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Ultimo aggiornamento
22/06/2020

La riforma del Testo unico dell’edilizia, riflessioni e considerazioni

Alcune riflessioni e considerazioni di commento in merito alla revisione del Testo unico dell’edilizia in corso ed alle prime indiscrezioni in merito ai contenuti della bozza su cui l’apposita Commissione è al lavoro.
A cura di:
  • Roberto Gallia

Della riforma del Testo unico per l’edilizia se ne parla da molto. Nel frattempo, finita la sbornia di innovazioni che sembrava conclusa nel 2016, singole iniziative contribuiscono ad accrescere la confusione che regna nel settore della regolamentazione edilizia.
L’unica cosa che si sa (per certo?) è che presso il Consiglio superiore dei LL.PP. sarebbe stata costituita una commissione per la riformulazione del Testo unico per l’edilizia, e, sporadicamente, vengono offerte delle briciole di informazione che contribuiscono a rendere l’operazione non tanto misteriosa quanto poco credibile.
Da ultimo, rispondendo ad una interrogazione, il sottosegretario alle infrastrutture ha informato che sarebbe già stato predisposto un “Testo unico delle costruzioni” che, in 130 articoli, dovrebbe sostituire il D.P.R. 380/2001; precisando che si starebbero perfezionando, tra l’altro, le disposizioni finalizzate a:
-  ridurre il numero dei titoli abilitativi;
-  favorire i processi di demolizione e ricostruzione;
- eliminare la procedura dell’autorizzazione sismica preventiva e istituire il concetto di classe di rischio di una costruzione;
- disciplinare in modo più chiaro le procedure per la realizzazione delle opere di interesse statale;
- istituire il fascicolo del fabbricato, nel contesto di un “sistema integrato del territorio” (fiscale?, pianificatorio? che altro?) che l’Agenzia del Catasto starebbe mettendo a punto;
-  favorire la sostenibilità delle costruzioni e istituire la certificazione di sostenibilità degli immobili.

Commentare un testo che non si conosce è sicuramente cosa disdicevole, ma i punti richiamati (alla luce di quanto vado sostenendo non da oggi) meritano una puntualizzazione, appunto.

RIDURRE IL NUMERO DEI TITOLI ABILITATIVI
Le autorizzazioni in edilizia sono plurime. Accanto agli interventi di edilizia libera, vi sono gli interventi soggetti ad una pluralità di titoli abilitativi disposti dal D.P.R. 380/2001, incrementati da una dozzina di autorizzazioni edilizie previste da norme di settore (da non confondere con le autorizzazioni di settore – paesaggistica, sismica, ecc. - che hanno incidenza sulla attività edilizia).
Nel vigente TUE le comunicazioni sono suddivise in: Comunicazione di inizio lavori (CIL), Comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), CILA con altre comunicazioni, CILA con richiesta contestuale di atti presupposti. A queste si affiancano la Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), la SCIA unica, la SCIA condizionata, la SCIA sostitutiva del permesso di costruire. Infine, quale titolo esplicito, vi è il permesso di costruire, suddiviso tra la tipologia soggetta a silenzio-assenso e quella esclusa.
Ad esso si affiancano il permesso di costruire in deroga e il permesso di costruire convenzionato, che attivano un procedimento di natura urbanistica. Titoli abilitativi la cui applicazione è spalmata su una casistica complessa di tipologie di interventi.
La L. 124/2015, di riorganizzazione della pubblica amministrazione, ha riorganizzato i procedimenti amministrativi in una chiara e razionale organizzazione tripartita, basata sulla “precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, …, nonché di quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione espressa e di quelli per i quali è sufficiente una comunicazione preventiva” (articolo 5). Questi principi, se applicati ai procedimenti edilizi,  potrebbero conseguire - finalmente - gli obiettivi indicati e ribaditi dalla Corte Costituzionale a partire dal 2003, quando si era espressa auspicando che “le funzioni amministrative in materia [edilizia] non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione”.

Ne potrebbe discendere che:
- la Comunicazione venga effettuata solo a fini fiscali (usufruire delle agevolazioni) e civilistici (diritti dei terzi) per opere che non modificano la consistenza catastale e le condizioni di agibilità, eseguibili con una normale perizia e diligenza in assenza di progetto e direzione lavori (requisiti da dichiarare da parte di un tecnico abilitato);
- la Segnalazione certificata di inizio attività, ad effetto immediato e/o differito, costituisca la modalità corrente per dichiarare e autorizzare le attività costruttive;
- il Permesso di costruire, quale titolo esplicito, sia riservato ai soli casi in cui occorre una valutazione ponderata di plurimi interessi pubblici coinvolti.

DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE
La sostituzione edilizia, o - meglio – le forme con cui attuarla, è stato (e pare sia ancora) il cavallo di battaglia degli orfani della perequazione urbanistica, che hanno perso il treno del governo dell’espansione urbana e negli anni, con un susseguirsi di interventi maldestri, sono riusciti ad ingessare gli interventi di demolizione e ricostruzione in una ricostruzione che rispetti (per quanto strano e incomprensibile possa apparire) non solo i parametri edilizi (ingombri, volumi e superfici) ma anche la posizione nel lotto e i materiali impiegati.
Tutto questo fervore inconcludente è fondato sull’idea di valorizzazione della rendita attesa dal rinnovo immobiliare, con eventuale contributo straordinario alle casse pubbliche. Del tutto indifferenti alla realtà derivata dalla scelta, perseguita ed attuata a partire dalla ricostruzione del dopoguerra, della proprietà edilizia diffusa, che riguarda oltre l’80 per cento dei fabbricati, e rende residuali gli interventi di sostituzione edilizia rispetto al recupero degli immobili a proprietà frazionata.
Una seria politica di rigenerazione urbana non può essere limitata ai pochi e sporadici casi di demolizione e ricostruzione, ma rendere efficienti (non solo dal punto di vista energetico e strutturale) gli interventi di recupero del patrimonio edilizio a proprietà diffusa.

AUTORIZZAZIONE SISMICA E CLASSE DI RISCHIO
Ribadisco quanto ho già avuto modo di dire  in più occasioni.
il nostro ordinamento già dispone che le autorizzazioni espresse “che non implichino esercizio di discrezionalità amministrativa e il cui rilascio dipenda dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge” siano sostituite da una dichiarazione di parte “corredata dalle attestazioni e dalle certificazioni eventualmente richieste” (articolo 20 della L. 59/1997 per il trasferimento delle funzioni amministrative, comma 3, lettera e). Prescrizione rispettata nei procedimenti di prevenzione incendi, che non assoggettano all’esame del progetto le attività per le quali sia stata predisposta una specifica regola tecnica verticale, ma non con riferimento all’autorizzazione sismica, dove è previsto il rilascio di un titolo espresso nonostante l’esame dei relativi progetti sia riferibile esclusivamente alla verifica dell’applicazione di quanto disposto dalle norme tecniche delle costruzioni (D.M. 17 gennaio 2018), che - a dispetto del nome - costituiscono una regola tecnica di applicazione obbligatoria (come disposto dalla non recente L. 317/1986).
Già oggi, se si rispettassero le leggi in vigore, tutte le autorizzazioni sismiche (nei vari gradi e livelli) dovrebbero essere sostituite da dichiarazioni asseverate.
Per quanto riguarda la definizione delle classi di rischio, che giustamente richiede l’aggiornamento in base al progredire delle conoscenze scientifiche, deve essere attribuita a provvedimenti di normazione tecnica e non certo a provvedimenti di natura amministrativa, come le recenti e discutibili linee guida per la definizione della rilevanza degli interventi.

REALIZZAZIONE DI OPERE PUBBLICHE
Un famoso politico del secolo scorso diceva che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca. Questa problematica fa parte del Codice dei contratti pubblici e dell’emanando Regolamento, che, come ho rilevato - con insistenza e più volte – continua a separare opere e servizi, nonostante l’art. 2 del D.M. 26/11/2010 abbia definito le “infrastrutture pubbliche” quali  “beni strumentali dotati della prevalente finalità di fornitura di servizi collettivi, a domanda individuale o aggregata rivolti alle famiglie e alle imprese, …, indipendentemente dalla natura proprietaria dei soggetti titolari dei diritti reali su tali beni”.
Se non si riparte da questa definizione, non può trovare applicazione il procedimento di pianificazione e programmazione definito dal Codice, all’interno del quale sono ricomprese le autorizzazioni, non limitate ai meri procedimenti edilizi. E il nuovo testo unico edilizia non può essere usato strumentalmente per derogare a quanto disposto dal Codice.

