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Sent. TAR. Campania Salerno 13/01/2015, n. 149

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Antichità e belle arti: competenze professionali di ingegneri ed architetti.
L'art. 52 del R.D. n. 2357/1925 ("Approvazione del Regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto"), prescrive che "Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364 (poi, L. 1° giugno 1939, n. 1089, abrogata dall’art. 166 del D. Leg.vo 29 ottobre 1999, n. 490, a sua volta abrogato dall’art. 184, D. Leg.vo 22 gennaio 2004, n. 42), per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere". La ricorrente ha denunziato come, per effetto della sottoscrizione del progetto migliorativo dell’offerta tecnica, da parte di un ingegnere, anziché di un architetto, la controinteressata-aggiudicataria dovesse: a) essere estromessa dall’appalto, per non aver rispettato la prescrizione di gara, dettata, espressamente, "a pena di esclusione", che richiedeva, mercé il riferimento alle competenze, disegnate nel R.D. 2537/1925, la sottoscrizione del progetto in questione, concernente immobili vincolati, d’interesse storico-artistico, da un architetto, anziché da un ingegnere; b) a tutto concedere, in ogni caso, la non attribuzione di alcun punteggio, alla controinteressata, per l’offerta tecnica (anziché i 50 punti, invece assegnati dalla Commissione), con corrispondente decremento del punteggio complessivo raggiunto ed aggiudicazione della gara alla medesima ricorrente, a quel punto prima graduata. La censura, come si diceva sopra, è fondata. Lo testimonia l’analisi della giurisprudenza, nella quale si rinviene la seguente, rilevante, affermazione di principio: "Nel caso in cui l’amministrazione, nell’indire la gara pubblica per l’affidamento dell’incarico di progettazione esecutiva finalizzato al restauro di un fabbricato di rilevante valore storico ed artistico, abbia espressamente richiesto, in considerazione della specifica natura dei beni oggetto di restauro e del carattere assolutamente prevalente dell’intervento artistico e di restauro rispetto alle parti tecniche, come requisito di partecipazione alla gara che i professionisti incaricati di redigere il progetto fossero esclusivamente architetti, è illegittimo il provvedimento che il suddetto incarico assegna ad un ingegnere essendo irrilevante, a fronte di una valutazione, poi trasfusa nella "lex specialis" a cui si è autovincolata, il richiamo negli scritti difensivi all’art. 52, comma 2, R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, nella parte in cui stabilisce che le opere di edilizia civile, che presentano rilevante carattere artistico, ed il restauro ed il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto, ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere, rendendo quindi possibile la partecipazione anche di questi ultimi per il profilo tecnico" (C. Stato, Sez. V, 7 novembre 2011, n. 5883). Dalla massima testé citata, e al netto delle differenze fattuali, riferibili a quella fattispecie concreta, si ricava che quanto la stazione appaltante si sia autovincolata al rispetto delle competenze specifiche di architetti e ingegneri, secondo il R.D. 2537/1925, "è illegittimo il provvedimento che il suddetto incarico assegna ad un ingegnere essendo irrilevante (…) il richiamo (…) all’art. 52, comma 2, R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, nella parte in cui (…) la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere". Poco conta, secondo il Tribunale, che in quella fattispecie concreta si vertesse dell’affidamento della progettazione esecutiva, per il restauro di un immobile vincolato, e nell’appalto "de quo", della presentazione di un progetto migliorativo (ma, pur sempre, afferente un immobile di tal genere), con attribuzione di punteggio, nell’ambito di una gara condotta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; quel che conta è, invece, che si sia, o meno, in presenza di un bando, che espressamente si conforma alla diversificazione di tali competenze, secondo la Legge professionale, con conseguente autovincolo della stazione appaltante (tale è il caso, per l’appunto, che si verifica nella specie). Ancora più stringente, in tale direzione, la massima seguente, secondo la quale: "Dal disposto dell’art. 52, R.D. n. 2537/1925, si evince che la riserva