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Sent. C. Stato 28/11/2013, n. 5704

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SENTENZA

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente sentenza

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FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (corredato da motivi aggiunti) era stato chiesto dalla società odierna appellante Immobil Sud l’annullamento del provvedimento dirigenziale n. 259 del 10 giugno 2009 del Servizio Antiabusivismo del Comune di Napoli, con cui era stato denegato il permesso di costruire a sanatoria per il complesso immobiliare sito in via Galileo Ferraris n. 159, di cui all’istanza assunta al protocollo comunale con il numero 46725 del 31 marzo 1995, del provvedimento dirigenziale n. 770 del 13 luglio 2009 del Servizio gestione del territorio del Comune di Napoli, recante l’annullamento dei titoli abilitativi formatisi in seguito alle dichiarazioni di inizio attività numero 7/06, 32/06, 47/06, 89/06, 109/06, 8/07, 14/07 relative a parti di tale complesso immobiliare, della nota n. prot. 2936 del 14 agosto 2009, recante la sospensione e la revoca della licenza di esercizio ricettivo per l’immobile in questione nonché (con motivi aggiunti)della determinazione dirigenziale prot. n. 3792 del 18 novembre 2009, recante il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità edilizia per le opere suddette.

Erano state prospettate plurime doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.

Il Tribunale amministrativo regionale ha innanzitutto rammentato -anche sotto il profilo cronologico - quale fosse stato l’iter infraprocedimentale, e lo stato del contenzioso in passato proposto dall’odierna appellante.

Ha in proposito rimarcato che l’odierna appellante Immobil Sud s.r.l. era proprietaria del complesso immobiliare sito a Napoli, via Galileo Ferraris n. 159, attualmente adibito ad albergo, esteso 1.843 metri quadrati ed avente un’altezza pari a 38 metri circa distribuiti attualmente su di undici piani fuori terra, che nella sua originaria consistenza era stato assentito con licenza edilizia n. 115 del 22 maggio 1992.

Il compendio rientrava nel perimetro dei siti inquinati d’interesse nazionale dell’area orientale di Napoli, di cui all’ordinanza del Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti del 29 dicembre 1999, ed era ubicato, secondo la Variante generale al Piano regolatore della città (approvata con delibera del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 323/2004) nella zona G “insediamenti urbani integrati” - sub-ambito 12a “Gianturco FS”, di cui all’art. 138 delle relative norme tecniche di attuazione.

L’efficacia del citato provvedimento ampliativo era stata sospesa con provvedimento n. 1490/1993 dal Comune, che aveva riscontrato l’esecuzione di opere in difformità dal titolo.

La dante causa dell’attuale proprietaria, in data 31 marzo 1995, aveva allora presentato al Comune di Napoli una domanda di condono edilizio recante il numero di protocollo 46725, relativa ad un “edificio con destinazione ad uffici e laboratori di software per la telecomunicazione”, e, intendendo avvalersi della facoltà di cui all’art. 35 comma XIII L. 47/1985, aveva completato le opere, realizzando altresì i pilastri che avrebbero dovuto fu

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DIRITTO

1. L’appello è infondato e va pertanto respinto.

1.1 Esso contiene numerose affermazioni potenzialmente idonee ad introdurre elementi di confusione, di guisa che ritiene il Collegio di chiarire brevemente i principii cui si atterrà nella decisione della controversia.

2. Va premesso a tale proposito che è certamente errata (e perciò inaccoglibile) la tesi prospettata in via ipotetica ed eventuale volta a sostenere che, in ipotesi di accoglimento dell’appello avverso la statuizione di improcedibilità, questo giudice d’appello dovrebbe annullare la sentenza con rinvio al primo giudice. Il Collegio infatti fa presente che per risalente quanto consolidata giurisprudenza (la cui persistente validità è oggi ribadita dalla prescrizione di cui all’art. 104 c.p.a.) all’erronea declaratoria della improcedibilità od inammissibilità dell’impugnazione non seguirebbe l’annullamento con rinvio della appellata decisione, non ricorrendo l’ipotesi di “difetto di procedura o vizio di forma” di cui all’art. 35 della legge n. 1034/1971 (si veda, ex multis, sul punto Consiglio di Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 474).

