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20/11/2018

Barriere architettoniche, installazione di ascensore e nullità della delibera assembleare

Con la sentenza n. 23076, del 26/09/2018, la Corte di Cassazione fornisce interessanti chiarimenti in merito all’installazione di un ascensore in condominio deliberata dall’assemblea, da cui derivino conseguenze dannose nei confronti del singolo proprietario di un appartamento.

Nella fattispecie i giudici hanno accolto il ricorso per il risarcimento del danno cagionato dalla realizzazione dell’ascensore nella corte interna di un edificio condominiale, consistente nella riduzione di luce ed aria all'appartamento dell'attrice posto al piano terra e nell'impedimento all'uso di una rilevante porzione della suddetta corte. La ricorrente - che non aveva impugnato la delibera condominiale di approvazione ex art. 1137, Codice civile - sosteneva, tra l’altro che l’installazione dell’impianto costituiva un’innovazione lesiva del divieto posto dall’art. 1120, comma 2 del Codice civile in quanto alla possibilità dell’originario godimento della cosa comune sarebbe stato sostituito un godimento di diverso contenuto che comportava la nullità della delibera condominiale.

Al riguardo la Corte di Cassazione, ha ribadito alcuni principi secondo i quali:
- l'installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un'innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, della L. 13/1989, va approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, commi 2 e 3, Codice civile (ovvero che, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap), comunque osservando i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121, Codice civile, secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2, L. 13/1989;
- sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità, secondo l'originaria costituzione della comunione. Tale concetto di inservibilità della parte comune non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione - coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della "res communis" secondo la sua naturale fruibilità, ovvero dalla sensibile menomazione dell'utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene.

Sulla base di tali considerazioni è stato affermato che la delibera dell'assemblea di condominio, che privi un singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell'edificio, rendendola inservibile all'uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo; quest'ultimo, lamentando la nullità della suddetta delibera, ha perciò la facoltà di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, dovendosi imputare alla collettività condominiale gli atti compiuti e l'attività svolta in suo nome, nonché le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo.

Essendo la nullità della delibera dell'assemblea fatto ostativo all'insorgere del potere-dovere dell'amministratore di eseguire la stessa, l'azione risarcitoria del singolo partecipante nei confronti del condominio è ravvisabile non soltanto come scelta subordinata alla tutela ex art. 1137, Codice civile, ma anche come opzione del tutto autonoma.

Dalla redazione