FASCICOLO DEL FABBRICATO
Anche qui mi ripeto. I contenuti e le finalità del fascicolo del fabbricato, del quale da troppo tempo si parla inutilmente, di fatto lo portano a coincidere con l’istituto dell’agibilità. Questa coincidenza, anche se non ammessa, ha già portato la Corte costituzionale a giudicare illegittimo il fascicolo del fabbricato “per aver introdotto obblighi irragionevoli” che moltiplicano gli adempimenti.
Nessuno di coloro che continuano a proporre con insistenza il fascicolo del fabbricato, ha mai provato a fare una riflessione sull’agibilità per proporne l’innovazione, adeguandola o sopprimendola.
I procedimenti per l’abitabilità degli edifici residenziali, divenuta agibilità nel 2001 con il Testo unico edilizia, si sono stratificati dall’unità d’Italia ad oggi, dando luogo ad una pluralità di situazioni diversificate, le quali, nonostante la rilevanza dei problemi creati, non hanno mai suscitato attenzione.
Sarà una vera iattura se la nuova regolamentazione introdurrà il fascicolo del fabbricato e contestualmente manterrà l’agibilità.

SOSTENIBILITÀ DELLE COSTRUZIONI
A partire dai primi anni del secolo, in assenza di un riferimento normativo nazionale la Conferenza delle Regioni, tramite l’istituto Itaca, ha prodotto dei protocolli di riferimento, adottati da diverse Regioni, e da ultimo sostituiti da una prassi di riferimento redatta in collaborazione con l’UNI; documenti nei quali il concetto di sostenibilità in edilizia premia l’aspetto energetico, in quanto fattore che contribuisce sostanzialmente a determinare i cambiamenti climatici e quindi la qualità dell’ambiente in cui viviamo.
Attualmente, quindi, per sostenibilità delle costruzioni si fa prevalentemente (se non esclusivamente) riferimento alle condizioni di efficienza energetica.
Anche qui mi ripeto su quanto più volte ho detto in merito alla complessità dei procedimenti per effettuare una riqualificazione energetica degli immobili.
Nessuno ha mai protestato per la dicotomia tra progetto (art. 125 del D.P.R. 380/2001) e relazione tecnica (art. 8 del D. Leg.vo 192/2005), per il riferimento esclusivo all’intero edificio (escludendo la verifica della singola unità immobiliare) dello schema di riferimento (allegato E al D.lgs. 192/2005), alla dicotomia dell’attestazione finale dei livelli di efficienza conseguiti, ambiguamente ripartita fra AQE (Attestato di qualificazione energetica) e APE (Attestato di prestazione energetica), a loro volta diversi dalla relazione da compilare on line sul sito Enea per confermare i benefici fiscali.
Sembra impossibile, ma così è, che finora nessuno ha ritento indispensabile (più che utile) pervenire ad una unica modalità di redazione della diagnosi energetica, del progetto di efficientamento e della dichiarazione finale dei livelli conseguiti.
Su questa situazione non è intervenuto il D. Leg.vo 48/2020, che apporta modifiche al D. Leg.vo 192/2005 sull’efficienza energetica in edilizia, incentrando il proprio interesse sugli impianti di ricarica dei mezzi a propulsione elettrica.
Più che risolvere problemi ne apre altri sul fronte apparentemente dimenticato, degli impianti interni alle costruzioni, a partire dalla loro progettazione. Il D.M. 37/2008, che avrebbe dovuto avere una applicazione “provvisoria”, prevede l’obbligo della progettazione (art. 5 del D.M. 37/2008, comma 1) e del deposito al di sopra di determinate soglie (art. 5 del D.M. 37/2008, comma 2). Obblighi prevalentemente elusi, in particolare la progettazione, che anche in documenti ufficiali continua a essere indicata quale adempimento abbinato alle soglie definite per il deposito. E molto altro.

CONCLUSIONE
A questo punto, non appare peregrina la richiesta al Governo di far conoscere il testo in via di definizione ed avviare una consultazione pubblica, trattandosi prevalentemente di aspetti tecnici che, anche se la materia è riservata alla legge, non implicano comunque scelte politiche (se non di ordine generale) e possono accogliere suggerimenti in maniera trasversale.

Per chi ha avuto la costanza di leggere fino in fondo, un invito a non rimanere silente ma fare sentire la propria opinione, anche dissonante. 

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