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19/05/2019

Abuso d'ufficio in materia edilizia: elementi necessari per la prova del dolo

La Corte di Cassazione si è pronunciata sui presupposti per l'accertamento del dolo nel reato d'abuso d'ufficio in materia edilizia, ribadendo che non è necessaria la prova dell'accordo collusivo tra il privato ed il tecnico del comune ma specificando la necessità di provare ulteriori elementi rispetto alla violazione di legge operata da quest'ultimo.

FATTISPECIE
Il Tribunale del riesame di Napoli aveva confermato il decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto un'area demaniale di mq 422 soggetta a vari vincoli (idrogeologico, artistico, storico, archeologico, etnografico e sismico), su cui insisteva una struttura balneare ubicata in Ischia. Il sequestro era stato disposto in relazione ai reati cui agli artt. 110 e 323 del Codice penale (abuso d'ufficio), contestati al titolare della struttura balenare ed al dirigente dell'area tecnica del Comune di Ischia, per l’occupazione dell'area demaniale in forza di una concessione illegittima, risalente al 2005, prorogata nel 2010 e, da ultimo, nel 2015 sino al 2020, in quanto rilasciata senza il necessario parere vincolante della Soprintendenza Archeologica.
Si riteneva sussistente, conseguentemente, l'abusiva occupazione del suolo demaniale ed il reato di abuso d'ufficio per la macroscopica illegittimità dell'ultima proroga, essendo il dirigente comunale consapevole dell'illegittimità del titolo originario ed evidente il vantaggio patrimoniale per il titolare dello stabilimento balneare esistente nell'area demaniale vincolata.

PRINCIPIO DI DIRITTO
In proposito, la Sent. C. Cass. pen. 30/04/2019, n. 17989 ha affermato che il dolo intenzionale tipico dell'art. 323 del Codice penale prescinde dall'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunto anche dalla macroscopica illegittimità dell'atto, purché tale valutazione non discenda in modo apodittico e parziale dal comportamento "non iure" dell'agente; tale comportamento deve trovare infatti conferma anche in altri elementi sintomatici, quali la specifica competenza professionale del soggetto attivo, l'apparato motivazionale del provvedimento, la presenza o meno di anomalie istruttorie ed i rapporti personali tra l'agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno.

La Suprema Corte ha quindi annullato con rinvio l'ordinanza impugnata poiché il concorso del privato con il dirigente comunale non risultava sorretto da una adeguata e logica motivazione, non risultando evidenziato il previo concerto e/o l'istigazione o la determinazione criminosa del privato, né valutato l'affidamento riposto dal privato nel comportamento della P.A., che sino all'adozione dell'ultimo provvedimento censurato aveva esitato favorevolmente le richieste di proroga.
 

Dalla redazione