di competenza degli architetti sussiste per ogni tipologia di intervento su immobili gravati da vincolo storico e artistico, ad eccezione delle attività propriamente tecniche di edilizia civile per le quali lo stesso art. 52 prevede la competenza anche degli ingegneri; la competenza degli architetti, poi, si estende anche agli interventi realizzati su immobili non assoggettati a vincolo storico e artistico quando presentino un rilevante interesse artistico" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 17 ottobre 2011, n. 7997); si tenga pure presente, "a contrario", la decisione seguente: "Nel caso in cui un fabbricato oggetto di appalto non sia soggetto al vincolo di cui alla L. 1 giugno 1939, n. 1089, gli elaborati progettuali, relativi al suo restauro, non devono essere necessariamente sottoscritti da un architetto" (C. Stato, Sez. V, 10 settembre 2014, n. 4595). Il richiamo alle massime che precedono - e, segnatamente, alla prima - consente di ritenere prive di pregio le vivaci contestazioni della difesa della stazione appaltante e della controinteressata, fondate sulla ricorrente affermazione della giurisprudenza, secondo la quale: "Ai sensi dell’art. 52, comma 2, R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537 ("Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto"), non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo "le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico", restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, ossia "le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria" (C. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 21; conforme: T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 27 gennaio 2011, n. 187). Sul punto, s’è sviluppato un serrato dibattito, sostenendosi da parte della difesa del Comune e della controinteressata, sia pur con diversità di accenti, sostanzialmente l’inammissibilità e l’infondatezza dei primi due motivi di censura, posto che si trattava soltanto d’interventi di efficientamento energetico degli immobili vincolati "de quibus"; che le proposte migliorative erano state circoscritte a specifici aspetti progettuali (quelli riferiti in precedenza); che le opere migliorative di conseguenza proposte si limitavano a "lavori impiantistici e di natura squisitamente tecnica", i quali non implicavano "scelte culturali" di specifica competenza della professione di architetto; ed ancora, che le prescrizioni della Soprintendenza erano dirette esclusivamente al Comune, che ne aveva debitamente tenuto conto, in sede di redazione del progetto esecutivo dei lavori; le predette argomentazioni erano oggetto d’ancor più ampio sviluppo, nell’ultima memoria difensiva della stazione appaltante, la quale concludeva, nel senso che gli interventi di efficientamento energetico dei quali si tratta, lungi dal poter essere compresi nella nozione di restauro, recupero o ripristino di un bene di rilevante interesse culturale, rientravano piuttosto nel concetto di manutenzione (ordinaria, o al più straordinaria) degli immobili tutelati, con conseguente impossibilità d’affermare la competenza esclusiva dell’architetto, nella sottoscrizione della proposta tecnica migliorativa in questione. Dal canto suo, la ricorrente, con il supporto di relazione tecnica di parte, ha osservato come l’aggiudicataria, con l’offerta migliorativa, avesse previsto, tra l’altro, la sostituzione degli infissi esterni, l’isolamento termico mediante pannelli-sandwich, la realizzazione di un isolamento termico a cappotto e interventi di isolamento della copertura e capriata di progetto, ovvero opere "che incidono in modo rilevante sul bene culturale"; e, con la memoria di replica, da ultimo depositata, ha sostenuto, al contrario di quanto assunto dalle avverse difese, come rientrassero nella nozione di restauro, e, ancor più, di ripristino, tutti gli interventi eseguiti sul bene culturale, tanto più che erano previste demolizioni, e s’è soffermata in particolare - quanto alle migliorie proposte dall’aggiudicataria - sull’installazione di infissi, diversi da quelli previsti nel progetto esecutivo e di finestre con parti in alluminio anziché in legno, nonché sulla demolizione di tutte le pareti esterne per uno spessore di 7 cm., al fine di realizzare l’isolamento termico, mediante l’installazione di pannelli-sandwich, nonché sulla rimozione del pavimento