetti, amministrazioni o enti cui fare riferimento siano riconducibili ai seguenti due ambiti generali:

- enti e amministrazioni cui si applica il codice nazionale tenuti altresì all’adozione di un proprio codice di amministrazione che integri e specifichi le previsioni ivi contenute ai sensi dell’art. 54, co. 5, d.lgs.165/2001;

- soggetti privati, enti pubblici economici e società in controllo pubblico di cui all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 tenuti ad adottare misure integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 ivi incluse quelle che attengono ai doveri di comportamento.

All’interno di questi due grandi ambiti di amministrazioni/enti vanno poi inquadrate le questioni relative al personale tenuto al rispetto dei codici.

Di seguito si esaminano innanzitutto i profili relativi agli enti e alle amministrazioni. Nei paragrafi successivi si passerà ad affrontare le tematiche relative al personale.


7.2. Gli enti tenuti all’adozione dei codici di amministrazione


- Le pubbliche amministrazioni

Sono tenute all’adozione del codice di comportamento le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001 N6. Ad esse si riferisce sia l’art. 54 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sia l’art. 2 del d.P.R. 62 del 2013.

La disciplina sui codici di comportamento si applica a tutte le amministrazioni pubbliche tenute all’applicazione della normativa sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza e all’adozione del PTPCT ai sensi dell’art. 1, co. 2-bis, l. 190/2012. Rientrano, pertanto, tra tali soggetti anche le Autorità di sistema portuale e gli Ordini professionali.

Sono poi espressamente incluse nell’ambito di applicazione, ai sensi dell’art. 2, comma 4 del d.P.R. 62/2013, anche le Regioni a Statuto speciale e le Province Autonome di Trento e Bolzano, tenute all’adozione del codice di comportamento nel rispetto delle attribuzioni derivanti dagli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, in materia di organizzazione e contrattazione collettiva del proprio personale, di quello dei loro enti funzionali e di quello degli enti locali del rispettivo territorio.


- Le Autorità amministrative indipendenti

Ad avviso dell’Autorità, le Autorità amministrative indipendenti N7, come di recente confermato dal PNA 2019 (cfr. PNA 2019, Parte I, § 3) applicano la disciplina sulla trasparenza (ai sensi dell’art. 2-bis, co.1, d.lgs. 33 del 2013) e la disciplina in materia di prevenzione della corruzione in cui è inclusa quella sui codici di comportamento.

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8. Codice di comportamento e sistema di valutazione e misurazione della performance

Il sistema di misurazione e valutazione della performance introdotto con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 persegue, tra gli altri, l’obiettivo di incrementare l’efficienza del lavoro pubblico attraverso il raggiungimento degli obiettivi individuali e organizzativi definiti annualmente.

La specificità del lavoro pubblico implica, però, che nel raggiungimento degli obiettivi fissati, il dipendente assicuri, anche attraverso il proprio stile operativo, un’azione rispettosa sia dei principi di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 della Costituzione, sia dei doveri contenuti nei codici di comportamento. Da ci&o

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9. Contenuti dei codici di comportamento

Come già chiarito nelle presenti Linee guida (cfr. § 3, Finalità e natura dei codici), il ruolo attribuito dal legislatore ai codici di amministrazione è quello di integrare e specificare i doveri individuati dal codice nazionale, con riferimento alla propria amministrazione. Con i doveri integrativi si persegue l’obiettivo di completare il quadro dei precetti, allo scopo di meglio conseguire gli obiettivi; con i doveri specificativi, invece, si traducono le prescrizioni generiche in prescrizioni specifiche.

L’attività di integrazione/specificazione presuppone una mappatura dei processi cui far seguire l’analisi dei rischi e l’individuazione dei doveri di comportamento seguendo quindi lo stesso approccio utilizzato per la redazione del PTPCT (cfr. § 6). Ciò consente di individuare i doveri di comportamento alla luce del contesto di ogni singola amministrazione così come avviene per le misure di prevenzione del PTPCT che sono individuate tenendo conto dei profili di rischio emersi dalla mappatura dei processi.

Le amministrazioni, inoltre, nella definizione dei doveri di comportamento, possono avvalersi dei dati raccolti dall’UPD relativi alle condotte illecite accertate e sanzionate in modo da aggiornare/integrare il codice di comportamento alla luce degli esiti rilevati.

Lo spazio integrativo e specificativo di cui le amministrazioni dispongono varia in relazione alla natura delle prescrizioni dettate dal codice nazionale: tanto queste sono puntuali, tanto minore è lo spazio che i codici possono colmare e viceversa. Giova, tuttavia, ricordare che nell’individuazione dei doveri le amministrazioni non possono regolare ambiti diversi da quelli previsti dal codice nazionale, a pena di sconfinare in aree riservate ad altre fonti, né replicare in maniera acritica i contenuti dello stesso codice nazionale.