Se anche la principale richiesta dell’appellante venisse accolta, quindi, questo giudice dovrebbe decidere nel merito l’intera controversia (“anche nell'ipotesi - non ricorrente nel caso di specie - in cui il giudice di primo grado abbia dichiarato erroneamente l'improcedibilità del ricorso - la conseguenza non potrebbe essere l'annullamento con rinvio, precluso, ai sensi dell'art. 105 c.p.a., per le erronee dichiarazioni di improcedibilità.” Consiglio Stato, sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1127).

2.1 Ma, proprio nell’affrontare detto preliminare snodo dell’appello, se ne rileva la intrinseca infondatezza.

Invero l’appellante aveva gravato in primo grado, tra l’altro, il provvedimento dirigenziale n. 259 del 10 giugno 2009 del Servizio Antiabusivismo del Comune di Napoli, con cui era stato denegato il permesso di costruire a sanatoria per il complesso immobiliare sito in via Galileo Ferraris n. 159, di cui all’istanza assunta al protocollo comunale con il numero 46725 del 31 marzo 1995 e contestualmente era stata ingiunta la demolizione delle opere, nonché il provvedimento dirigenziale n. 770 del 13 luglio 2009 del Servizio gestione del territorio del Comune di Napoli, recante l’annullamento dei titoli abilitativi formatisi in seguito alle dichiarazioni di inizio attività numero 7/06, 32/06, 47/06, 89/06, 109/06, 8/07, 14/07 relative a parti di tale complesso immobiliare.

Successivamente ebbe a presentare istanza di conformità delle dette opere.

Stabilisce l’art. 36 del dPR n. 380/2001 che “ In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. (66)

Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.

Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.”.

L’incidenza processuale dell’avvenuta presentazione della domanda suddetta è senza dubbio quella esattamente colta dal Tar.

Invero sia la giurisprudenza di primo grado (ex multis, T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 18-01-2013, n. 48) che quella di questo Consiglio di Stato (tra le tante Cons. Stato Sez. IV, 12-05-2010, n. 2844) affermano, condivisibilmente, che “in tema di abusivismo edilizio la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, successivamente all'impugnazione dell'ordine di demolizione produce l'effetto di rendere improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse” .

La ratio di tale portata effettuale è ovvia: il riesame dell'abusività dell'opera provocato dall'istanza di sanatoria determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'originario ricorso.

Ad avviso di parte appellante tuttavia la pronuncia del Tar sarebbe errata in quanto se è vero che la domanda di accertamento di conformità renderebbe improcedibile il gravame proposto avverso l’ordinanza di demolizione, essa, tuttavia, non produrrebbe analoghi effetti laddove fossero stati impugnati (come nel caso di specie) gli atti reiettivi di precedenti istanze in conseguenza delle quali fosse stato eventualmente emesso il provvedimento sanzionatorio.

2.2 La censura è del tutto priva di fondamento. Essa - muovendo dal dato statistico riposante nella circostanza per cui nella stragrande maggioranza dei casi la nuova domanda di accertamento di conformità volta ad ottenere la concessione in sanatoria sopravviene alla già proposta impugnazione di un pregresso provvedimento sanzionatorio- inverte completamente la sequenza accertativa degli illeciti edilizi e fraintende la ratio delle affermazioni giurisprudenziali in punto di declaratoria di improcedibilità della pregressa impugnazione.

Invero è appena il caso di rammentare che l’ordinanza impositiva dell’obbligo di demolizione costituisce l’atto conclusivo della complessa sequenza procedimentale accertativa della avvenuta commissione di un illecito edilizio (ex multis: TA.R. Puglia Bari Sez. III, 26-02-2013, n. 275 in punto di qualificazione quale “atto vincolato, dell' ordinanza medesima, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla

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P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in ep

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