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27/06/2023

Sanzioni alternative alla demolizione: criteri di calcolo

Il Consiglio di Stato spiega i criteri da utilizzare per calcolare l’ammontare della sanzione alternativa alla demolizione prevista dall’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/2001.

Il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla dibattuta questione che concerne il metodo di calcolo della sanzione amministrativa prevista dall’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001, nota come “fiscalizzazione dell’abuso”. Nel caso di specie si trattava di alcune opere eseguite, in sede di originaria edificazione del fabbricato (anni 1959-1961), in difformità dal titolo edilizio, per le quali il Comune aveva ravvisato le condizioni per l'applicazione di tale istituto. I proprietari contestavano l’importo della sanzione calcolata dal Comune in base al D.M. 18/12/1998 attualizzato. 

L’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001 dispone che quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla L. 27/07/1978, n. 392 (Legge sull’equo canone), della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
La questione che si pone è l’interpretazione del rinvio materiale operato alla L. 392/1978, vale a dire se, per gli immobili edificati entro il 31/12/1975, debba intendersi come un rinvio fisso al costo di produzione alla data di realizzazione del bene, ovvero come un rinvio mobile al costo di costruzione attualizzato, discendente dall’ultimo aggiornamento ministeriale, vigente alla data di irrogazione della sanzione.

C. Stato 12/04/2023, n. 3671, discostandosi dal differente indirizzo espresso di recente (v. sentenza 10/06/2021, n. 4463), ha affermato che la sanzione deve essere calcolata applicando i criteri di attualizzazione contemplati dalla normativa sull’equo canone.
In proposito i giudici hanno ricordato che, in linea generale, il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi, in ragione della loro natura di illecito permanente, è quello vigente al momento dell’applicazione della sanzione e non quello vigente all’epoca della consumazione dell’abuso. L’abuso edilizio infatti si pone in perdurante contrasto con le norme amministrative sino a quando non viene ripristinato lo stato dei luoghi e, pertanto, da un lato, l’illecito sussiste anche quando il potere repressivo si fonda su una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l'abuso è posto in essere e, dall'altro, in sede di repressione dell'abuso medesimo, è applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa.
In forza della natura permanente dell'illecito edilizio, infatti, colui che ha realizzato l’abuso mantiene inalterato nel tempo l'obbligo di eliminare l'opera abusiva e anche il potere di repressione può essere esercitato retroattivamente, cioè anche per fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore della norma che disciplina tale potere.
In considerazione di tali principi e in ossequio al rinvio materiale di cui è fatto oggetto la normativa sull’equo canone ad opera dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001, il Consiglio ha dunque ritenuto legittima l’applicazione dei criteri di attualizzazione contemplati dalla stessa normativa. Infatti, si legge nella sentenza, in caso contrario, si perverrebbe alla paradossale e non accettabile conclusione di consentire a colui che ha commesso l’illecito di lucrare effetti vantaggiosi dall’inerzia dell’Amministrazione nel perseguire l’abuso.
Di conseguenza, secondo i giudici, nell’esercizio di un potere vincolato, il Comune aveva correttamente determinato la sanzione in ragione del costo base di cui al D.M. 18/12/1998, ultimo D.M. emesso in esecuzione della L. 392/1978, attualizzato alla data di irrogazione della sanzione.

Dalla redazione