e della struttura sottostante, per circa 11 cm., implicata dalla creazione dell’impianto di riscaldamento; sull’integrale demolizione del tetto di copertura, e il successivo ripristino dello stesso, al fine di garantire l’isolamento della copertura medesima e della capriata, per di più con installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto, tutti interventi, in definitiva, atti a modificare sensibilmente l’aspetto esterno degli immobili vincolati, come tali richiedenti l’effettuazione di ben precise scelte culturali, riservate per legge alla professione di architetto, in virtù della specifica competenza acquisita, nel corso degli studi universitari, circa tali specifici aspetti. Orbene, a fronte di tali ultime notazioni (e tenuto conto, altresì, di quanto sopra osservato, circa l’autovincolo, imposto dalla stazione appaltante alle proprie scelte di natura discrezionale - valutativa, mercé l’esplicito richiamo alla Legge professionale del 1925), si deve concludere, nel senso che il progetto migliorativo dell’intervento in oggetto - prevedendo consistenti opere di ripristino, oltre che di manutenzione straordinaria del bene culturale (se non proprio di restauro) - dovesse essere, necessariamente, sottoscritto da un architetto, ai sensi dell’art. 52 del R.D. 2537/1925 (come del resto stabilito, a pena d’esclusione, dal bando di gara). Con l’importante, ulteriore, osservazione che quand’anche, obliterando quanto sopra osservato, si volesse concludere nel senso, restrittivo, della natura di opere di mera manutenzione straordinaria degli interventi migliorativi "de quibus", non per questo ne deriverebbe, secondo quanto opinato dalla difesa del Comune, il superamento della causa d’esclusione dalla gara dell’aggiudicataria, di cui sopra. Si consideri, a tale proposito, la massima che segue: "La riserva di competenza in favore degli architetti ex art. 52, R.D. n. 2537 del 23 ottobre 1925, ("Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto") non può essere negata solo per il fatto che i lavori da appaltare consistano in un mero intervento di recupero e manutenzione straordinaria, e non di restauro in senso stretto, non essendovi ragioni per escludere tali tipologie di intervento da quelle riservate alla competenza degli architetti, tenuto anche conto che la norma in questione contempla in maniera generica le attività di restauro e ripristino" (T.A.R. Sardegna, Sez. I, 24 ottobre 2009, n. 1559). In parte motiva, la suddetta decisione reca l’ulteriore, importante, precisazione: "(…) La terminologia utilizzata dal Legislatore del 1925 deve quindi essere considerata in senso atecnico, e non può essere riferita alle specifiche categorie di interventi sul patrimonio edilizio esistente poi codificate dall’art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457 e oggi recepite nell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’espressione "restauro e ripristino" va quindi intesa in senso omnicomprensivo, come relativa a qualsiasi attività di recupero di una struttura edilizia che presenti peculiari caratteri storico-artistici". Del resto, una delle massime, ricavate dalla Sentenza C. Stato, Sez. VI, 11 settembre 2006, n. 5239, richiamata, quale precedente, in quella del C. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 21, assunta dalla stazione appaltante quale decisiva ragione di rigetto delle doglianze sollevate, in corso di gara, dalla ricorrente (cfr. il citato verbale della commissione di gara, n. 6 del 3 settembre 2014, nonché il rigetto del preavviso di ricorso, presentato dalla stessa ricorrente, prot. n. 8178/2014/risc. del 4 settembre 2014, a firma del RUP), prevede: "La ripartizione delle competenze professionali tra architetto e ingegnere, delineata nell’art. 52 R.D. n. 2537 del 1925, deve considerarsi applicabile, garantendo che la progettazione dell’intervento edilizio su immobili di interesse storico-artistico sia affidata a professionisti dotati di una specifica preparazione nel campo delle arti e di un’adeguata formazione umanistica". Infine, "ad abundantiam", s’osserva che nella decisione del T.A.R. Veneto, Venezia, Sez. I, 3 giugno 2014, n. 743, s’è concluso, significativamente, nei termini seguenti: "In relazione alla disciplina normativa italiana che riserva ai soli architetti le prestazioni principali sugli immobili di interesse