I codici di comportamento delle amministrazioni è necessario sviluppino un sistema completo di valori fondamentali che siano in grado di rappresentare all’esterno quali sono gli standard che l’amministrazione richiede ai propri dipendenti e collaboratori.

Lo sforzo che l’amministrazione deve compiere è quello di chiarire il comportamento atteso dagli stessi destinatari del codice, innanzitutto, con riferimento ai principi generali che, in quanto tali, nel testo normativo non sono specificati e possono condurre a diverse interpretazioni. Ad esempio, il valore “lealtà” può essere inteso in modo diverso, con conseguenze sul comportamento secondo l’interpretazione accolta.

Si raccomanda, quindi, alle amministrazioni di approfondire nei propri codici quei valori ritenuti importanti e fondamentali in rapporto alla propria specificità in modo da aiutare i soggetti cui si applica il codice a capire quale comportamento è auspicabile in una determinata situazione.

Gli ambiti generali previsti dal codice nazionale entro cui le amministrazioni definiscono i doveri, avuto riguardo alla propria struttura organizzativa, possono esse

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10. I rapporti con la contrattazione collettiva

A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 190/2012, che ha conferito rilievo disciplinare alle violazioni dei codici di comportamento, è emerso il problema della concorrenza fra le fonti unilaterali di disciplina dei doveri di comportamento (legge, codice di comportamento nazionale e codici di comportamento di amministrazione) e fonti contrattuali, sia a livello nazionale che di settore.

La questione è resa particolarmente complessa dalla previsione della competenza esclusiva della fonte contrattuale a prevedere nel “codice disciplinare” l’unica fonte abilitata a operare la necessaria corrispondenza fra la violazione dei doveri, compresi, naturalmente, quelli contenuti nel codice di comportamento, e le sanzioni applicabili.

La definizione dei comportamenti dovuti, assistiti o assistibili da sanzione disciplinare, è rimessa alla regolamentazione del lavoro privato (

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11. Procedura di formazione dei codici

L’art. 54, co. 5, del d.lgs. 165/2001 prevede che le amministrazioni definiscano il codice di comportamento «con procedura aperta alla partecipazione previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione».

Considerata la scarna previsione normativa, l’Autorità ritiene utile fornire alcune indicazioni sia con riguardo al profilo formale, che attiene alla procedura da seguire per garantire la validità del codice, sia con riguardo al profilo sostanziale, che attiene alla conoscenza diffusa e alla condivisione dei doveri previsti da parte dei dipendenti dell’amministrazione interessata e dei cittadini.


- Principi guida

Le scelte procedurali costituiscono uno snodo cruciale nel perseguimento dell’effettività sostanziale dei codici, non solo in termini di aumentato rispetto delle previsioni, ma anche di accettazione e condivisione delle stesse.

È importante, quindi, che nel processo di formazione del codice le amministrazioni promuovano, in primo luogo, la massima partecipazione dei dipendenti dell’amministrazione, favorendo l’adeguata comprensione del contesto e delle finalità dei codici, e degli altri stakeholders, interni ed esterni.

In secondo luogo, occorre che esse valorizzino una procedura di formazione “progressiva” che conduca all’adozione definitiva del codice in modo graduale (vedi infra).

La valorizzazione dei principi richiamati di gradualità e di partecipazione da par

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12. Struttura dei codici

Si è già detto che, a livello di amministrazione, il codice di comportamento integra e specifica le previsioni del codice nazionale.

Questa opera di integrazione e specificazione ha diverse conseguenze ed impatta anche sull’articolazione e sulla “struttura” da dare ai codici. Si tratta, infatti, di definire doveri che debbano essere rispettati da categorie di dipendenti con diverso regime del rapporto di lavoro o da personale che, pur essendo esterno all’amministrazione, instaura rapporti con la stessa.

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13. Tecniche di redazione dei codici

Il codice di comportamento è un atto che ha un importante rilievo comunicativo in quanto deve essere chiaramente comprensibile a tutti i suoi destinatari.

Con riferimento alla esposizione dei contenuti, l’Autorità ritiene che una enunciazione dei doveri laddove possibile in positivo, vale a dire con indicazione di quello che il destinatario fa o deve fare, sia preferibile ad una formulazione in negativo.

