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04/06/2021

Abusi su suolo pubblico, demolizione e onere probatorio del Comune

Ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione emesso ai sensi dell’art. 35, D.P.R. 380/2001, l’Amministrazione deve provare la proprietà pubblica del suolo su cui è stato realizzato l’abuso; in mancanza di una prova certa il Comune non può ordinare la demolizione.

L’art. 35, D.P.R. 380/2001 stabilisce che qualora sia accertata la realizzazione di interventi in assenza di permesso di costruire (o SCIA alternativa), ovvero in totale o parziale difformità dal titolo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo.

L’applicazione della disposizione potrebbe risultare particolarmente rigorosa, dando luogo a dubbi e contestazioni, nelle ipotesi in cui si tratti di opere realizzate “sul confine” tra suolo pubblico e privato, come avvenuto nel caso esaminato dal TAR Piemonte con la sentenza 19/05/2021, n. 501.

INAPPLICABILITÀ DI SANZIONI ALTERNATIVE - In proposito il TAR ha evidenziato che la suddetta norma non lascia all’ente locale alcuno spazio per valutazioni discrezionali, per cui, una volta accertata la realizzazione di interventi abusivi su suoli demaniali, da ciò deriva, quale unica ed esclusiva conseguenza, la demolizione a spese del responsabile. Non esistono, in merito, ipotesi alternative alla riduzione in pristino dei luoghi, risultando essa preordinata a evitare l’indebito utilizzo del bene demaniale, per cui, nei casi di edificazione “contra legem”, non occorre alcun accertamento ulteriore e occorre verificare solo che trattasi di suolo di proprietà pubblica e che nessun titolo è stato rilasciato (ovvero la non conformità al titolo).

ONERE PROBATORIO GRAVANTE SULL’ENTE LOCALE - Peraltro, a fronte del potere-dovere di procedere alla repressione degli abusi edilizi commessi su suolo demaniale ai sensi del citato art. 35 del D.P.R. n. 380/2001 e considerato il particolare rigore della norma, è necessario che l’Amministrazione accerti, con particolare scrupolo, la proprietà pubblica del suolo su cui insistono le opere oggetto del procedimento repressivo, al fine di non colpire con la massima sanzione edilizia - demolizione e riduzione in pristino - un bene che potrebbe, in assenza di chiari riscontri, appartenere al privato. Sul punto la giurisprudenza ha delineato l’intensità dell’onere probatorio gravante sull’ente locale che voglia procedere alla demolizione di un’opera abusiva insistente su un suolo della cui natura, pubblica o privata, si controverta, precisando come a tal fine sia necessario disporre di una prova certa ed incontrovertibile in ordine alla proprietà pubblica del sedime, senza la quale il Comune non può avere il potere di reprimere opere di privati su di una base giuridica la cui applicabilità nel caso di specie non è comprovata dall'ente locale, al quale incombe al riguardo l'onere dimostrativo.

Tale obbligo, che costituisce il presupposto indefettibile dell’ordinanza di rimessione in pristino, richiede che l’Amministrazione compia una valutazione completa non solo dello stato attuale dei luoghi, ma anche dei dati storici relativi all’opera contestata e di tutte le risultanze documentali utili all’individuazione della relativa proprietà, che, come detto, deve risultare assolutamente “certa” e non desunta sulla base di elementi che fondano un mero convincimento.
Non basta, in altri termini, che il suolo su cui insistono le opere ritenute abusive sia ragionevolmente riconducibile alla proprietà del Comune, ma serve che in merito alla qualità pubblica dello stesso non residui alcun dubbio.
Nel caso di specie, secondo il TAR, detta esigenza risultava ancor più pregnante alla luce delle caratteristiche del manufatto abusivo: si trattava, infatti, di costruzioni di modica entità (manufatto in muratura consistente in porzione di terrazzo sporgente sul lato a confine con la piazza e piccolo gradino) poste proprio sulla linea di confine tra la pubblica piazza e il terrazzo di proprietà della ricorrente, esistenti in loco da molto tempo senza che mai, nonostante l’evidenza della loro presenza, vi fosse stata contestazione alcuna da parte dell’Amministrazione.

CONCLUSIONI - In conclusione, il TAR ha annullato l’ordine di demolizione ritenendo che la perizia depositata in giudizio dal Comune non fosse da sola sufficiente per accertare con piana certezza - nei termini sopra precisati - la proprietà pubblica della minima porzione di suolo interessata dal manufatto in questione, in assenza di tutti gli altri elementi istruttori che restituiscono (ove presenti) l’effettiva certezza della natura demaniale dell’area.

Dalla redazione