culturale, l’art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925 (Regolamento delle professioni di ingegnere e architetto) non determina - in danno degli ingegneri italiani nei confronti di ingegneri di un qualunque altro paese dell’Unione Europea - un fenomeno di "discriminazione alla rovescia": infatti, l’ordinamento comunitario non riconosce a tutti gli ingegneri di paesi dell’UE diversi dall’Italia (con esclusione dei soli ingegneri italiani) l’indiscriminato esercizio delle attività tipiche della professione di architetto (tra cui le attività relative ad immobili di interesse storico-artistico), ma, al contrario, giusta la normativa comunitaria, l’esercizio di tali attività - in regime di mutuo riconoscimento - sarà consentito ai soli professionisti che (al di là del "nomen iuris" del titolo posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all’esercizio delle attività tipiche della professione di architetto; pertanto, anche volendo ammettere che un professionista non italiano con titolo di ingegnere sia legittimato, in base alla normativa del paese d’origine, a svolgere attività rientranti tra quelle abitualmente esercitate con il titolo di architetto, ciò non è sufficiente a determinare "ex se" una "discriminazione alla rovescia", atteso che, in forza della Direttiva 85/384/CEE, l’esercizio di tali attività sarà possibile (non sulla base del mero possesso del titolo di ingegnere, ma) in quanto tale professionista non italiano avrà seguito un percorso formativo adeguato ai fini dell’esercizio delle attività abitualmente esercitate con il titolo di architetto (nella fattispecie, relativa alla procedura di affidamento della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva e direzione lavori ristrutturazione di un fabbricato comunale ex museo, "il Collegio ha concluso che un ingegnere non avrebbe potuto partecipare alla procedura per mancanza del requisito consistente nel possesso del titolo di architetto")". L’accoglimento del ricorso, per i profili dianzi evidenziati, con assorbimento (stante la natura dirimente del vizio, riscontrato dal Collegio) d’ogni altra doglianza, comporta l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, disposta in favore della controinteressata, la quale doveva essere esclusa dalla gara (e, comunque, non spettandole alcun punteggio per le migliorie proposte, non si sarebbe comunque classificata al primo posto della graduatoria, giusta le considerazioni dianzi svolte); nonché, ex art. 122 Codice del processo amministrativo, la dichiarazione d’inefficacia del contratto, rep. n. 6/2014 (cfr. l’all. 18 della memoria di costituzione del Comune) - stipulato il 15 ottobre 2014, tra il Comune e la stessa controinteressata - ed il subentro della ricorrente, seconda classificata, come da sua specifica richiesta, nella stessa aggiudicazione e, di conseguenza, nel contratto di cui sopra, stipulato ma (cfr. gli allegati 19 e 20 alla stessa memoria di costituzione del Comune), non ancora portato ad esecuzione, per il sopravvenire del decreto cautelare monocratico, con cui il Presidente della sezione ha accolto l’istanza, in tal senso rivolta dalla ricorrente medesima (in giurisprudenza: "Il Giudice amministrativo, una volta che abbia annullata l’aggiudicazione definitiva dell’appalto oggetto del contendere, può ex art. 122 Codice del processo amministrativo disporre il subentro della ricorrente nel contratto, ma a condizione che il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara, la domanda di subentro sia stata proposta e lo stato di esecuzione del contratto e la tipologia stessa del contratto consentano tale subentro" C. Stato, Sez. V, 25 giugno 2014, n. 3220). La tutela, in forma specifica, dell’interesse pretensivo (all’aggiudicazione della gara e al subentro nel contratto), della ricorrente, in tal modo apprestata, dal Collegio, in suo favore (al decreto monocratico di cui sopra è, infatti, seguita l’ordinanza cautelare, di conferma degli effetti del medesimo, e, quindi, la pubblicazione, in data 4 dicembre 2014, del dispositivo con cui la presente causa è stata decisa) determina, giusta l’orientamento costantemente seguito dalla sezione, il rigetto della domanda di risarcimento dei danni, per equivalente monetario, dalla medesima ricorrente, presentata in via subordinata, né risulta che siano stati dedotti danni, ulteriori o diversi (cfr. anche, in