A titolo esemplificativo, con riferimento ai doveri cui devono attenersi i dipendenti in servizio, in base all’art. 11 del d.PR 62/2013 rubricato “Comportamento in servizio”, una declinazione del dovere in positivo è la seguente: «i dipendenti assicura

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14. Doveri di comportamento negli enti pubblici economici, nelle società a controllo pubblico e negli enti di diritto privato di cui all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013

Come già anticipato nel § 7.2, gli enti pubblici economici, le società a controllo pubblico e gli altri enti di diritto privato di cui all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013 sono tenuti a individuare misure di prevenzione della corruzione ai sensi della l. n. 190/2012 (sul punto si rinvia alla delibera ANAC n. 1134/2017, §3.1.1.) e a definire corrispondenti doveri di comportamento per i dipendenti. È necessario, infatti, che i presìdi identificati in conformità alle indicazioni normative siano assistiti, ove possibile, da doveri di comportamento, pur nell’ambito del rapporto di lavoro di natura privatistica. In tal senso, occorre integrare i doveri di comportamento inseriti nel modello di organizzazione e gestione e nel codice etico eventualmente adottati ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, con altri da definire in relazione alle misure di prevenzione della corruzione passiva. Nel caso in cui l’ente non abbia adottato il modello di organizzazione e gestione (cd. “modello 231”), le misure di prevenzione della corruzione elaborate ai sensi della l. 190/2012 sono assistite, per quanto possibile, dai doveri di comportamento N21.

Si rammenta che il “modello 231” N22 è volto a escludere la responsabilità dell’ente ove un soggetto in posizione apicale o un dipendente commettano il reato presupposto nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Il “modello 231” si articola essenzialmente in un’analisi del contesto operativo aziendale

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15. Formazione sui contenuti dei codici di comportamento

Comunicare i contenuti del codice e aumentare nei destinatari la consapevolezza delle disposizioni in esso contenute, attraverso una formazione costante, è parte di una strategia complessiva in materia di integrità che le amministrazioni dovrebbero attuare per assicurare che il dipendente pubblico sia posto nella condizione di affrontare le questioni etiche che insorgono nello svolgimento delle funzioni affidate.

Sul ruolo della formazione in materia di integrità già la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), adottata dall’Assemblea Generale a Merida il 31 ottobre 2003, prevede che gli Stati Parte si adoperino affinché favoriscano nei confronti dei dipendenti pubblici «l’offerta di programmi di educazione e di formazione che permettano loro di adempiere le proprie funzioni in modo corretto, onorevole ed adeguato e permettano loro di beneficiare di una formazione specializzata appropriata che li sensibilizzi maggiormente ai rischi di corruzione inerenti all’esercizio delle loro funzioni. Tali programmi possono fare riferimento ai codici o norme di condotta ap

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16. Vigilanza sull’applicazione del codice

- Vigilanza interna alle amministrazioni

Un’efficace strategia di prevenzione della corruzione rende necessario che ogni amministrazione preveda e descriva nel PTPCT il proprio sistema di vigilanza sull’attuazione delle misure.

La vigilanza sulla effettiva attuazione delle regole contenute nel codice di comportamento, che, come già chiarito, contribuiscono, sotto il profilo soggettivo, alla piena realizzazione delle misure di prevenzione del rischio (cfr. infra §. 6) è svolta all’interno delle amministrazioni con la cooperazione di una pluralità di soggetti che, a diversi livelli, esercitano il controllo al fine di garantire in concreto il rispetto degli obblighi e dei doveri indicati nel codice.

In particolare, la vigilanza è posta in primo luogo in capo ai dirigenti responsabili di ciascuna struttura (art. 54, co. 6, del d.lgs. 165/2001, artt. 13 e 15 del d.P.R. n. 62/2013) per l’ambito di propria competenza e in relazione alla natura dell’incarico e ai connessi livelli di responsabilità. Si rammenta che il dirigente riceve le comunicazioni dei dipendenti assegnati al proprio ufficio, riguardanti i rapporti intercorsi con soggetti privati e le situazioni di conflitto di interesse e decide sull’obbligo di astensione (artt. 6 e 7 del d.P.R. 62/2013), adottando i conseguenti provvedimenti.

La vigilanza del dirigente è implementata attraverso una adeguata articolazione, che consenta ai dipendenti di svolgere le attività assegnate a ciascuno nel rispetto dei principi di trasparenza, buon andamento e imparzialità, cui sono ispirati i doveri di comportamento.

A tal fine, il dirigente promuove la conoscenza del codice di comportamento fornendo assistenza e consulenza sulla corretta interpretazione e attuazione del medesimo. Favorisce inoltre la formazione e l’aggiornamento dei dipendenti in materia di integrità e trasparenza, in coerenza con la programmazione di tale misura inserita nel PTPCT.

Il dirigente attiva le azioni disciplinari di competenza per le infrazioni di minore gravità, in conformità a quanto previsto all’art. 55-bis del d.lgs. 165/2001 e all’art. 13 del d.P.R. 62/2013, dandone comunicazione all’Ufficio procedimenti disciplinari (UPD).

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