giurisprudenza, in senso conforme, la decisione del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, del 19 ottobre 2012, n. 8695, nonché la specifica disciplina, dettata dall’art. 124, comma 1, Codice del processo amministrativo: "L’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se il Giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato"). Quanto alla richiesta di condanna del Comune al pagamento delle sanzioni pecuniarie, previste dall’art. 123 Codice del processo amministrativo, avanzata dal ricorrente, il Collegio ritiene che essa non vada pronunziata, posto che, ai sensi dell’art. 121, comma 4: "Nei casi in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace o l’inefficacia sia temporalmente limitata si applicano le sanzioni alternative di cui all’articolo 123"; ma non è questo il caso, essendo stato il contratto, già stipulato, dichiarato inefficace; del resto, l’art. 123 Codice del processo amministrativo, nell’individuare le sanzioni alternative, da applicare alternativamente o cumulativamente, di cui alle lettera a) e b), ne restringe, espressamente, l’applicazione ai "casi di cui all’articolo 121, comma 4"; né pare che possa diversamente ritenersi, in base al comma 3 dello stesso art. 123 Codice del processo amministrativo, secondo cui: "Il Giudice applica le sanzioni di cui al comma 1 anche qualora il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito per la stipulazione del contratto, ovvero è stato stipulato senza rispettare la sospensione della stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, quando la violazione non abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e non abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento", posto che il riferimento, in detta norma contenuto, alle "sanzioni di cui al comma 1", pare debba ritenersi comprensivo anche della specifica limitazione, delle stesse sanzioni, ai soli "casi di cui all’articolo 121, comma 4", in detto art. 123, comma 1, prevista. In giurisprudenza, cfr. le massime seguenti, nelle quali l’applicazione delle sanzioni "de quibus" viene sempre esplicitamente ristretta ai soli casi in cui il contratto sia, nonostante le violazioni, dichiarato efficace: - "A seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, non va dichiarata l’inefficacia del contratto stipulato dall’aggiudicataria nel caso in cui ricorrano esigenze imperative, incluse quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo (art. 121, comma 2, Codice del processo amministrativo), fra le quali devono ricomprendersi quelle connesse all’ipotesi in cui, come nella specie, il contratto sia stato da tempo eseguito e sia da tempo intervenuto il collaudo e l’utilizzo della fornitura da parte dell’amministrazione. Tuttavia, non avendo l’amministrazione rispettato il cosiddetto obbligo di stand still di cui all’art. 11, comma 10, D. Leg.vo n. 163 del 2006, va applicata - come previsto dall’art. 121, comma 4, Codice del processo amministrativo ed in applicazione dei criteri di cui al successivo art. 123 - nei confronti dell'amministrazione la sanzione alternativa di cui al medesimo art. 123" (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 11 novembre 2013, n. 2746); - "La mancata applicazione dell’art. 121, comma 1, del Codice, in presenza della violazione del termine di cd. stand still, determina in ogni caso - ai sensi del successivo comma 4 - l’applicazione delle sanzioni alternative di cui all’art. 123, come anche autonomamente confermato dal comma 3 del medesimo art. 123. In proposito ritiene il Collegio che le disposizioni richiamate introducano un automatismo che assume un’impronta sanzionatoria, come questo Tribunale ha già evidenziato nella propria precedente pronuncia in data 30 novembre 2011, n. 1673 (par. 10.1), non ritualmente impugnata: "L’applicazione delle predette sanzioni deve avvenire secondo quanto disposto dagli artt. 121, comma 4, e 123". In base a questi ultimi quando, nonostante le violazioni, "il contratto sia considerato efficace" il Giudice dispone (in via alternativa o cumulativa) il pagamento di una sanzione pecuniaria da versare al bilancio dello Stato di importo compreso tra lo 0,5 ed il 5 (%) del valore del contratto e/o la riduzione della durata del medesimo (da un minimo del 10 al massimo del 50 (%) della durata residua)".

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